Misticismo - Esoterismo
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giovedì 23 gennaio 2014
IL LIBRO DELLA SCALA - IL VIAGGIO NOTTURNO DI MAOMETTO
IL LIBRO DELLA SCALA
Testo escatologico arabo-spagnolo, il cui originale, a noi non giunto, portava quasi certamente il titolo di Kitāb al-Miʽrāǵ (" Libro della scala ", o della " ascesa " [di Maometto in cielo]).
Esso fu fatto tradurre poco prima del 1264 da re Alfonso X di Castiglia, ad opera di un dotto medico giudeo, Abraham; e da questa versione castigliana, anch'essa perduta, l'italiano Bonaventura da Siena, sempre per commissione del re, trasse le due versioni in latino (Liber Scalae) e in antico francese (Livre de l'Eschiele Mahomet) giunte a noi rispettivamente in un manoscritto di Oxford, e in due di Parigi e della Vaticana e pubblicate nel 1949 da E. Cerulli insieme con un riassunto della prima versione castigliana, conservata in un codice dell'Escuriale e attribuita a S. Pedro Pascual.
L'opera originaria appartiene a quel filone della letteratura araba edificante e popolare, che sviluppando un famoso versetto coranico su un miracoloso viaggio notturno del profeta a Gerusalemme (Corano XVII 1), narra la susseguita sua salita al cielo e la sua visita dei regni d'oltretomba.
Nel testo in questione, Maometto è destato nel suo letto alla Mecca dall'angelo Gabriele, è fatto montare sul destriero alato Burāq, condotto a Gerusalemme, e di qui fatto ascendere in cielo per la fulgida ‛ scala ' (miʽrāg) che dà nome al libro.
Egli vede l'angelo della morte, un altro in forma di gallo, un terzo metà di fuoco e metà di neve, e traversa gli otto cieli incontrando in ognuno un profeta, fino al trono di Dio; visita quindi il Paradiso con le sue delizie di natura e d'amore, e riceve da Dio il Corano, con i precetti delle orazioni quotidiane e del digiuno.
Passato poi all'Inferno, ne percorre le sette terre, e ne contempla i diversi tormenti, ascoltando da Gabriele le spiegazioni sul giorno del giudizio e la prova del ponte aṣ-Ṣirāt.
Tornato infine sulla terra, tenta invano di convincere i suoi concittadini Meccani sulla verità della sua visione, che per suo invito trascrivono e autenticano i suoi fidi Abū Bekr e Ibn ' Abbās.
La materia relativa era già quasi per intero nota in sparse analoghe fonti, ma l'importanza di questo testo sta nel presentarcela tutta in una continuata narrazione, e soprattutto nella sua trasmigrazione dalla Spagna araba all'Occidente cristiano.
Le versioni del Libro della Scala, sia quella castigliana (già citata in altra opera dallo stesso Alfonso il Savio, e poi dallo scrittore catalano trecentista Francesco Ximenez e dal famoso cardinale Giovanni Torquemada), sia le due conservateci in latino e in francese, varcarono infatti presto i Pirenei: e l'operetta escatologica araba, attribuita a Maometto stesso, appare conosciuta e citata col suo titolo (" il libro suo [di Maometto] che Scala ha nome ") alla metà del Trecento da Fazio degli Uberti nel Dittamondo, nel secolo seguente da Pio II (Enea Silvio Piccolomini) e dal francescano Roberto Caracciolo nello Specchio della fede, e nel Cinquecento da Alfonso Spina; da Angelo Piantini; dal Bibliander; da Guillaume Postel; da Antonio Torquemada e Celio Malespini e infine dai fratelli De Bry.
Si verificava così per la prima volta l'ipotesi già avanzata da M. Asín Palacios, a fondamento della sua tesi sugl'influssi dell'escatologia musulmana nella Commedia, di un testo arabo giunto per documentata trafila di versioni all'ambiente e all'età di Dante.
La conoscenza delLibro della Scala da parte del poeta appare ora, se non certa, probabile; ma sulla misura e il valore delle suggestioni che tale testo può avergli fornito per la sua visione d'oltretomba, restano assai discordi i pareri: il suo maggiore e più prudente studioso, il Cerulli, considera tale possibile influsso solo come concorrente e secondario alle principali fonti d'ispirazione del poeta, latine e cristiane.
Fonte Enciclopedia Treccani
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ISRA' E MI'RAJ
Con le parole arabe isrāʾ e miʿrāj (arabo: إسراء ومعراج) ci si riferisce rispettivamente a un miracoloso viaggio notturno del profeta Maometto in sella a Buraq (isrāʾ) e della sua successiva ascesa al Cielo (miʿrāj), con la visione delle pene infernali e delle delizie paradisiache riservate a dannati e beati, fino alla finale ascesa e accostamento ad Allah, con relativa Sua "visione beatifica", impossibile agli occhi di qualsiasi uomo per l'infinità che è uno degli attributi divini.
L'esperienza è narrata dal Corano nelle sure XVII:1, LIII:1-12 e LXXXI:19-25.
IL RACCONTO
Il racconto fu fatto da Maometto una mattina dopo aver trascorso la nottata, ospite nella casa di Mecca della cugina Umm Hāniʾ, che in gioventù era stata promessa a Maometto per contrarre il tradizionale "matrimonio preferenziale".
L'ambiguità del resoconto della straordinaria esperienza narrata non fece capire ai testimoni presenti se il profeta si stesse riferendo a una sua esperienza reale o a una di tipo mistico.
Per lungo tempo (due secoli quasi) l'ambiguità non si dissolse e non mancarono esimi studiosi di "scienze islamiche" (l'esegeta coranico e storico Tabari ad esempio, ma anche il tradizionista Bukhari) che pensarono che la narrazione avesse un significato prettamente esoterico e che fosse quindi una "visione" ( ruʾya ) da interpretare.
Prevalse però l'opinione contraria e, a tutt'oggi, l'Islam si riferisce a quell'esperienza come a un fatto realmente accaduto.
ISRA'
Maometto sarebbe stato svegliato da un angelo e trasportato nel corso d'una sola notte (da qui il termine isrāʾ) "dal Tempio Santo al Tempio Ultimo", identificati poi nella Kaʿba della Mecca e nella Spianata del Tempio di Gerusalemme (dove, in effetti, fu poi costruita la moschea detta al-Aqṣā, cioè "Ultima").
Questo sarebbe stato possibile grazie a una fantastica cavalcatura volante, Burāq, dal volto umano femminile, dal corpo a metà strada fra il mulo e l'asino, dalle lunghe orecchie e dal lungo dorso.
In particolare il versetto 1 della sura XVII (la Sura del Viaggio notturno) dice:
« Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni. In verità Egli è l'Ascoltante, il Veggente. »
(Traduzione di Alessandro Bausani).
MI'RAJ
Nella seconda esperienza Maometto, partito dal "Tempio Ultimo", avrebbe sorvolato il baratro infernale, assistendo alle pene decisamente corporali (fiamme e dolori fisici) inflitti ai dannati in funzione del loro peccato commesso sulla terra, secondo un'anticipazione del cosiddetto "contrappasso" dantesco.
In seguito Maometto avrebbe asceso i sette Cieli, in ognuno dei quali avrebbe incontrato un profeta che l'aveva preceduto nel mondo per l'identica missione salvifica del genere umano: Adamo fu il primo, seguito da Yaḥyà (Giovanni Battista) e da ʿĪsā (Gesù), da Yūsuf (Giuseppe) nel terzo Cielo, da Idrīs (Enoch ?), da Hārūn (Aronne) nel quinto, da Mūsā (Mosè) nel sesto Cielo e da Ibrāhīm (Abramo) nell'ultimo.
Maometto venne ammesso infine al supremo cospetto divino, alla distanza di "due archi e meno ancora" (fa-kāna qāba qawsayni aw adnà), con ciò realizzando (per volere insondabile di Dio) l'impresa impossibile agli uomini di vedere con i limitati occhi terreni, l'infinità della Sua Maestà.
Quest'ultima esperienza sarebbe per definizione sovrasensibile e impossibile in vita agli uomini, che hanno sensi del tutto limitati e che, comunque, non possono sopportare la Potenza divina, tanto da essere permessa da Dio all'uomo solo una volta morto allorché questi verrebbe dotato di particolari sensi, che sopravanzerebbero di molto quelli terreni.
Il miracolo voluto da Dio (che, essendo Onnipotente, non conosce limiti alla Sua Volontà) sarebbe proprio quello di aver permesso al Suo profeta ultimo qualcosa di straordinario ma l'ineffabilità della visione non rende possibile che questa possa essere razionalmente descritta e immaginata, sì da costringere a espressioni dalle forti coloriture poetiche e simboliche.
Il settimo cielo, dove Maometto contemplerebbe la Maestà divina, presso la "sidrat al-Muntahà ʿinda-hā jannatu l-Māʾwà ("il loto di al-Muntahà presso il quale è il Giardino di al-Māʾwà"), è chiaramente un'espressione mistica sulla quale, infatti, non pochi sufi a lungo e profondamente discetteranno.
INFLUENZE NELLA LETTERATURA
La narrazione si diffuse ovviamente in tutto il mondo islamico.
In al-Andalus, di essa vennero a conoscenza anche gli ambienti cristiani dei Mozarabi, che ne riprodussero presto versioni negli idiomi volgari proto-spagnoli, chiamandoli libri "della Scala" (nel senso di "scalata" al Cielo).
Da qui trasse origine una vastissima letteratura nelle altre lingue neo-latine, germaniche e slave.
La struttura topografico-concettuale dell'Inferno e del Paradiso ha quasi certamente influenzato la Divina Commedia dantesca.
L'ipotesi, affacciata per la prima volta dallo studioso gesuita Miguel Asín Palacios, generò una feroce polemica fra vari studiosi, per lo più (ma non solo) dantisti, espressi in margine alle celebrazioni del VI centenario dantista.
Essi rifiutarono per lo più aprioristicamente qualsiasi possibile "contaminazione" islamica del capolavoro di Dante, mentre gli islamisti, sia pure in modo altalenante, senza mettere in alcun modo in discussione l'originalità poetica e ideologica della Divina Commedia, accettarono una simile contaminazione, alla luce del fatto che l'Alighieri, da uomo di grande e vivace cultura, non poteva ignorare il contenuto di alcune fra le tante versioni dei Libri della Scala redatte in lingue volgari.
Nel secondo dopoguerra Enrico Cerulli, già Governatore d'Etiopia e in età più avanzata Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei, in due lavori di censimento e collazione della letteratura europea riguardante i Libri della Scala, ha potuto ricostruire i numerosi tramiti percorsi dalle versioni romanze dei vari "Libri della Scala" in tutta Europa e attestare in particolare l'esistenza, proprio all'epoca di Dante, di una versione in latino, approntata dal notaio Bonaventura da Siena, opera della quale un intellettuale acuto e curioso come Dante non poteva essere all'oscuro, quand'anche non fosse approdata nella loro comune terra toscana. Non trascurabile poi il fatto che Messer Brunetto Latini, uno dei maestri di Dante (ricordato nel suo stesso capolavoro,. sia pure nell'Inferno), si fosse recato per qualche mese nel 1260 presso la corte di Alfonso X el Sabio, re di Castiglia e di León, in rappresentanza della Repubblica fiorentina.
Sembrerebbe implausibile che l'autore de Il Tesoretto non avesse portato con sé, al suo ritorno in patria, materiale su questo genere letterario grandemente diffuso in terra spagnola, di cui già parlava ad esempio nel suo Dittamondo Fazio degli Uberti.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Isra'_e_Mi'raj
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DANTE ESOTERICO
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Anche l’esperienza di Giacobbe che sale nella “scala” durante un sogno, oltre alla vicenda del profeta Elia che fu “rapito” da un carro di fuoco nel cielo, o addirittura il racconto di Enoch nell’apocrifo Libro di Enoch, sono assimilabili alle vicende mistiche dell’ascesa spirituale verso i mondi superiori.
Non si tratta quindi di esperienze di natura ufologica, come riportano, invece, i Teorici degli antichi astronauti, ma bensì di esperienze mistiche di natura spiritualista.
“Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa”.
(GENESI 28:12)
“Quand’ecco un carro di fuoco e dei cavalli di fuoco che li separarono l’uno dall’altro, ed ecco Elia salì al cielo in un turbine”.
(2 RE 2:11)
Stesso discorso esoterico verso l’ascesa ai mondi superiori vale anche, se pur in modo diverso, per Gesù, simbolo dell’uomo Divino pienamente realizzato, che nel Vangelo dichiara agli apostoli le seguenti parole:
“Di nuovo Gesù disse loro: “Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire”.
Dicevano allora i Giudei: “Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?”.
E diceva loro: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo”.
(GIOVANNI 8:21-23)
Il viaggio notturno di Maometto, come la Mekavah o il “Carro” di Dio della tradizione cabalistica, non deve essere inteso come una sorta di U.F.O., nel senso di oggetto volante non identificato, come invece la Paleoastronautica insiste da sempre sul discorso inerente al "Carro" divino, ma come un qualcosa di spirituale non comprensibile e non misurabile con gli strumenti mondani, pur restando realmente un “mezzo” straordinario di natura eterica, o se preferiamo di un' estensione del corpo sottile, che non è di questo mondo.
E’ necessario uno sforzo in più per comprendere il “disegno” di Dio nei testi sacri.
Troppo semplice ed errato, infatti, prendere i testi sacri solo con la chiave letterale.
A mio avviso queste tecniche mistiche presenti nei testi cabalistici, e vive peraltro anche nel Sufismo, come abbiamo potuto vedere nel racconto del "libro della scala", oltre che in alcune scuole iniziatiche, che insegnano a costituirsi il “corpo di luce” per ascendere nei mondi o regni superiori, sono la prova che la Mer-Ka-Ba o Merkavah non deve essere collocata nell’universo New Age, anzi, essa, proprio perché menzionata in differenti testi sacri e in moltissime culture, diverse ma non separate tra loro, deve essere riscoperta nell’intimo di ogni ricercatore; tali insegnamenti, a nostro avviso, ci dicono velatamente che uno dei fini ultimi dell’essere umano è sempre stato quello di divenire “'Uomo Nuovo" (Novello Adamo) attraverso la costituzione del "Corpo di Gloria”.
Michele Perrotta.
Per maggiori info: http://lamisticadellanima.blogspot.it/2014/01/il-segreto-di-dante-e-le-quattro-chiavi.html
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MICHELE P.