Misticismo - Esoterismo

La Rosa come Simbolo dell'Anima in evoluzione.

La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa

La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa
Dio, Teologia, Misticismo, Filosofia, Gnosi, Esoterismo.

lunedì 23 gennaio 2012

MOSE' MAIMONIDE E LA GUIDA DEI PERPLESSI








Maimònide (ebr. Mōsheh ben Maimōn; l'abbreviazione con cui è noto, Rambam, è una sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; arabo Abū 'Imrān Mūsā b. Maimūn b. 'Abd Allāh).

Filosofo, medico e giurista ebreo (Cordova 1135 - Il Cairo 1204).

Il pensiero di M. rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medievale.

Nella sua opera Dalāla al-ḥā'irīm ("Guida dei perplessi") M. tende a dimostrare (fondandosi su Aristotele) che non esiste un contrasto tra la filosofia razionale e gli insegnamenti della religione, che possono coesistere in un armonico equilibrio.



VITA


Ancora fanciullo, fu costretto a lasciare la Spagna a causa della persecuzione degli Almohadi: si trasferì prima nell'Africa del Nord, poi in Palestina, infine in Egitto; qui esercitò la medicina, anche alla corte del Saladino, e resse insieme la comunità ebraica del Cairo, che gli conferì il titolo di nāgīd ("principe") degli Ebrei d'Egitto.



OPERE E PENSIERO


Tre sono le opere principali di M.: un commento alla Mishnāh in arabo; un codice di diritto talmudico intitolato Mishnēh Tōrāh ("Seconda Legge"), in ebraico; un'opera filosofica dal titolo originale arabo Dalāla al-ḥā'irīm, tradotto in ebraico con Mōrēh nĕbūkīm ("Guida dei perplessi").







Nel commento alla Mishnāh M. si propone di chiarirne il senso originario e ne indaga i principi storici e dogmatici; particolare importanza hanno le parti sull'etica e la formulazione, nel commento al trattato Sanhedrīn, dei tredici articoli di fede dell'ebraismo.

Nel Mishnēh Tōrāh si ha un compendio sistematico del materiale giuridico contenuto nel Talmud, ottimo per l'esattezza analitica e la vigoria sintetica: è la migliore codificazione talmudica che si possegga.

Nella Guida dei perplessi, infine, M. tende a dimostrare (fondandosi su Aristotele) che non esiste un contrasto tra la filosofia razionale e gli insegnamenti della religione, potendo filosofia e religione combinarsi in armonica unità.


L'esistenza di Dio è dimostrata con gli argomenti, già usati dai filosofi arabi, del motore primo e della distinzione tra necessario e possibile; e inoltre con gli argomenti dell'Essere necessario come premessa di quelli contingenti, e della causa unica.

Dalla tradizione filosofica del neoplatonismo M. trae invece la concezione che Dio è conoscibile all'uomo solo per la via negativa.


La creazione è avvenuta nel tempo e discende agli spiriti puri, agli angeli e alle creature corporee, tra cui solo l'uomo è oggetto di Provvidenza.

La Bibbia può essere interpretata sia letteralmente sia allegoricamente, il che consente di eliminare le eventuali contraddizioni con i risultati della scienza.

Il pensiero di Maimonide rappresenta il più alto livello raggiunto dalla speculazione ebraica medievale.

Le sue opere di medicina (tra l'altro un commentario agli Aforismi di Ippocrate, un Regimen sanitatis, una Ars coeundi, un trattato sui veleni) rivelano una mentalità non dogmatica che talora entra in aperto dissenso con alcune affermazioni di Galeno.


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Maimonide (ebr. Mōsheh ben Maimōn, detto Rambam, sigla di Rabbī Mōsheh ben Maimōn; ar. Abū ‛Imrān Mūsa ben Maymūn ben ‛Abd Allāh, noto ai latini come Mosè Maimonide o Mosè l’Egiziano) Teologo, filosofo, giurista e medico ebreo andaluso (Cordova 1135 - Il Cairo 1204).

Attivo e celebre nella sua comunità soprattutto in quanto giurista, dovette sfuggire alle persecuzioni antiebraiche messe in atto dal dominio almohade in al-Andalus, ripiegando prima in Marocco, a Fez, e poi in Egitto, dove per vivere praticò la medicina.



LA GUIDA DEI PERPLESSI



I temi filosofici e teologici della sua riflessione si rintracciano principalmente in due opere: la Mishnēh Tōrāh («Seconda Legge»), in ebraico, una summa della legge orale rabbinica in 14 libri, la prima parte della quale costituisce il cosiddetto Libro della conoscenza; e la Dalāla al-Ḥā’irīn (trad. it. La guida dei perplessi) redatta verso il 1190 in giudeo-arabo, cioè arabo scritto in caratteri ebraici, e tradotta in ebraico da Shĕmū’ēl ibn Ṭibbōn nel 1204 (con il titolo Mōrēh nĕbūkīm).

Divisa in tre parti (la prima su Dio e i suoi attributi, la seconda sul mondo, la creazione e la rivelazione, la terza sull’uomo, la conoscenza e l’etica), La guida si presenta al contempo come una summa di teologia filosofica e un trattato sul rapporto tra fede e ragione: essa deve infatti guidare i fedeli che, imbattutisi nella filosofia di tradizione aristotelica nonché nella speculazione islamica, restano «perplessi» di fronte ai dati della fede.

L’opera esercitò una certa influenza sul pensiero latino medievale e scatenò intense discussioni in ambito ebraico. Tre sono i temi portanti della riflessione di M.: quello del rapporto tra fede e ragione e quelli – al precedente intimamente legati – della profezia e dell’interpretazione dei testi sacri.


È infatti sulla base della certezza della rivelazione (e sul conseguente concetto di verità rivelata) che M. affronta i temi cruciali della speculazione teologica e filosofica dell’epoca: la creazione, l’esistenza di Dio e la discussione dei suoi attributi, la provvidenza e il rapporto tra creazione, legge e libertà. La discussione di tali temi si costruisce peraltro sempre anche in base alla discussione delle opinioni filosofiche e teologiche precedenti (importante è il confronto con la teologia islamica, il kalā’m).



LA CRITICA DELLA RAGIONE E DI ARISTOTELE

Elemento determinante della riflessione di M. è l’idea di una ragione che solo in quanto consapevole dei propri limiti si dimostra in grado di cogliere l’unica verità, o di tendere a essa.



Questa posizione comporta peraltro un’interessante critica della ragione, e della massima autorità in tale campo: Aristotele.

La ragione e il suo «maestro» sono infatti dichiarati infallibili riguardo a tutto quel che interessa il mondo sublunare, ma il loro potere è ridotto a quello della mera congettura per ciò che concerne il mondo celeste o divino.

È in base a un’autolimitazione della ragione che è possibile indirizzare o qualificare le congetture possibili sul mondo celeste (che mai contraddiranno l’insegnamento biblico): per es., va esclusa ogni teologia positiva a favore della teologia negativa, l’unica che la ragione umana sia in grado di praticare senza errori. Gli attributi di Dio non vengono quindi affermati, ma negati (non si dirà che Dio «è onnisciente», bensì che «non è ignorante», ecc.).

Quando poi la speculazione razionale giunge ad affermare qualcosa di Dio, per es. la coincidenza in Lui tra essenza ed esistenza – come peraltro aveva argomentato Avicenna – l’affermazione è sempre accompagnata dalla consapevolezza dell’impossibilità di coglierne il suo vero significato.

Nel solco della tradizione precedente (soprattutto al-Fārā´bī, in cui M. trova un vero punto di riferimento, e in parte, Avicenna), anche M. vincola la teoria della profezia a quella della conoscenza, individuando nel profeta la perfezione intellettuale dell’uomo (necessaria e tuttavia non sufficiente a determinare la profezia, che dipende come tale sempre dal dono divino).


La conoscenza si realizza grazie a tre elementi, quello divino e attuale dell’intelletto agente, e quelli potenziali e umani: la capacità razionale, sempre più perfezionata, da una parte, e l’immaginazione, dall’altra.


Si individuano così tre classi di sapienti, ossia tre generi di conoscenza: quello perfettamente razionale (dei sapienti o filosofi), quello immaginativo, in cui l’immaginazione è illuminata dal principio agente e che è proprio degli indovini, ma anche dei governanti preveggenti e provvidenti, e quello profetico, in cui sono illuminati a un tempo l’intelletto e l’immaginazione; in questo caso, la verità è non solo colta dalla ragione, ma anche comunicata e comunicabile attraverso i simboli dei sogni e delle profezie.

Un posto a parte va infine riconosciuto a Mosè, il cui messaggio profetico è confermato dai miracoli e da atti dal carattere pubblico e solenne.


Dato il suo carattere di «guida» dell’élite intellettuale ebraica, La guida dei perplessi propone il problema dell’autentico pensiero filosofico di Maimonide.

La critica ha infatti sottolineato come nelle posizioni della Guida non sia sempre possibile distinguere su ciascuno dei vari temi affrontati (per es., eternità del mondo versus creazione) il vero pensiero dell’autore. Il tema della comunicazione della verità e del rapporto tra simbolo religioso e discorso filosofico interessa, d’altronde, M. come Averroè.


Fonte Enciclopedia Treccani

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IL LIBRO "LA GUIDA DEI PERPLESSI"


Mosè Maimonide, filosofo, medico e giurista ebreo, scrisse "La guida dei perplessi" verso il 1180-1190.

Il presente testo non è solo un'opera significativa della filosofia ebraica, ma anche uno dei più importanti testi dell'esegesi biblica medievale.

L'opera nasce da un tentativo di interpretazione della tradizione religiosa, così come si trova nella Bibbia e nel Talmud, in chiave filosofica, nello sforzo di conciliare l'ebraismo con Aristotele, la fede con la ragione.





LA GUIDA DEI PERPLESSI



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MICHELE P.




I SETTE SENTIERI DELLA TORAH di ABRAMO ABULAFIA











Abramo Abulafia (1240-1291), nome italianizzato di Abraham ben Samuel Abulafia,  è stato un filosofo e mistico spagnolo di origini e cultura ebraiche. È considerato uno dei maggiori studiosi della Qabbalah dell'epoca medioevale.

Per maggiori info:
http://it.wikipedia.org/wiki/Abramo_Abulafia


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I SETTE SENTIERI DELLA TORAH di ABRAMO ABULAFIA


Agli occhi di ogni uomo è chiaro che la Torah, che porta il nome di Libro del Giusto (2 Sam. 1.18), è un: "albero di vita, è per chi si aggrappa a lei, e chi la stringe è fortunato" (Prov. 3.18).

È' risaputo per tradizione, in base al Libro di Razi'el, che il valore numerico della parola me'usar (fortunato) corrisponde a quella di Yisra'el "Israele"; da questo scaturisce la conoscenza di tutti i fenomeni delle vie dei segreti dei precetti e a lui andranno uniti desideri, delizie, insegnamenti, pensieri dotati di fede, speranze.

Perciò è opportuno far conoscere ai rettori delle accademie d'ogni dove tutto ciò che concerne le lettere ed i termini che istruiscono sulle varie realtà, maschili e femminili, singolari maschili e singolari femminili, plurali maschili e plurali femminili, per separare sottilmente in essi fra ciò che è bene e ciò che è male, e fra pensieri giusti e pensieri fallaci.


Tutto questo si svela tramite i sette sentieri, in cui sono contenute tutte le sapienze, per ogni lingua e nazione. Riassumerò dunque tali questioni in questa lettera, affinché sia per voi d'ammonimento.


I sette sentieri della Torà sono i seguenti:  


1) Il primo sentiero racchiude la comprensione letterale della Torà "poiché l'interpretazione di un versetto non deve allontanarsi dal senso letterale". Questa è la via che si addice al popolo, uomini, donne e pargoli; anche se è noto che ogni essere umano, all'inizio della sua esistenza - fra infanzia e giovinezza - fa parte di questo gruppo. In seguito, ci sono persone che studiano e altre che rimangono del tutto senza istruzione sulla via della conoscenza delle lettere, ma d'ogni uomo è detto: Può divenire saggio pure l'uomo che è nato simile ad un giovane onagro selvatico (Giobbe. 11,12). È pertanto indispensabile che, a colui che è totalmente illetterato, si trasmettano alcuni elementi della tradizione, sì che diventi credente per fede ricevuta, resti nel proprio ambito e si mantenga entro la sfera del senso letterale. Sembrerà così che abbia studiato, e si atterrà a ciò che ha acquisito come vi si attiene chi ha appreso i significati letterali della Torà: in tal modo verrà sottomesso a questo primo sentiero.



2) Il secondo sentiero racchiude la comprensione del testo secondo molteplici commenti: ciò che li accomuna è il ruotare intorno alla sfera del senso letterale, che essi circondano da ogni parte. Così fanno la Mishnah ed il Talmud, che espongono il senso letterale della Torà. Si veda la questione della "circoncisione del cuore": la Torà prescrive di circonciderlo, come è detto: Circoncidete il prepuzio del vostro cuore (Deut. 10.16). Preso in senso letterale, questo precetto è assolutamente irrealizzabile: perciò esso richiede un'interpretazione, offerta dal versetto: Il Signore, tuo D-o, circonciderà il tuo cuore (Deut. 30.6), che segue l'affermazione: E tornerai al Signore tuo D-o (Deut. 30.2). Dunque, la circoncisione del cuore è propriamente l'imbocco della via del ritorno al Signore, sia Egli benedetto; la circoncisione dell'ottavo giorno, invece, è un'altra cosa, perché è impossibile interpretarla nel senso di un pentimento, come l'hanno intesa gli incirconcisi di cuore e gli incirconcisi di prepuzio. Dunque la circoncisione del neonato va necessariamente intesa in senso letterale, ed è di gran giovamento, come già ci è stato rivelato da alcuni, lode a D-o.



3) Il terzo sentiero racchiude la comprensione del testo sotto il profilo omiletico e narrativo, e comprende entrambi i metodi menzionati in precedenza; un esempio è offerto dall'affermazione dei nostri Maestri di benedetta memoria: "Perché nel secondo giorno non è detto che era buono?  Perché non era stata completata l'opera delle acque", e via di seguito. Questo metodo è denominato darash ("omelia", "ricerca"), a indicare che con esso si può indagare, inquisire e poi esporre in pubblico, di fronte a tutti; parimenti, è stato chiamato aggadah o haggadah ("racconto"), che ha in primo luogo la funzione di attrarre (tale è infatti il targum, che sa attirare i cuori verso la giusta via), e in secondo luogo quella di raccontare cose gradevoli che incantano chi ascolta.



4) Il quarto sentiero racchiude le parabole e le allegorie, che sono presenti in tutti i libri. È qui che certuni cominciano a separarsi dalla massa del popolo: la massa infatti comprenderà queste cose secondo uno dei tre metodi di cui s'è parlato. Alcuni le prenderanno in senso letterale, altri le commenteranno, altri ancora le intenderanno per via omiletica. Certuni invece arriveranno a capire che sono parabole e le sonderanno. Qui si troveranno ad affrontare le questioni degli omonimi che la Guida dei Perplessi (del Maimonide) ha già chiarito.



5) Il quinto sentiero è il solo che racchiude le vie cabalistiche degli insegnamenti biblici. I quattro metodi che vengono prima di questo sono accessibili a tutte le nazioni: alle masse i primi tre, ai sapienti il quarto, con o senza gli altri. Invece, questo quinto sentiero è l'esordio degli stadi della sapienza cabalistica, che è solo di Israele: è qui che noi ci separiamo dalle masse del mondo, dai sapienti delle nazioni del mondo e dagli stessi Rabbi sapienti d'Israele, che restano nella sfera dei tre metodi sopra ricordati e delle parabole.  Si coglie, ad esempio, lungo questo percorso, l'indicazione dell'insegnamento che la Torà ci impartisce con la sua prima lettera, che è la Beit di Be-re'shit, "In principio" (Gen. 1.1), che deve essere di dimensioni maggiori delle altre, così come devono esserlo le ventidue lettere che si trovano in ognuno dei ventiquattro libri; o ancora con la forma della lettera Cheit di we-charah (e si accenderà); o con le due Nun capovolte nel passo relativo al versetto: Quando l'arca si muoveva (Num. 10.35).  Molte di queste cose ci sono state trasmesse per tradizione interna ed esterna: grafie piene e grafie difettive, lettera avvinte e lettere storte e via di seguito: i casi sono molti. Nulla della loro veridicità è mai stato rivelato ad alcun popolo, se non alla nostra santa nazione: coloro che percorrono la via degli altri certo se ne befferanno, pensando che queste grafie siano insignificanti. Costoro sono tratti in inganno, e si sbagliano di grosso, mentre chi sa la veridicità di questi sentieri, ne  riconosce la superiorità e chiarisce i misteri, che sono santi. Questo metodo costituisce l'esordio della sapienza generale della combinazione delle lettere, e non è consigliato se non a coloro che temono Iddio, e rispettano il Suo Nome.



6) Il sesto sentiero è profondissimo: chi lo troverà? Di questa via è detto: È più lunga della terra la loro dimensione, è più alta del mare (Giobbe. 11.9). Essa si addice a coloro di cui si è detto poco sopra, i quali si isolano nella propria volontà di accostarsi al Santo Nome, cosicché la Sua Opera, sia Egli benedetto, sia in loro stessi riconoscibile. Sono coloro che, nel loro agire, pervengono ad assomigliare all'azione dell'Intelletto agente. Dunque il nome di questo sentiero racchiude il segreto delle "settanta lingue" (shiv'im lesonot), espressione che equivale, numericamente a "combinazione delle lettere" (seruf ha-otiyyot). Tale percorso segna il loro ritorno verso la Materia prima, tramite l'evocazione e la meditazione che si articola nelle dieci sephirot senza determinazione, il cui segreto è santo. Ogni cosa che appartiene alla santità è in numero di dieci: non è forse Mosè asceso dieci volte, e la Shekhinà discesa altrettante?  Con dieci Detti non fu forse creato il mondo, e con dieci Comandamenti non fu data la Torà? E molte altre decine illustrano questo concetto. A questo metodo appartengono la ghematria, il notariqon, le permutazioni, le sostituzioni, le permutazioni delle permutazioni, e le permutazioni delle permutazioni delle permutazioni. A causa della pochezza dell'umano pensare, le permutazioni si limitano a dieci, benché, in verità, esse siano illimitate, giacche sono paragonabili alle particolarità delle creature, che sono infinite: sebbene la loro materia sia unica, le loro forme mutano, e si manifestano in successivi segreti.  Con questo metodo si confuta l'opinione che Rabbi Avraham Ibn 'Ezra, di benedetta memoria aveva formulato nel commento alla Torà, a proposito del nome Eli'ezer e del suo valore numerico, che ammonta a 318 (trecentodiciotto). A proposito di lui è detto: Armò i trecentodiciotto suoi uomini addestrati, i nati della sua casa (Gen. 14.14): in realtà sta scritto: Il suo uomo addestrato, che corrisponde a Eli'ezer. Sebbene Ibn 'Ezra abbia affermato che la Torà non si esprime attraverso la ghematria - poiché se così fosse ognuno potrebbe mutare il male in bene, ed il bene in male - io non credo che egli fosse all'oscuro della cosa; probabilmente intendeva occultare il segreto, ed aveva ragione, proprio per quel che abbiamo detto a proposito delle prime tre vie, visto che tutto il suo libro è stato scritto per la massa. Fanno eccezione alcuni passi che egli segnala dicendo: "Questo è un mistero, e chi è dotato d'intelletto lo esaminerà e lo comprenderà, qualora ne sia degno".  (Il sesto sentiero) è quel glorioso e terribile sentiero tramite il quale si rivela un poco della conoscenza del Nome Ineffabile, al quale s'accenna nel Libro della Formazione al secondo capitolo, dove si trova detto che le ventidue lettere fondamentali sono tre madri, sette doppie e dodici semplici: "le incise, le intagliò, le soppesò, le permutò, le combinò e con esse formò l'anima di tutto il creato e l'anima di tutto ciò che è formato".



7) Il settimo sentiero è un sentiero particolare, che racchiude tutti i sentieri, esso è il Santo dei Santi, è riservato ai Profeti, è la ruota che tutto circonda. Chi lo comprende, comprende la parola che dall'Intelletto agente promana sulla facoltà verbale. Si tratta infatti dell'influsso che si propaga dal Nome, sia benedetto, alla facoltà verbale, tramite appunto l'intelletto agente, come ha detto il maestro (il Maimonide), di benedetta memoria, nella Guida dei Perplessi, libro secondo, al capitolo trentasei. Esso è il sentiero della veridicità della profezia e della sua essenza, della conoscenza dell'essenza del Nome Unico; solo un Profeta ne ha comprensione: giacche esso rappresenta il principio che ha creato il discorso Divino sulla sua bocca.

Non è opportuno descrivere le modalità di questo sentiero, che è chiamato sentiero Santo e santificato, in un libro, né è possibile trasmettere, riguardo a Esso, alcuna tradizione, neppure per sommi capi, a meno che, chi desidera conoscerlo, non apprenda prima, a viva voce, la nozione del Nome di quarantadue lettere e di quello di settantadue.  


Tratto dal libro: "Mistica Ebraica", edizioni Einaudi, 1995

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LA MERKAVAH E L'ESOTERISMO DELLO ZOHAR


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MICHELE P.




DANTE E IL ROSACROCIANESIMO di RENE' GUENON











TRATTO DA: L'ESOTERISMO DI DANTE di RENE' GUENON


L'ESOTERISMO DI DANTE - CAPITOLO IV:

DANTE E IL ROSACROCIANESIMO



Lo stesso rimprovero d’insufficienza da noi formulato nei riguardi di Rossetti e di Aroux può essere mosso anche ad Eliphas Levi, che, pur affermando un rapporto con i misteri antichi, ha visto soprattutto un’applicazione politica, o politico-religiosa, avente ai nostri occhi solo una importanza secondaria, e che ha sempre il torto di supporre che le organizzazioni propriamente iniziatiche siano direttamente ingaggiate nelle lotte esteriori.


Ecco, in effetti, ciò che dice questo autore nella sua Histoire de la Magie:

«Si sono moltiplicati i commenti e gli studi sull’opera di Dante, e nessuno, a nostra conoscenza, ne ha segnalato il vero carattere. L’opera del grande Ghibellino è una dichiarazione di guerra al Papato con la rivelazione ardita dei misteri.












L’epopea di Dante è gioannita [San Giovanni è spesso considerato come il capo della Chiesa interiore, e, secondo certe concezioni di cui troviamo qui un indice, lo si vuole opporre a tale stregua a San Pietro, capo della Chiesaesteriore; la verità è piuttosto che la loro autorità non si applica allo stesso dominio] e gnostica; è un’applicazione ardita delle figure e dei numeri della Kabbala ai dogmi cristiani e una negazione segreta di tutto ciò che vi è di assoluto in questi dogmi.












Il suo viaggio attraverso i mondi soprannaturali si compie come l’iniziazione ai misteri d’Eleusi e di Tebe.


È Virgilio che lo conduce e lo protegge nei cerchi del nuovo Tartaro, come se Virgilio, il tenero e malinconico profeta dei destini del figlio di Pollione, fosse agli occhi del poeta fiorentino il padre illegittimo, ma vero, dell’epopea cristiana.











Grazie al genio pagano di Virgilio, Dante sfugge a quella voragine sulla cui porta aveva letto una sentenza di disperazione; vi sfugge mettendo la testa al posto dei piedi ed i piedi al posto della testa, vale a dire prendendo il rovescio del dogma, ed allora risale alla luce servendosi dello stesso demonio come di una scala mostruosa; sfugge allo spavento a forza di spavento, all’orribile a forza d’orribile.












L’Inferno, sembra, non è un vicolo cieco che per coloro i quali non sanno cavarsela; egli prende il diavolo a contrappelo, se mi è permesso usare qui questa espressione familiare, e si emancipa con la sua audacia.














È già il protestantesimo superato, ed il poeta dei nemici di Roma ha già divinato Fausto montante al Cielo sulla testa di Mefistofele vinto [Questo passaggio di Eliphas Levi è stato, come molti altri (soprattutto ricavati dal Dogme et Rituel de la Haute Magie), riprodotto testualmente, senza indicazione di provenienza, da Alberto Pike nei suoi Morals and Dogma of Freemasonry, p. 822; del resto, il titolo stesso di quest’opera è visibilmente imitato da quello d’Eliphas Levi].



In realtà, la volontà di «rivelare i misteri», supponendo la cosa possibile (e non lo è, poiché di vero mistero non vi è che l’inesprimibile), e il partito preso di «prendere il rovescio del dogma», o di capovolgere coscientemente il senso e il valore dei simboli, non sarebbero i segni di una altissima iniziazione.











Fortunatamente, non vediamo, da parte nostra, nulla di simile in Dante, il cui esoterismo si avvolge invece di un velo assai difficilmente penetrabile, appoggiandosi nello stesso tempo su basi strettamente tradizionali; fare di lui un precursore del protestantesimo, e forse anche della Rivoluzione, per il semplice fatto che fu un avversario del Papato sul terrenopolitico, è misconoscere interamente il suo pensiero e non capir nulla dello spirito della sua epoca.


Vi è dell’altro ancora che ci sembra difficilmente sostenibile:

è l’opinione consistente a vedere in Dante un «kabbalista» nel senso proprio del termine; e qui siamo tanto più portati a diffidare in quanto sappiamo troppo bene come facilmente s’illudano a tal proposito alcuni nostri contemporanei, credendo trovare qualche cosa della Kabbala dovunque vi è una qualsiasi forma di esoterismo.


Non abbiamo forse visto uno scrittore massonico affermare gravemente che Kabbala e Cavalleria sono una sola e medesima cosa, e, a dispetto delle più elementari nozioni linguistiche, che i due termini stessi hanno una origine Studi Esoterici del Pratico Mondo comune ?












In presenza di tali inverosimiglianze, si comprenderà la necessità di mostrarsi circospetti, e di non contentarsi di qualche vago avvicinamento per fare di tale o di tal’altro personaggio un kabbalista; ora la Kabbala è essenzialmente la tradizione ebraica [Il termine stesso significa «tradizione» in ebraico, e, se non si scrive in questa lingua, non vi è alcuna ragione d’usarlo per designare ogni tradizione indistintamente], e noi non abbiamo alcuna prova che una influenza ebraica si sia esercitata direttamente su Dante [Bisogna dire tuttavia che, da testimonianze contemporanee, Dante intrattenne relazioni continuate con un Ebreo molto istruito, e poeta lui stesso, Immanuel ben Salomon ben Jekuthiel (1270-1330); ma non è men vero che noi non vediamo tracce di elementi specificatamente giudaici nella Divina Commedia, mentre Immanuel s’ispirò a quest’ultima per una delle sue opere, a dispetto dell’opinione contraria d’Israil Zangwill, che il paragone delle date rende del tutto insostenibile].



Ciò che ha dato nascita ad una tale opinione, è unicamente l’uso che egli fa della scienza dei numeri; ma, se questa scienza esiste effettivamente nella Kabbala ebraica e vi occupa un posto dei più importanti, essa si ritrova anche altrove; si arriverà dunque fino a pretendere ugualmente, sotto lo stesso pretesto, che Pitagora era un kabbalista ?
[Questa opinione è stata effettivamente emessa da Reuchlin]


Come già abbiamo detto, è più al Pitagorismo che alla Kabbala, che, sotto questo rapporto, si potrebbe collegare Dante, il quale, molto probabilmente, conobbe soprattutto del Giudaismo ciò che ne ha conservato il Cristianesimo nella sua propria dottrina.


«Notiamo anche, continua Eliphas Levi, che l’Inferno di Dante non è che un Purgatorio negativo.


Spieghiamoci:

il suo Purgatorio sembra essersi formato nel suo Inferno come in uno stampo; e il coperchio è come il tappo della voragine, e si comprende che il Titano fiorentino, scalando il Paradiso, vorrebbe gettare con un calcio il Purgatorio nell’Inferno».












Ciò è vero in un senso, poiché il monte del Purgatorio si è formato, sull’emisfero australe, con i materiali gettati dal seno della terra quando la voragine fu scavata per la caduta di Lucifero; ma tuttavia l’Inferno ha nove cerchi, che sono come un riflesso invertito dei nove cieli, mentre il Purgatorio non ha che sette divisioni; la simmetria non è dunque esatta sotto tutti i rapporti.



«Il Suo Cielo si compone di una serie di circoli kabbalistici divisi da una croce come il pantacolo d’Ezechiele; al centro di questacroce fiorisce una rosa, e noi vediamo apparire per la prima volta, esposto pubblicamente e quasi categoricamente spiegato, il simbolo dei Rosa-Croce».


D’altronde, verso la stessa epoca questo stesso simbolo appariva anche, quantunque forse in un modo un poco meno chiaro, in un’altra celebre opera poetica: il Roman de la Rose.


Eliphas Levi pensa che «il Roman de la Rose e la Divina Commedia siano le due forme opposte (sarebbe più giusto dire complementari) di una stessa opera: l’iniziazione all’indipendenza dello spirito, la satira di tutte le istituzioni contemporanee e la formula allegorica dei grandi segreti della Società dei Rosa-Croce», la quale, a vero dire, non portava ancora questo nome, e in più, lo ripetiamo, non fu mai (salvo in qualche ramo tardivo e più o meno de- viato) una «società» costituita con tutte le forme esteriori che implica questo termine.













D’altra parte, l’«indipendenza dello spirito», o per meglio dire, l’indipendenza intellettuale non era, al medio-evo, una cosa tanto eccezionale come i moderni credono d’ordinario, ed i monaci stessi non si privavano di una critica molto libera, di cui si possono ritrovare le manifestazioni fin nelle sculture delle cattedrali; tutto ciò non ha nulla di propriamente esoterico, e vi è, nelle opere di cui si tratta, qualche cosa di molto più profondo.













«Queste importanti manifestazioni dell’occultismo, dice ancora Eliphas Levi coincidono con l’epoca della caduta dei Templari, poiché Giovanni di Meung o Clopinel, contemporaneo della vecchiaia di Dante, fioriva durante i suoi anni più belli alla corte di Filippo il Bello.

È un libro profondo sotto una forma leggera [Si può dire la stessa cosa, al XVI secolo, delle opere di Rabelais, che racchiudono anche un significato esoterico che potrebbe essere interessante studiare da vicino], è una rivelazione sapiente quanto quella d’Apuleio dei misteri dell’occultismo.


La rosa di Flamel, quella di Giovanni di Meung e quella di Dante sono nate sullo stesso rosaio» [Eliphas Levi, Histoire de la Magie, 1860, pp. 359-360.

È importante notare anche a tal proposito che esiste una specie d’adattazione italiana del Roman de la Rose, intitolata Il Fiore, il cui autore, «Ser Durante Fiorentino», sembra non essere altri che Dante stesso; il vero nome di quest’ultimo era in effetti Durante, di cui Dante non è che una forma abbreviata].


Su queste ultime righe, non faremo che una riserva: è che il termine «occultismo», che è stato inventato da Eliphas Levi stesso, conviene molto poco per designare ciò che esistette anteriormente ad esso, soprattutto se si pensa a ciò che è diventato l’occultismo contemporaneo, che, pur dandosi per una restaurazione dell’esoterismo, è arrivato ad esserne soltanto una grossolana contraffazione, poiché i suoi dirigenti non furono mai in possesso dei veri principii né di alcuna iniziazione seria.













Eliphas Levi sarebbe indubbiamente il primo a sconfessare i suoi pretesi successori, ai quali egli era certamente molto superiore intellettualmente, pur essendo lungi dall’essere realmente così profondo come vuole apparire, e avendo il torto di considerare ogni cosa attraverso la mentalità di un rivoluzionario del 1848.


Se ci siamo soffermati un poco a discutere la sua opinione, è perché sappiamo quanto la sua influenza sia stata grande, anche su coloro che non l’hanno affatto compreso, e perché pensiamo, come sia bene fissare i limiti nei quali la sua competenza può essere riconosciuta: il suo principale difetto, che è quello del suo tempo, è di mettere le preoccupazioni sociali in primo piano e di mischiarle a tutto indi-stintamente; all’epoca di Dante, si sapeva sicuramente situar meglio ogni cosa al posto che normalmente le compete nella gerarchia universale.














Ciò che offre un interesse davvero particolare per la storia delle dottrine esoteriche, è la constatazione che parecchie manifestazioni importanti di queste dottrine coincidono, con l’approssimazione di qualche anno, con la distruzione dell’Ordine dei Tempio; vi è una relazione incontestabile, quantunque abbastanza difficile a determinarsi con precisione, fra questi diversi avvenimenti.


Nei primi anni del XIV secolo, e senza dubbio già durante il secolo precedente, vi era dunque, in Francia e in Italia, una tradizione segreta («occulta» se si vuole, ma non «occultista»), quella stessa che doveva più tardi portare il nome di tradizione rosicruciana.



La denominazione di Fraternitas Rosae-Crucis apparve per la prima volta nel 1374, o anche, secondo qualcuno (specialmente Michele Maier), nel 1413; e la leggenda di Christian Rosenkreuz, il supposto fondatore, il cui nome e vita sono puramente simbolici, non fu forse interamente costituita che al XVI secolo; ma abbiamo visto che lo stesso simbolo della Rosa-Croce è certamente molto anteriore.


Questa dottrina esoterica, quale che sia la designazione particolare che le si voglia dare fino all’appari- zione del Rosicrucianesimo propriamente detto (se tuttavia si crede proprio necessario di dargliene una), presentava certi caratteri che permettono di farla rientrare in ciò che si chiama abbastanza generalmente l’ermetismo.












La storia di questa tradizione ermetica è intimamente legata a quella degli Ordini di cavalleria; e, all’epoca di cui ci occupiamo, essa era conservata da organizzazioni iniziatiche come quelle della Fede Santa e dei Fedeli d’Amore, e anche quella Massenia del San Graal di cui lo storico Henri Martin parla in questi termini [Histoire de France, t . III, pp. 398-399], precisamente a proposito dei romanzi di cavalleria, che sono ancora una delle grandi manifestazioni letterarie dell’esoterismo al medio-evo:

«Nel Titurel, la leggenda del Graal raggiunge la sua ultima e splendida trasfigurazione, sotto l’influenza delle idee che Wolfram [Il Templare svevo Wolfram d’Eschenback autore diPerceval, e imitatore del benedettino satirico Guyot de Provins, che designa d’altronde col nome singolarmente deformato di «Kyot di Provenza»] sembra aver attinte in Francia, e particolarmente dai Templari del mezzogiorno di Francia.













Non è più nell’isola di Bretagna, ma in Gallia, sui confini della Spagna, che il Graal è conservato.

Un eroe chiamato Titurel fonda un tempio per deporvi il santo Vassello, ed è il profeta Merlino che dirige questa costruzione misteriosa, poiché è stato iniziato da Giuseppe d’Arimatea in persona al piano del Tempio per eccellenza, del Tempio di Salomone [Henri Martin aggiunge qui in nota:

«Perceval finì per trasferire ilGraal e ricostruire il tempio nell’India, ed è il Prete Gianni, questo capo fantastico di una cristianità orientale immaginaria, che eredita la custodia del santo Vassello].












La Cavalleria del Graal diventa qui la Massenia, vale a dire una Massoneria ascetica, i cui membri si chiamano i Templisti e si può qui afferrare l’intenzione di collegare ad un centro comune, figurato da questo Tempio ideale, l’Ordine dei Templari e le numerose confraternite di costruttoriche rinnovavano allora l’architettura del medio-evo.

Si intravvedono qui tante aperture su ciò che si potrebbe chiamare la storia sotterranea di quei tempi, molto più complessi di quanto non lo si creda generalmente...


Ciò che è ben curioso e di cui non si può affatto dubitare, è che la Massoneria moderna risale di scalino in scalino fino alla Massenia del San Graal» [Tocchiamo qui un punto importantissimo, ma che non potremmo trattare senza allontanarci troppo dal nostro soggetto:

vi è una relazione strettissima fra il simbolismo stesso del Graal e il «centro comune» cui Henri Martin allude, ma senza sembrare supporne la realtà profonda, come parimenti non comprende evidentemente ciò che simbolizza, nella stesso ordine di idee, la designazione del Prete Gianni e del suo regno misterioso].











Sarebbe forse imprudente adottare in modo troppo esclusivo l’opinione espressa nell’ultima frase, poiché gli attacchi della Massoneria moderna con le organizzazioni anteriori sono, anch’essi, estremamente complessi; ma è nondimeno bene tenerne conto, poiché vi si può vedere per lo meno l’indicazione di una delle origini reali della Massoneria.


Tutto ciò può aiutare ad afferrare in una certa misura i mezzi di trasmissione delle dottrine esoteriche attraverso il medio evo, come pure l’oscura filia- zione delle organizzazioni iniziatiche durante questo stesso periodo, nel corso del quale esse furono veramente segrete nella più completa accezione del termine.




«O voi che avete gl’intelletti sani, Mirate la dottrina che s’asconde Sotto il velame detti versi strani!»
(INFERNO IX 61-63)


"Con queste parole, Dante indica in modo molto esplicito che nella sua opera vi è un senso nascosto, propriamente dottrinale, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un velo, e che deve essere ricercato da coloro i quali sono capaci di penetrarlo".
(RENE' GUENON - L'ESOTERISMO DI DANTE)

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MICHELE P.


RABBI AKIVA E SHIMON BAR YOCHAI


RABBI AKIVA


Akiva ben Joseph, semplicemente noto come Rabbi Akiva (in ebraico: רבי עקיבא‎; Lod, 40 – Tiberiade, 137), è stato un rabbino ed erudito ebreo tanna, martirizzato e ucciso dai romani.

Grande autorità della tradizione ebraica ed uno dei principali contributori all'Halakha, alla Mishnah e ai midrashim. Viene citato nel Talmud come Rosh la-Chakhamim ("Capo di tutti i Saggi"), ed è considerato come uno dei primi fondatori dell'ebraismo rabbinico.

È il settimo Saggio più citato della Mishnah.


Il Talmud narra che i romani, con l'intento di eliminare la pratica dell'ebraismo e gli ebrei, proibirono ai loro Maestri di insegnare la Torah. Nonostante questa proibizione, punibile con la morte, Rabbi Akiva rifiutò di ottemperare al decreto e fu imprigionato e condannato a morte.


Curiosità:

La Torah orale racconta che Rabbi Akiva ebbe un asino, un gallo, un lume e delle pergamene di studio: arrivò il vento e spense il lume, una fiera "si prese l'asino" ed il gallo scappò; egli rimase nello stesso posto poiché effettivamente impossibilitato per l'accaduto. Presto venne a conoscenza di un episodio accaduto dove egli avrebbe voluto andare: dei banditi posero assedio e fecero razzia.
Egli ebbe fede e riconobbe la provvidenza divina, anche "individuale".


Fonte Wikipedia

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Rabbi Akiva entra ed esce nel PARDES:

" Cosi hanno insegnato i nostri saggi: quattro persone sono entrate nel Pardes ed erano: Ben Azai, Ben Zoma, Acher e Rabbi Akiva. Rabbi Akiva disse loro: quando arriverete alle pietre di marmo bianco non dite: acqua! Acqua!, dato che è scritto: colui che dice menzogne non potrà stare davanti ai miei occhi.  Ben Azai guardò e morì, e di lui il verso dice: preziosa agli occhi di Dio è la morte dei suoi pii.  Ben Zoma guardò e rimase ferito, e di lui dice il verso: ha trovato miele, basta di mangiarne, o altrimenti ti sazierà al punto di vomitarlo. Acher si mise a tagliare i virgulti.
Rabbi Akiva uscì in pace ".
(Talmud - Chaghiga 14b)


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Per altre infromazioni:
http://it.chabad.org/library/article_cdo/aid/2207819/jewish/Il-Significato-della-Vita-di-Rabbi-Akiva.htm


Leggi anche questo:
Sull'interpretazione esoterica della della Kabbalah:
http://lamisticadellanima.blogspot.it/2013/12/sullinterpretazione-esoterica-della.html

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SHIMON BAR YOCHAI

Rabbi Shimon bar Yoḥai (Aramaico: רבן שמעון בר יוחאי, Shimon figlio di Yohai, Simon figlio di Yohai o semplicemente Rashbi; in Ebraico רשב"י, da Rabbi Shimon bar Yohai).

Nel Sefer haZohar viene persino chiamato anche da Rav Yossi, Grande sorgente di luce; I secolo – II secolo (33 del conteggio dell'Omer di un anno sconosciuto) fu un famoso rabbi e Chakham.

Visse all'età dei Tannaim (studiosi della Mishnah) nell'area oggi israeliana che alla sua epoca era però sotto amministrazione dell'Impero romano, dopo la distruzione del Secondo Tempio, secondo il Talmud nel 70 d.C.


Shimon bar Yohai studiò a Yavne, vicino Bnei Brak, in una yeshiva fondata da Rabbi Akiva Ben Joseph, di cui divenne il più eminente discepolo.


A lui si attribuisce tradizionalmente lo Zohar ("Lo Splendore"), il capolavoro del misticismo ebraico.


Inoltre a lui sono attribuite le importanti omelie di carattere legale, chiamate Sifre e Mekhilta, rispettivamente un commentario del libro dei Numeri e del Deuteronomio e dell'Esodo.

Rabbi Shimon bar Yohai compì tutta la propria missione di Zadik nel corso della sua vita e per questo il Popolo ebraico è lieto e festeggia Lag baOmer. Anche suo figlio Rabbi Eleazar ben Shimon fu un noto studioso e Zadik.


Secondo il Talmud, Rabbi Shimeon bar Yohai criticò il governo romano e fu costretto a nascondersi con suo figlio in una grotta per tredici anni sino a quando venne eletto un nuovo Cesare ed il decreto contro i rabbini venne cancellato.

Scelsero una cava nei pressi di Peki'in, dove le tradizioni indicano che presso l'imboccatura sorgeva un carrubo, dei cui frutti i due si alimentarono miracolosamente per quel lunghissimo periodo, bevendo l'acqua di una sorgente vicina.


Risolte in tal modo le impellenze di cibo e bevande, anche grazie alle loro mogli che li fornivano loro di nascosto, essi si immersero nelle preghiere e nello studio della Torah, evitando il freddo, seppellendosi quasi per interno nella sabbia della caverna.


Secondo lo storico Heinrich Graetz, i sentimenti antiromani di Shimon lo portarono alla condanna comminatagli da Varna verso il 161 d.C. Egli sfuggì alla pena rifugiandosi, per l'appunto, in una caverna.

Uscitone poi, il Rabbi si trasferì a Tiberiade e in altre città della Galilea.


A lui l'angelo Metatron avrebbe rivelato la fine del mondo e l'avvento del Messia.


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Lo Zohar, "Libro dello Spledore":
https://it.wikipedia.org/wiki/Zohar

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Opere e leggende:

Si guadagnò la reputazione di operatore di miracoli, e per questo sarebbe stato ufficialmente inviato a Roma, in cui la leggenda narra che avrebbe esorcizzato la figlia dell'Imperatore, posseduta da un demonio che Shimon riuscì ad obbligare ad abbandonare il corpo della giovane.

Il rabbi si occupò molto circa gli aspetti della Legge ebraica e le sue decisioni sono citate di frequente.


A lui furono attribuite le importanti omelie legali chiamate Sifre e Mekhilta, e sopra ogni cosa a lui si attribuisce lo Zohar, il principale capolavoro della Qabbalah.


Il più importante resoconto degli insegnamenti di Shimon si trova nell'opera di W. Bacher, la Agada der Tannaiten, ii. pp. 70–149.

Quando il Talmud attribuisce un insegnamento a Rabbi Shimon, senza specificare di quale Rabbi Shimon si tratti, vuol dire che parla di Shimon bar Yohai.  Esiste un testo della tradizione ebraica della Qabbalah secondo cui chi ha in visione il volto di Rabbi Shimon bar Yochay è certo di "aver parte" nel Mondo futuro; ciò, sebbene simile, è differente dalla visione del profeta Elia.


Fonte Wikipedia

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I Martiri dell'Ebraismo:

Il martirologio ebraico si concentra inizialmente e simbologicamente sui martiri ebrei di età ellenistica, conoscendo poi picchi in diversi periodi (70, 135, 1096, 1349, 1492, 1648) e il suo culmine nel XX secolo (1933-45) con la Shoah. Nella Storia degli ebrei, anticamente, vi furono 10 Rabbanim o Chakhamim martiri tra cui il molto noto Rabbi Aqiva.


L'evento storico viene appunto chiamato Dieci Martiri (ebraico: עשרת הרוגי מלכות, Aseret Harugei Malchut) per riferirsi al gruppo dei dieci rabbini, che vivevano durante l'era della Mishnah e che furono martirizzati dai romani nel periodo della distruzione del Secondo Tempio.

Sebbene tutti e dieci non avrebbero potuto essere uccisi allo stesso tempo, dato che due dei rabbini elencati erano vissuti ben prima degli altri otto – sono elencati insieme, in un poema drammatico (noto come Eleh Ezkerah) recitato in due importanti festività ebraiche, per suscitare il giusto spirito del giorno celebrato, momento di riflessione e speranza di redenzione a fronte di attacchi alla fede ebraica.


Il termine "martirologia" viene inoltre usato per la storia delle morti (martirio) di numerosi altri rabbini (incluso il già citato Rabbi Akiva) da parte dei romani; la storia è letta sia durante lo Yom Kippur che a Tisha b'Av.


Le morti furono atroci e cruente, con alcuni dei martiri avvolti nei rotoli della Torah e poi bruciati vivi, come torce umane. Si veda anche la Midrash Eleh Ezkerah.

Tali rabbini sono vissuti in un periodo di diverse centinaia di anni, e le loro storie sono presentate come una trama dei romani per indebolire gli ebrei distruggendone la leadership ebraica.


Secondo il poema, i primi due da giustiziare furono Rabban Shimon ben Gamliel e il rabbino Ismaele, che era il Kohen Gadol (Sommo Sacerdote).

Shimon ben Gamliel fu decapitato, e, mentre il rabbino Yishmael piangeva, la figlia del governatore romano ambiva Rabbi Ismaele per la sua bellezza fisica.


Quando le fu detto che doveva essere gistiziato anche lui, chiese che la pelle del suo capo venisse scorticata mentre era in vita, in modo che potesse impagliarla e guardarlo in viso.


Il martire più conosciuto è Rabbi Akiva, che fu torturato con pettini di ferro sulla pelle.

Nonostante il dolore lo consumasse, fu ancora in grado di proclamare la Divina Provvidenza nel mondo recitando lo Shemà, gridandone la finale Echad ("Uno").


Un altro saggio martirizzato fu Rabbi Haninah ben Teradion, che fu avvolto in un rotolo della Torah e bruciato vivo.

Gli fu imbottito il petto di lana umida per assicurare che non morisse presto. Mentre veniva arso, disse ai suoi studenti che riusciva a vedere le lettere della Sacra Torah "volare in alto" verso il cielo.


Gli altri citati nel poema sono Rabbi Hutzpit l'Interprete (così chiamato perché interpretava i discorsi del Rosh Yeshiva - il capo della Yeshivah - per il popolo ebraico che non riusciva a seguirne tutte le parole); Rabbi Eleazar ben Shammua; Rabbi Hanina ben Hakinai; Rabbi Jeshbab lo Scriba; Rabbi Judah ben Dama; e Rabbi Judah ben Baba.


Continua:
https://it.wikipedia.org/wiki/Martirio_(ebraismo)


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Per maggiori Info su Rabbi Shimon Bar Yochai:

Resurrezione e reincarnazione (Gilgul) dagli insegnamenti cabbalistici del Rav Shimon Bar Yochai e del Rav Luria:
https://hashlamahitaly.wordpress.com/2016/11/26/resurrezione-e-reincarnazione-dagli-insegnamenti-cabalistici-del-rav-shimon-bar-yochai/



La nascita di Rabbi Shimon:
http://it.chabad.org/library/article_cdo/aid/1519495/jewish/La-Nascita-di-Rabbi-Shimon-Bar-Yochai.htm


Altre info:
http://www.morasha.it/zehut/rc08_lagbaomer.html


Moshe ben Shem-Tov:
https://it.wikipedia.org/wiki/Moses_de_Le%C3%B3n


Lista di cabalisti ebrei;
https://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_cabalisti_ebrei

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La Merkavah e l'esoterismo dello Zohar


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" Guai a colui che dice che la Torah viene a narrare racconti mondani, e cose ordinarie.
Se così fosse, perfino nei nostri tempi potremmo comporre una Torah (insegnamento) per le faccende ordinarie, perfino di qualità superiore. Perfino i potenti (principi) del mondo possiedono libri di valore superiore. Se fosse così, seguiremmo questi capi, e faremmo delle loro parole una Torah.
Ma non è così, poiché tutte le parole della Torah sono parole superne (celestiali) e segreti sublimi ".
(Rabbi Shimon bar Yochai - Sefer ha-Zohar)

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MICHELE P.

                                                        

YITZHAK LURIA E LA CABALA' LURIANICA
















" Quando il Creatore decise di realizzare la Creazione, la ideò secondo le Sue caratteristiche.
L’Ein Sof, la Luce infinita, si ritirò nella natura del Creatore stesso o, per usare un termine cabbalistico, il Creatore “restrinse” Sé stesso (Tzimtzum) creando un vuoto.
Da questa “restrizione” scaturì la “Luce infinita”.
Quando a sua volta la Luce si “concentrò/consolidò/prese forma” nel centro di questa nuova realtà apparve uno spazio vuoto circondato da dieci vasi (kelim)- connessi alle Sephirtoh dell'Albero della Vita per mezzo delle quali le infinite realtà, formando un'unione assoluta, possono apparire nella loro "diversità".
Per la loro vicinanza con l’Ein Sof, successivamente questi vasi (recipienti) furono solo in parte in grado di sopportare la Luce, alcuni di essi, infatti, non riuscirono a sopportare tale potenza e "si frantumarono".
Lo scopo del cabbalista è quello di riuscire a rettificare/ricostruire tali vasi (Sephirtoh) attraverso la pratica di profonde meditazioni.
L'Albero sefirotico (Etz Haim - עץ החיים), oltre ad essere l'Albero della vita posto nel centro del Gan Eden, incarna la "porta del cielo" situata nell'intimo di ogni uomo.
Tramite questo potente simbolo, strettamente connesso all'Eterno, giunge a noi il sostentamento energetico che vivifica l'anima presente nel corpo grossolano di ogni creatura.
Lo scopo delle pratiche cabbalistiche sono volte al recupero di quella condizione spirituale che favorirebbe, attraverso la connessione con la Luce divina, l'apertura e/o la ricostruzione dei "sigilli" (Sephiroth) chiusi/spaccati del nostro "giardino".
Attraverso queste pratiche, secondo ciò che viene tramandato dalla Kabbalah, il mistico può sperare di ritrovare quella condizione spirituale in cui l'uomo (Adam) un tempo "passeggiava" (era in sintonia) con Dio, e tornare in tutto e per tutto in comunione con Lui ".
(Michele Perrotta - Considerazioni sull'Albero della Vita)


Giardino/Fontana di Luce

"Gan naul achoti khalla' gal naul mayan chatum" - גַּן נָעוּל, אֲחֹתִי כַלָּה; גַּל נָעוּל, מַעְיָן חָתוּם". 

"Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata ". 
(Cantico dei Cantici 4:12)

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Isaac Luria, anche detto Yitzhak Luria, italianizzato col nome di Isacco Luria (in ebraico: יצחק לוריא‎, Yiṣḥāq Lùria; Gerusalemme, 1534 – Safed, 25 luglio 1572), è stato un rabbino, mistico e teologo ottomano, kabbalista attivo a metà del Cinquecento nella città di Safed, nell'allora Palestina ottomana.


Conosciuto anche con i soprannomi reverenziali di Ari («il Leone», acronimo di Ashkenazi Rabbi Yitzhak, «Il Maestro Tedesco Yitzhak»), Arizal, dove ZaL è l'acronimo di Zikhrono Livrakha («di benedetta memoria» o letteralmente «il ricordo di lui [sia] in benedizione», un tratto d'onore ebraico riservato ai defunti), e anche come Ari Ha-Kadosh («il Santo Ari»), Isacco Luria è stato uno dei pensatori più importanti nella storia della mistica ebraica.


Attraverso la sintesi delle idee contenute nei testi kabbalistici che ebbero grande fortuna durante la sua epoca (soprattutto lo Zohar) e la trattazione sistematica della sua dottrina per merito del suo più vicino discepolo, Hayim Vital, nella cerchia di Safed, Luria fu in grado di rivoluzionare completamente la tradizione della Kabbalah, aprendo uno spartiacque che separò la Kabbalah classica medievale da quella che prende il suo nome, e di cui è stato il fondatore: la Kabbalah lurianica.




Il nome di Luria, per la grande aura di santità che lo circondava a Safed e il suo seguito di devotissimi discepoli, rimase per lungo tempo avvolto nella leggenda, e la sua influenza sull'ebraismo iniziò a propagarsi inarrestabile già pochi decenni dopo la sua morte, raggiungendo la massima portata di diffusione con il sabbatianesimo nel Seicento e il chassidismo nel Settecento.


Il rabbino kabbalista Yiṣḥāq Luria è considerato il più grande e celebre studioso del pensiero mistico ebraico. Sebbene il suo diretto contributo letterario sia stato estremamente esiguo (egli non scrisse che poche opere), per onorarne la fama venne dato il suo nome alla scuola kabbalistica di Safed.


Il principale divulgatore delle sue teorie fu Hayim Vital, che ebbe la pretesa di essere riconosciuto come l'interprete ufficiale del sistema lurianico, sebbene fosse da alcuni contestato.


Egli nacque a Gerusalemme nel 1534 dove il padre, un Ashkenazi dell'Europa centrale, era emigrato dopo il matrimonio con una sefardita e morì a Safed, nella Palestina dell'Impero Ottomano, il 25 luglio 1572 (5 Av 5332).


Ancora bambino perse il padre e la madre decise di trasferire la famiglia in Egitto, così che il giovane Isaac potesse essere educato dallo zio Mordecai Francis (fratello della madre), un ricco agricoltore che viveva a Il Cairo, e che lo affidò a sua volta ai migliori insegnanti ebrei.

Luria si dimostrò un diligente studente della letteratura rabbinica; sotto la guida del Rabbino Bezalel Ashkenazi (meglio conosciuto come autore di Shittah Mekubetzet), divenne abile nel ramo dell'apprendimento ebraico, sebbene fosse ancora piuttosto giovane.
Studiò in una Yeshiva sotto la direzione di David Ben Solomon Ibn Abi Zimra.


E, secondo la sua stessa testimonianza, Luria avrebbe anche studiato con il qabbalista Kalonymos. All'età di 15 anni sposò la cugina e, potendo godere di ingenti mezzi finanziari, fu in grado di continuare i suoi studi. Sebbene inizialmente avrebbe potuto intraprendere la carriera negli affari, egli si rivolse presto verso l'ascetismo ed il misticismo.


All'incirca all'età di 22 anni, egli divenne assorto nello studio dello Zohar, una grande opera della Qabbalah che era stata recentemente stampata per la prima volta, e di grandi opere qabbalistiche anteriori abbracciando la vita da recluso.


Si ritirò sulle rive del Nilo, e per 7 anni si isolò solo con sé stesso, dando tutto di sé sino alla meditazione. Luria faceva visita alla propria famiglia solo durante lo Shabbat, parlava molto raramente, e sempre in ebraico.

I Chassidim gli attribuiscono frequenti colloqui col Profeta Elia durante questa vita ascetica, per la quale fu avviato a sublimi dottrine.


LA SUA DOTTRINA:

La sua concezione del mondo era enormemente influenzata dalle questioni che preoccupavano le comunità ebraiche dell'epoca, traumatizzata a causa delle espulsioni dalla Spagna e dalle azioni dell'Inquisizione.
Luria addusse spiegazioni sorprendenti ma logiche ed intravide il fine della sofferenza del popolo ebraico, il che spiega il successo delle sue tesi e la velocità con la quale si propagarono.  In merito ai massacri, riteneva che la morte fisica non è più di una tappa e che la vita di ognuno sulla terra ha un obiettivo. Spiegò che le mancanze degli uomini macchiavano il Messia e ritardavano la sua venuta. Successivamente un rito di purificazione permetterebbe di accelerarla.


I SUOI INSEGNAMENTI:

L'Ari era solito realizzare le sue conferenze estemporaneamente e, con l'eccezione di diversi lavori e qualche poema qabbalistico in Aramaico per la tavola dello Shabbat, non scrisse mai molto.

Il vero esponente del suo sistema qabbalistico fu Chaim Vital di Calabria. Egli conservò tutti gli appunti delle conferenze che i discepoli dell'Arizal fecero; e da questi appunti furono prodotte numerose opere, la più importante delle quali fu Etz Chayim (L'Albero della Vita) in otto volumi.


All'inizio quest'opera venne diffusa in copie manoscritte; ed ognuno dei discepoli dell'Arizal doveva impegnarsi, a pena della scomunica, che non venissero fatte copie non autorizzate destinate ad un paese straniero; così che per un periodo tutti i manoscritti rimasero in Palestina. Più tardi, ad ogni modo, una copia fu portata in Europa e venne pubblicata a Zolkiev nel 1772 da Isaac Satanow.

In quest'opera sono esposte sia la parte teorica che la meditazione devozionale della Qabbalah basata sullo Zohar.


INSEGNAMENTI SULLE SEPHIROTH:

La funzione caratterizzante del sistema dell'Arizal nella parte teorica della Qabbalah e la sua definizione delle Sefirot è la sua teoria degli agenti intermedi, che lui chiamava Partzufim.

Prima della Creazione del mondo, egli disse, l'Ein Sof (Senza Fine) riempì lo spazio infinito.

                                                                                              

Quando il Creatore decise la Creazione, la ideò secondo le Sue caratteristiche, che quindi appartengono ad altri esseri, e di conseguenza dovrebbero manifestarsi nella loro perfezione.

L’Ein Sof si ritirerà nella natura del Creatore o, per usare un termine qabbalistico, il Creatore "restringerà" (Tzimtzum) Sé stesso. Da questa “restrizione” scaturirà la “luce infinita”.

Quando a sua volta la luce si “concentrò” nel centro apparve uno spazio vuoto circondato da dieci cerchi o vasi (kelim): anche secondo questo evento vi fu correlazione con le Sefirot (“Numeri Cerchiati”) per mezzo delle quali le infinite realtà, formando un'unione assoluta, possono apparire nella loro "diversità"; nella prospettiva di un "mondo finito" non c'era nessuna reale esistenza ancora realizzata, ma solo "potenzialmente". 

Tuttavia, la luce infinita non ha completamente svuotato il centro; un sottile raggio di luce ha attraversato cal "circonferenza immaginaria" ed è penetrato nel centro; per la loro vicinanza con l’Ein Sof,successivamente sono stati in grado di sopportare la luce, ma alcuni "cerchi/vasi più interni" non riuscirono a fare questo "si frantumarono" Fu necessario, pertanto, rimuoverli dall'esposizione alla luce.


Anche il termine Sefirot significa indicativamente in “cifre”


La prima Sefirah è Keter ("La Corona"): potenziale esistenza, come Arich Anpin; la seconda Sefirah è Chochmah (“La Saggezza"), come principio "Padre" (Abba); la terza Sefirah, Binah ("La Comprensione"), come principio "femminile", anche chiamato "Madre" (Imma); le sei Sefirot, a cui sono "facilmente" correlate la simbologia "attiva maschile" e quella "passiva femminile"; la decima Sefirah Malkut, che è ("La Regalità"), nella “figlia femmina”(Bath).


Il Creatore, all'inizio, aveva creato questi eventi "preesistenti" perché così non vi sarebbe stata alcuna forma di male al mondo e di conseguenza nessuna ricompensa né punizione; il male è sorto con/nella rottura delle Sefirot o vasi (Shvirat Keilim), mentre la luce di Ein Sof produce solo ciò che è buono.


Queste si trovano in ognuno dei Quattro Mondi: il mondo degli Emanati (Atzilut), la Creazione (Beri'ah), la Formazione (Yetzirah), ed il mondo delle Azioni (Asiyah) che rappresenta il mondo materiale.

Il sistema dell'Ari, sul quale è basata la sua Qabbalah devota e meditativa, è strettamente connesso con le sue dottrine metafisiche.


Dalle cinque cifre o gradi, ad esempio di Ghevurah e/o Chessed, disse, deriva gran parte delle Middot delle cinque anime, Nefesh ("Lo Spirito"), Ru'ach ("Il Vento"), Neshamah ("L'Anima"), Chayah ("La vita"), e Yechidah ("Il Singolare"); la prima di esse divenne la più bassa e l'ultima la più alta. (Fonte: Etz Chayim).


L'anima dell'uomo è il collegamento fra l'infinito ed il finito e, come tale, ha un carattere multiforme. Tutte le anime destinate alla razza umana furono create assieme ai vari organi di Adamo.

Così come esistono organi superiori ed inferiori, ci sono anche anime superiori ed inferiori, tutto questo in accordo con gli organi alle quali sono rispettivamente assegnate.

Così ci sono le anime del cervello, le anime dell'occhio, le anime della mano, e così via.


Ogni anima umana fu/è [come] una scintilla (nitzotz) "dell'Adam".


Il primo peccato del primo uomo causò confusione fra i vari ordini delle anime: il superiore mischiato con l'inferiore; il bene con il male; così persino alcune anime pure ricevono una miscela di male o, come le chiamava Luria, degli elementi dei “gusci” (Qelipot).

Dalle classi inferiori delle anime proviene il mondo pagano mentre da quelle superiori venne emanato il mondo del popolo d'Israele.


Ma, come conseguenza alla confusione, il passato non è stato del tutto spogliato della sua bontà iniziale ma non è neanche completamente libero dal peccato.

Questo stato di confusione, che dà un continuo impulso verso il male, finirà con l'arrivo del Messia, che instaurerà il sistema morale del mondo su una nuova base.


Fino all'arrivo di questo momento l'anima di alcuni individui poi, a causa delle proprie mancanze, non può tornare alla fonte e deve vagare, non solo per corpi ma anche "per" animali e persino presso cose inanimate come il legno, i fiumi e le pietre: questa teoria è parte di quanto definito con il termine Ghilgul, ovvero "reincarnazione" e/o "ciclo di vite".


Continua: https://it.wikipedia.org/wiki/Isaac_ben_Solomon_Luria


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CABALA' LURIANICA:

Cabala lurianica (o anche Cabala luriana), così chiamata con riferimento al cabalista ebreo Isaac Luria (detto "ARI'zal" o semplicemente l‘Ari) che la sviluppò, esponendo una nuova interpretazione fondamentale del pensiero cabalistico che i suoi seguaci sintetizzarono e incorporarono nella prima Cabala ebraica esegetica dello Zohar: essa si era già diffusa in ambienti medievali.

                                                                  

La Cabala luriana descrive nuove dottrine sovrarazionali sulle origini della Creazione (Tzimtzum) e la sua restaurazione cosmica (Tohu e Tiqqun); incorpora quindi una revisione e sistematizzazione più completa degli insegnamenti cabalistici precedenti.

Il principale divulgatore delle idee di Luria fu Rabbi Hayyim ben Joseph Vital di Calabria, che sostenne di essere l'interprete ufficiale del sistema lurianico, anche se ciò fu contestato da alcuni.


Nel loro complesso, gli insegnamenti scritti compilati e raccolti dalla scuola di Luria dopo la sua scomparsa vennero "accreditati" veritieri e metaforicamente chiamati "Kitvei HaARI" (Scritti dell'ARI), anche se differivano su alcune interpretazioni basilari delle prime generazioni.  Interpretazioni precedenti dello Zohar erano culminate a Safed nello schema di Moshe Cordovero, influenzato razionalmente dalla filosofia ebraica, immediatamente prima dell'arrivo Luria.


Sia il sistema di Cordovero che quello di Luria hanno dato alla Cabala una sistemica teologica messa a confronto con la precedente eminenza della filosofia ebraica medievale.

Sotto l'influenza della rinascita mistica della già descritta scuola di Safed del XVI secolo, il lurianismo divenne la teologia tradizionale ebraica quasi universale nei primi anni dell'era moderna, sia nei circoli accademici che nell'immaginazione popolare.


Lo schema lurianico, letto dai suoi seguaci in armonia con quello cordoveriano e in seguito più avanzato, in gran parte lo rimpiazzò, diventando il fondamento dei successivi sviluppi del misticismo ebraico.


Dopo l'Ari, lo Zohar venne interpretato in termini lurianici e i cabalisti esoterici dopo ne ampliarono la teoria mistica nell'ambito del sistema lurianico.


I successivi movimenti chassidici e mitnagdici differirono sulle implicazioni della Cabala lurianica ed il suo ruolo sociale nel misticismo popolare.

Anche l'eresia mistica sabbatiana derivò le sue origini dal messianismo lurianico, ma distorse antropomorfismicamente l'interdipendenza cabalistica del misticismo con l'osservanza halakhica.



LA CONTRAZIONE DIVINA E LA CREAZIONE DELL'UNIVERSO:



Afferma l'accademico Gershom Scholem che la dottrina del Tzimtzum è uno dei concetti più straordinari e sconcertanti mai proposti nell'intera storia del cabalismo.


Tzimtzum in origine significa "concentrazione" o "contrazione", ma se usato in ambito cabalistico è meglio tradotto con "ritiro", "riduzione" o "limitazione".


Questa idea forse appare diffusamente per la prima volta in un breve trattato, completamente trascurato, che venne scritto nel XIII secolo e che Luria sembra aver usato: la sua derivazione letteraria proviene da un detto del Talmud: inoltre un Midrash occasionalmente fa riferimento a Dio che ha concentrato la Sua Shekhinah, la Sua Presenza Divina, nel Santo dei Santi, come se la Sua intera potenza si potesse concentrare e concentrare "in un unico punto": da ciò il dilemma di Re David che si chiedeva come un solo "Luogo" potesse essere Sua Residenza.


Da qui l'origine del termine Tzimtzum, mentre il concetto stesso, ovvero la rivelazione della Profezia, è l'opposto preciso di questa idea talmudica della "riduzione": per il cabalista della scuola lurianica, Tzimtzum non significa la concentrazione di Dio ad un "dato punto", ma il suo ritiro via da un "dato punto".

Cosa significa?

In breve, significa che l'esistenza dell'universo è resa possibile da un processo di contrazione, di restringimento di Dio.


Luria inizia il suo ragionamento ponendo una domanda che ha tutta l'apparenza di essere naturalistica e, in un certo modo, abbastanza grossolana: come fa ad esserci un mondo se Dio è dappertutto?

Se Dio è "Tutto in tutto", come possono esserci cose che non siano Dio?

Come fa Dio a creare il mondo dal nulla se il nulla non esiste? Qui sta la questione della contemporanea trascendenza ed immanenza di Dio nella Shekhinah.


La soluzione di Luria, nonostante la forma grezza che le diede, divenne della più grande importanza nella storia successiva del pensiero cabalistico. Secondo l'Arizal, Dio è costretto "a far posto al mondo" abbandonando, per così dire, una regione di Se Stesso, un tipo di spazio mistico primordiale dal quale si ritira per poi ritornarci nell'atto della creazione e rivelazione.


Il primo atto di Ein Sof, l'Essere Infinito, non è quindi quello di "uscire" bensì di "entrare", un movimento di retrocessione, di ritiro su Se Stesso, un ripiegarsi retrocedendo in Sé per poi rivelarSi e ManifestarSi nel completamento dell'era messianica.


Abbiamo quindi un'emanazione e l'opposto, una contrazione. Dio che si rivela, Dio: più profondamente nel Suo proprio "Essere"... Ché si concentra su Se Stesso e lo fa sin dall'inizio della Creazione.

Di certo questa concezione venne spesso percepita, anche da coloro che le diedero una formulazione teorica, come vicina alla blasfemia: ma Dio è presente ovunque, anche nel Ghehinnom, nel Gan Eden e nel Mondo tutto anche se persino gli Angeli si chiedono dove possa essere la Sua "Residenza".



SHEVIRAH - LA FRANTUMAZIONE DEI VASI (SEPHIROTH):

La prima configurazione divina all'interno del vuoto comprende Adam Kadmon, il primo Reame Spirituale incontaminato descritto nella prima Cabala. È la manifestazione della Volontà Divina specifica per la Creazione successiva, nel quadro relativo della Creazione.


Il suo nome antropomorfico indica metaforicamente il paradosso della creazione ("Adamo") e della manifestazione ("Kadmon" - Divinità Primordiale): da quel momento l'uomo è inteso come incarnazione prossima delle manifestazioni divine nella Creazione successiva non ancora emersa.


Il Kav forma le sephirot, ancora solo latenti, di Adam Kadmon in due fasi: prima come Iggulim ("Cerchi"), poi comprese come Yosher ("Verticali"): i due schemi di organizzazione delle Sephirot. Nella spiegazione sistematica di Luria dei termini trovati nella Cabala classica:  Iggulim ("Cerchi") sono le sephirot che agiscono come 10 principi "concentrici" [quasi] indipendenti (cfr Nequdim); Yosher ("Verticale") è un Partzuf (Configurazione o ipostasi) dove le sephirot agiscono in armonia tra di loro in uno schema a tre colonne.


"Verticale" viene chiamato così per analogia all'anima e al corpo dell'uomo.

Nell'uomo le 10 sephirot-potenze dell'anima agiscono in armonia, "riflesse" nei differenti arti del corpo, ognuna con una funzione particolare.


Luria spiega che è la configurazione Yosher-Verticale delle sephirot a cui si riferisce Genesi 1:27: "Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò".

Tuttavia in Adam Kadmon, entrambe le configurazioni delle sephirot rimangono solo potenzialmente. Adam Kadmon è pura Luce Divina, senza vasi, delimitata dalla sua futura Volontà potenziale di creare vasi e dall'effetto restrittivo della Reshima.


Dalla configurazione incorporea figurativa di Adam Kadmon emanano cinque luci: metaforicamente dagli "occhi", "orecchie", "naso", "bocca" e "fronte".


Queste interagiscono tra di loro per creare tre particolari Mondi-Fasi spirituali dopo Adam Kadmon: Akudim ("Vincolanti" - Caos stabile, Tohu e Tiqqun), Nekudim ("Punti" - caos instabile), Berudim ("Connessi" - inizio della Restaurazione).


Ogni reame è una fase sequenziale come nella prima emersione dei vasi (nella Qabbalah vi sono differenti concezioni delle figure dei vasi) delle Sephirot, prima del Mondo di Atziluth ("Emanazione"), il primo dei Quattro Mondi spirituali della Creazione descritti nella Cabala precedente.


Mentre le Sephirot emergevano all'interno dei vasi, agivano come 10 forze Iggulim indipendenti, senza interrelazioni. La Chesed (Carità ) opposta alla Ghevurah (Giudizio), e così via con le "emozioni" (o middot etiche) successive.

Questo stato, il Mondo di Tohu ("Caos"), precipitò in una "catastrofe" cosmica nel reame divino: Tohu è caratterizzato da alta Luce Divina (Ohr) in vasi deboli, immaturi, non armonizzati.


Mentre la Luce Divina si riversava nelle prime Sephirot intellettuali, i loro vasi erano abbastanza vicini alla loro sorgente per contenere l'abbondanza della vitalità.


Tuttavia, poiché il traboccamento continuava, le Sephirot emotive successive si ruppero (Shevirat HaKeilim - "Frantumazione dei Vasi") da Binah (Comprensione) fino a Yesod (Fondazione) sotto l'intensità della luce.


La Sephirah finale Malkhut (Reame) rimane parzialmente intatta come Shekhinah(Immanenza Divina Femminile), per un dato periodo esiliata nella Creazione.

Questo è il racconto esoterico in Genesi e Cronache degli 8 Re di Edom che regnarono prima che qualsiasi re regnasse in Israele.


I frammenti dei vasi rotti caddero dal regno di Tohu giù nell'ordine creato successivo di Tiqqun ("Restaurazione"), frantumandosi in innumerevoli frammenti, ognuno animato da Nitzutzot ("scintille") esiliate dalla loro luce originale.


Le più sottili scintille divine vennero assimilate nei reami spirituali superiori come loro forza creativa vitale.

I frammenti "animati" più grezzi caddero giù nel nostro reame materiale, con i frammenti minori che alimentano i reami ossificanti (Qelipot) dell'impurità.



GILGUL - LA REINCARNAZIONE:

Il sistema psicologico di Isaac Luria, su cui si basa la sua Cabala devozionale e meditativa, è strettamente connesso alle sue dottrine metafisiche.

Egli afferma che dai cinque Partzufim emanano cinque anime, Nefesh ("Spirito"), Ru'ach ("Vento"), Neshamah ("Anima"), Chayah ("Vita") e Yechidah ("Singolare"), la prima di queste è la più bassa, e l'ultima la più alta.

L'anima dell'uomo è l'anello di congiunzione tra l'infinito e il finito ,e come tale, presenta differenti caratteristiche.


Tutte le anime destinate al genere umano sono state create insieme ai vari organi di Adamo.


Come ci sono organi superiori ed inferiori, così ci sono anime superiori ed inferiori, secondo gli organi con cui sono rispettivamente accoppiati.

Così ci sono anime del cervello, anime degli occhi, anime della mano, ecc.


Ogni anima umana è una scintilla (nitzotz) di Adamo.


Il primo peccato del primo uomo ha causato confusione tra le varie classi di anime: il superiore si è mescolato con l'inferiore; il bene con il male; cosicché anche l'anima più pura ha ricevuto una mescolanza di male o, come lo chiama Luria, dell'elemento degli "involucri" (Qelipot).

A causa di tale confusione, i primi non sono interamente privati del bene originale, e gli ultimi non sono del tutto liberi dal peccato.


Questo stato di confusione, che talvolta provoca un impulso continuo verso il male o Zaddiq), cesserà con l'arrivo del Messia, che stabilirà il sistema morale del mondo su una nuova base.


Fino all'arrivo del Messia, l'anima dell'uomo, a causa delle sue carenze, non può "tornare" alla sua sorgente e deve vagare non solo attraverso i corpi degli uomini e degli animali ma a volte anche attraverso le cose inanimate come il legno, i fiumi, e le pietre.


A questa dottrina di gilgulim (reincarnazione delle anime) Luria aggiunse la teoria dell'impregnazione (ibbur) delle anime: se un'anima purificata ha trascurato alcuni doveri religiosi sulla terra, deve tornare alla vita terrena e, attaccandosi all'anima di un uomo vivente, ci si deve unire al fine di colmare tale negligenza.


Inoltre, l'anima di un defunto liberato dal peccato appare di nuovo sulla terra per sostenere un'anima debole che si sente impari al suo compito.

Tuttavia questa unione, che può estendersi a due anime contemporaneamente, può avvenire solo tra le anime di carattere omogeneo, cioè tra quelle che sono scintille dello stesso organo adamita.


La dispersione di Israele ha come scopo la salvezza delle anime degli uomini, poiché le anime purificate degli Israeliti realizzeranno la profezia di diventare "una luce per le nazioni", influenzando le anime di altri popoli a fare del bene.


Secondo Luria, esistono segni dai quali si può imparare la natura dell'anima di una persona: a quale grado e classe appartenga, il rapporto esistente tra essa e il mondo superiore, le peregrinazioni che ha già compiuto, i mezzi con cui può contribuire alla creazione del nuovo sistema morale nel mondo e a quale anima si deve unire per purificarsi.


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L’Arì (abbreviazione di Ashkenazi Rav Yitzhak) di cui il nome completo è Yitzhak (Isaac) Luria Ashkenazi (1534 – 1572), oltre ad essere stato il fondatore della Scuola Lurianica di Kabbalah, il metodo moderno per il raggiungimento dei Mondi Superiori, fu nel XVI secolo considerato il più grande cabbalista della cittadina di Zhepath, situata nel nord di Israele.
Ancora oggi tutti i più grandi cabbalisti si rifanno alla sua scuola di pensiero.


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Sull'Albero della Vita cabbalistico e sul Fuoco sacro:
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MICHELE P.