Misticismo - Esoterismo

La Rosa come Simbolo dell'Anima in evoluzione.

La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa

La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa
Dio, Teologia, Misticismo, Filosofia, Gnosi, Esoterismo.

lunedì 23 gennaio 2012

PICO DELLA MIRANDOLA E I CABBALISTI CRISTIANI

















Il pensiero di Pico della Mirandola si riallaccia al pensiero neoplatonico di Marsilio Ficino, senza però occuparsi della polemica anti-aristotelica.
Al contrario, egli cerca di riconciliare aristotelismo e platonismo in una sintesi superiore, fondendovi anche altri elementi culturali e religiosi, come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala - (da Pico della Mirandola e l'aristolelismo rinascimentale, edizioni Luria, 1979).














Pico della Mirandola, Giovanni, conte di Concordia. - Filosofo (Mirandola 1463 - Firenze 1494).

Si propose di raggiungere una sintesi tra le dottrine più diverse, non solo quelle di ispirazione cristiana e pagana, ma anche quelle di derivazione ebraica e araba e senza escludere il lascito della filosofia medievale: egli scrisse a tal fine un documento articolato in 900 tesi che avrebbe dovuto essere discusso a Roma in una riunione tra dotti provenienti da ogni parte del mondo.

La discussione, tuttavia, non si poté tenere, perché alcune di quelle tesi furono ritenute eretiche. Pubblicò quindi l'orazione De hominis dignitate, che avrebbe dovuto inaugurare il congresso e che può essere considerata il «manifesto» dello spirito umanistico-rinascimentale: in essa, infatti, si individua nella libertà la caratteristica fondamentale dell'uomo, garantita dal non essere egli di una natura determinata, ma capace di darsi la natura che vuole, dal non aver limite né chiusura, dal suo essere aperto a tutto, capace di diventare tutto, fino ad ascendere con il suo intelletto al termine ultimo, alla congiunzione con Dio.


VITA:

Quattordicenne si recò a Bologna (1477) per studiare diritto canonico; nel 1479 è a Ferrara (nello stesso anno, in un viaggio a Firenze, conobbe Poliziano e probabilmente Ficino) ove ebbe forse rapporti con Savonarola e fu amico di Guarini; nel 1480-82, a Padova, ascoltò Nicoletto Vernia, conobbe Nifo, entrò in rapporto con Elia Del Medigo, con Girolamo Donato e altri dotti, con i quali si avviò allo studio della filosofia aristotelica e dei suoi commentatori greci, arabi e latini.






Lasciata Padova per Pavia (1482), dove coltivò, con la filosofia, il greco, nel 1484 era a Firenze ed entrò subito nell'ambiente platonico che gravitava attorno a Ficino; nel 1485 in Francia.

Rientrato in Italia (1486) si proponeva di convocare a Roma un convegno di dotti per sottoporre alla loro discussione le tesi filosofiche che era andato maturando in vista della dimostrazione di una pia philosophia capace di assicurare una pace e una «concordia» tra tutte le scuole.

Intanto andava riprendendo i suoi studi con Elia Del Medigo e soprattutto con Flavio Mitridate che l'avviò alla conoscenza dell'ebraico e del caldaico: da tempo ormai Pico si era immerso nello studio della cabala ebraica, in cui pensava di trovare i fondamenti della più riposta sapienza racchiusa nella Bibbia.


In seguito Pico fuggì in Francia dove, per ordine del papa, fu arrestato e rinchiuso nel castello di Vincennes (1488). Liberato per intervento di Lorenzo il Magnifico, fu da allora ospite di questo in una villa di Fiesole, dove compose le sue opere maggiori.


OPERE E PENSIERO:

Nel 1486 scrisse il Commento alla canzone d'amore di Girolamo Benivieni, le Conclusiones philosophicae, cabalisticae et theologicae e l'Oratio per la progettata disputa romana, mentre pensava a una teologia poetica e a un commento al Convito platonico.

Le Conclusiones, intese a riassumere le tesi fondamentali delle varie tradizioni filosofiche per mostrare la loro concordia, dovevano essere discusse a Roma nell'inverno del 1487.

Intanto Pico vi premetteva la prolusione, quell'oratio, poi detta De hominis dignitate, che costituisce uno dei massimi testi dell'umanesimo italiano.

Ma le Conclusiones suscitarono subito i dubbi dei filosofi e teologi romani: Innocenzo VIII ordinava di sospendere la disputa e sottoponeva le Conclusiones all'esame di una commissione di teologi.


Contro le prime contestazioni, Pico della Mirandola cercò di dimostrare la validità delle proprie posizioni (soprattutto sulla magia e sulla cabala) scrivendo un'Apologia: ma Innocenzo VIII condannava le tesi incriminate dai teologi (1487).

Nella villa di Fiesole scrisse: l'Heptaplus (1489), commento in 7 libri ai primi 27 versetti del Genesi; il De ente et uno (1492, dedicato al Poliziano); le Epistolae di consigli al nipote Giovanni Francesco (1492).

In questo periodo si andava intanto avvicinando sempre più a Savonarola, che proprio dietro sue insistenze Lorenzo il Magnifico aveva chiamato a Firenze.








Morì, forse avvelenato, mentre stava lavorando attorno a un'opera nella quale si proponeva di confutare tutte le superstizioni: riuscì a portarne a termine solo la parte contro l'astrologia (Disputationes adversus astrologiam divinatricem), pubblicata postuma dal nipote nel 1496 (ma separatamente dall'edizione completa delle sue opere da questo stesso curata in quell'anno), esaltata e compendiata in volgare da Savonarola.

Dalle opere di Pico emergono chiaramente le linee di un pensiero fortemente personale in cui rifluisce una vastissima dottrina: conoscitore dell'aristotelismo arabo e scolastico, della tradizione platonica, della speculazione patristica e della mistica ebraica quale soprattutto si esprime nella cabala, Pico torna insistentemente sulla «concordia» fondamentale delle diverse filosofie (sulla traccia di Ficino), unificate dall'unico vero che di esse è principio e oggetto.


La prospettiva platonica costituisce senza dubbio la nota dominante: Dio principio originario della realtà, assolutamente inaccessibile al pensiero eppure termine ultimo cui il pensiero tende, assolutamente altro eppure principio che regge nell'essere tutte le creature, ovunque presente; e torna il tema neoplatonico della «circolarità» del tutto che da Dio procede per riconvertirsi in lui.

Attorno a questi temi Pico della Mirandola raccoglie le testimonianze così della tradizione neoplatonica come della patristica cristiana e della cabala, nella quale ultima vedeva uno degli strumenti più idonei a penetrare i segreti della Bibbia e della creazione.

Tornano ovviamente, con tutte le suggestioni esoteriche, i motivi della magia, modo di conoscenza e di intervento nella realtà, la quale non è opaca materia, ma è tutta ravvivata da una vita, una mente: di qui la possibilità di colloquio che si istituisce tra l'uomo e le cose, ove l'uomo sappia appunto cogliere nelle cose il senso loro ultimo, la radice razionale e divina.


Se nettissima è la difesa della magia come vertice del conoscere filosofico, altrettanto chiara e precisa la polemica contro l'astrologia: e non solo per sottrarre all'influenza dei cieli l'anima e la libertà umana, ma altresì per contestare la legittimità di istituire un rapporto preciso di causalità tra i cieli e gli eventi del mondo sublunare con la pretesa di poter prevedere il futuro leggendolo nei cieli.

A tale polemica antiastrologica, come alle suggestioni ermetiche tanto presenti nell'epoca di Pico, si ricollega la sua celebre esaltazione della «dignità dell'uomo»: questa è fondata nella sua radicale libertà, garantita dal non essere l'uomo di una natura determinata, ma capace di darsi la natura che vuole, dal non avere limite né chiusura, dal suo essere aperto a tutto, capace di divenir tutto (attuando la propria infinita potenzialità), fino ad ascendere con il suo intelletto al termine ultimo, alla congiunzione con Dio; tema questo, dell'ultimo fine e felicità dell'uomo (che si raccorda con quello dell'incarnazione del Verbo come mediazione che ha reso possibile il recupero della dignità e dell'ultimo fine dell'uomo), in cui ancora una volta rifluisce, con una suggestione dell'averroismo sigieriano, l'insegnamento della mistica cristiana ed ebraica.


Vastissima la fortuna di Pico della Mirandola in Italia e in Europa: da Bruno a Vico, da Reuchlin e Zwingli ai platonici di Cambridge.

La sua memoria e la sua prodigiosa dottrina sono rimaste proverbiali:

"E' un Pico della Mirandola!".




L'IDEALE DI UNA FILOSOFIA UNIVERSALE:

Il proposito di Pico, esplicitamente dichiarato ad esempio nel De ente et uno, consiste infatti nel ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dall'antichità, accomunate dall'aspirazione al divino e alla sapienza, e culminanti nel messaggio della Rivelazione cristiana.









In questo suo ecumenismo filosofico, oltre che religioso, vengono accolti non solo i teologi cristiani ed esoterici insieme a Platone, Aristotele, i neoplatonici e tutto il sapere gnostico ed ermetico proprio della filosofia greca, ma anche il pensiero islamico, quello ebraico e appunto cabbalistico, nonché dei mistici di ogni tempo e luogo.


Il congresso da lui organizzato a Roma in vista di una tale "pace filosofica" avrebbe dovuto inserirsi proprio in questo progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio eterno ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in misura in più o meno diversa.

In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione, Pico si accorse che il suo ideale era difficilmente perseguibile; ad esso, a poco a poco, si sostituirà nella sua mente il proposito riformatore di Girolamo Savonarola, rivolto al rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze.

L'armonia universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasformerà così nell'aspirazione religiosa ad una santità e una moralità meno generica e più attinente al suo particolare momento storico.

A differenza di Ficino, nel Pico emergono dunque nei suoi ultimi anni un maggiore senso di irrequietezza e una visione più cupa ed esistenziale della vita.


LA SAPIENZA DELLA CABALA:

Il secondo grande interesse di Pico è rivolto alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare la massima luce da tale oscurità.
















Connessa alla sapienza cabbalistica è la magia: infatti, il mago, per Pico, opererebbe attraverso simboli e metafore di una realtà assoluta che è oltre il visibile, e dunque, partendo dalla natura, può giungere a conoscere tale sfera invisibile (ossia metafisica) attraverso la conoscenza della struttura matematica che è il fondamento simbolico-metaforico della natura stessa.

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IL RINASCIMENTO - L'UMANESIMO



Guarda anche Conclusioni Cabalistiche di Pico della Mirandola:
http://lamisticadellanima.blogspot.it/2014/01/conclusioni-cabalistiche-di-pico-della.html

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I CABALISTI CRISTIANI DEL RINASCIMENTO di F. SECRET



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MICHELE P.