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La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa

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Dio, Teologia, Misticismo, Filosofia, Gnosi, Esoterismo.

lunedì 23 gennaio 2012

SAN FRANCESCO D'ASSISI










San Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro Bernardone (Assisi, 26 settembre 1182 – Assisi, 3 ottobre 1226), è stato un religioso e poeta italiano.

Diacono e fondatore dell'ordine che da lui poi prese il nome, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

Il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana).


È stato proclamato, assieme a Santa Caterina da Siena, patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII. Conosciuto anche come "il poverello d'Assisi", la sua tomba è meta di pellegrinaggio per decine di migliaia di devoti ogni anno.

La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è assurta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i tre grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002, e da Benedetto XVI nel 2011.

Oggi, San Francesco d'Assisi è uno dei santi più popolari e venerati del mondo. Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana.


Continua a leggere nel seguente Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_d'Assisi

Per maggiori info. sul Cantico delle Creature clicca qui:: http://it.wikipedia.org/wiki/Cantico_delle_creature

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IL SANTO DELL'AMORE PER IL PROSSIMO E PER LA NATURA


Francesco d'Assisi, vissuto nel 13° secolo voleva ripercorrere la vita povera di Cristo e degli apostoli e, come loro, amare e capire la sofferenza dei miseri.

Cercò di mettere in pratica i precetti del Vangelo e volle predicare l'amore per il prossimo.

Fu subito seguito da molti compagni, insieme ai quali percorreva instancabilmente villaggi e città, diffondendo il messaggio di pace e di carità annunciato da Cristo.



UNA SCELTA RIVOLUZIONARIA


Francesco, nato nel 1182, era il figlio di un ricco mercante, ma non intendeva maneggiare stoffe in uno stanzone polveroso e pensare solo al guadagno.



Le sue ambizioni erano diventare un cavaliere, dimostrare il suo valore in battaglia e sposare una giovane nobile.

Ma qualcosa accadde nel suo animo: una crisi religiosa lo portò alla conversione e, in seguito, alla decisione di vendere tutto e distribuire il ricavato ai poveri.


La Chiesa, nella sua storia plurisecolare, aveva sempre aiutato i poveri, senza abbandonare però privilegi e ricchezze.

Francesco volle farsi povero egli stesso e volle che da poveri vivessero i suoi compagni: essi dormivano dove capitava, si vestivano con stoffe povere e rattoppate e camminavano a piedi nudi d'estate e d'inverno. In segno di umiltà decisero di chiamarsi frati minori.


Francesco servì per molti anni insieme ai suoi compagni nei lebbrosari, assistendo in condizioni difficilissime gli infermi pieni di piaghe.

Proibì ai compagni di chiedere denaro in elemosina, perché così facendo ‒ diceva ‒ si rubava la parte che spettava ai poveri. Tutti i frati dovevano mantenersi lavorando con le proprie mani, aiutando i contadini nei campi, oppure accettando qualsiasi lavoro, purché onesto.

In cambio potevano accettare soltanto un po' di cibo.



LA RISPOSTA DI FRANCESCO A UNA CHIESA SEMPRE IN ARMI


Ai tempi di Francesco la Chiesa era sempre in armi: promuoveva crociate per il recupero della Terrasanta, ma anche crociate contro i suoi nemici politici, contro gli eretici (eresia) in generale e in particolare contro i catari, che furono repressi nel sangue. I catari (dal greco catharòs "puro") erano diffusi soprattutto nella Francia meridionale, ma anche nell'Italia settentrionale e centrale.

Vivevano in modo semplice e povero: erano vegetariani e contrari alla guerra, in quanto avversi a ogni forma di violenza. Pensavano che esistessero due divinità sempre in lotta fra loro: il Dio del bene, autore di tutto quello che è spirituale, e il Dio del male, autore della materia e di tutte le cose create.

Ai catari Francesco rispose con il bellissimo Canto di frate Sole in lode di tutte le creature, a cominciare dal Sole raggiante che scalda, illumina e porta gioia.

Francesco non si mise mai in urto con la Chiesa.

Piuttosto che condannare, preferì agire con la forza trascinante del suo esempio. I frati dovevano cercare di conquistare e persuadere con la parola e con le buone opere, senza discutere con gli eretici o dichiarare colpevoli i preti indegni. Se non fossero riusciti a convincere, dovevano essere pronti alla sconfitta e a sopportare tutto, fino alla morte se necessario.


Francesco andò addirittura in Egitto, durante la quinta crociata, per persuadere i crociati a non uccidere, proprio perché erano cristiani. Ma non fu ascoltato. Si recò allora nel campo nemico e rimase diversi mesi fra gli 'infedeli' a predicare, e fu trattato con molto onore dal sultano.


Il Natale di Greccio Tornato in patria dall'Egitto, nella notte di Natale del 1224 Francesco fece celebrare in cima alla montagna di Greccio (in provincia di Rieti), all'aperto, la Messa alla presenza del bue e dell'asino davanti alla greppia piena di fieno (presepe).

Predicò con grande dolcezza sulla nascita del 'bimbo di Betlemme', povero e nudo, venuto a soffrire sulla terra per gli uomini peccatori. Francesco, con la sua rappresentazione, voleva far capire che non era necessario andare fino in Terrasanta, massacrare e rapinare, pur di toccare i luoghi di Cristo.

Betlemme era dovunque, anche a Greccio, perché i cristiani dovevano ritrovare dentro il loro cuore Betlemme e il messaggio di amore di Cristo, che avevano dimenticato.




UN NUOVO MODO DI PREDICARE


Francesco passò la vita a predicare.

A tutti portava un saluto di pace, cosa che allora era sentita come estremamente insolita, perché la violenza e le guerre facevano parte della realtà di ogni giorno.

Francesco ripeteva le parole di Cristo ed esortava a volersi bene.

Sapeva trovare il tono giusto per raggiungere il cuore degli ascoltatori e cambiava il modo di parlare a seconda di chi aveva davanti: come disse un contemporaneo, era una sorta di bravissimo avvocato, capace di catturare l'attenzione di qualsiasi persona.

Riuscì perfino a farsi ascoltare dagli uccelli: è un miracolo famoso, molte volte rappresentato nelle immagini, che fa capire come i fedeli pensassero che per Francesco niente fosse impossibile, se anche gli animali potevano capire le sue parole.


Il miracolo delle stimmate Durante la vita Francesco mantenne un ostinato silenzio sull'origine delle piaghe che lo facevano soffrire alle mani, ai piedi e al costato; nessuno dei compagni poté vederle.

Di questo miracolo parlarono i biografi, ma con molte contraddizioni.


Per Tommaso da Celano (13° secolo), il primo biografo di Francesco, le sofferenze del 'poverello d'Assisi' e la sua identificazione con Cristo furono di natura spirituale.

Per s. Bonaventura (13° secolo) ‒ autore di una Vita di s. Francesco che divenne, a partire dal 1266, l'unica permessa ‒ Francesco patì le sofferenze di Cristo in croce e ciò lo rese simile a lui: di qui la presenza nella sua carne dei segni della Passione.


Descrivendo in questo modo il miracolo delle stimmate, Bonaventura rese la santità di Francesco irraggiungibile: i frati dovevano venerare il loro santo perché portava impresse le ferite del Salvatore, ma proprio per questo motivo non erano obbligati a imitarlo o a rimanere fedeli al suo scomodo progetto di vita cristiana.

Bonaventura in questo modo voleva fare cessare le discordie fra i francescani, ma mutò profondamente l'eredità spirituale di Francesco.



LA DIFFICILE EREDITA' DI FRANCESCO


Molti frati infatti non accettavano di vivere secondo le idee di Francesco, che imponevano la durezza della povertà integrale.

Mentre era ancora in vita il santo, fra i compagni nacquero problemi e contrasti.

Francesco preferì rinunciare alla guida dell'ordine, rimanendo tuttavia un punto di riferimento per i compagni, con la forza del suo esempio.

Morto Francesco nel 1226, il disaccordo divenne più acuto.


Molti frati, pur restando personalmente poveri, volevano accettare le donazioni di case, denaro e terre che molti devoti lasciavano in eredità all'ordine. Inoltre non volevano più lavorare manualmente.

Il loro lavoro era studiare e predicare: per questo ‒ dicevano ‒ era giusto che i cittadini mantenessero i frati con le loro elemosine.


Anche i francescani divennero dunque un ordine mendicante, come quello fondato da s. Domenico.

I francescani si dividono Circa trent'anni dopo la morte del santo i francescani si divisero fra i conventuali, che interpretavano in maniera più morbida il modo di vivere del fondatore, e i minori, che preferivano seguire le norme di Francesco più da vicino.

Questa divisione dura anche oggi. I francescani hanno inoltre un secondo ordine ‒ di monache di clausura: la loro grande santa è Chiara d'Assisi ‒ e un terzo ordine ‒ di laici e laiche.

Nel Cinquecento alcuni francescani che volevano seguire ancora più rigidamente l'esempio di s. Francesco diedero vita a un nuovo ramo dell'albero francescano: si chiamarono (e si chiamano) frati cappuccini.


ULISSE: IL PIACERE DELLA SCOPERTA - SAN FRANCESCO


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Francésco d'Assisi, santo. - Fondatore dei frati minori (Assisi ca. 1182 - ivi 1226).

È uno dei santi più venerati della cristianità: voleva ripercorrere la vita povera di Cristo e degli apostoli e, come loro, mettere in pratica il Vangelo amando il prossimo.



VITA


Fondatore dei frati minori, delle clarisse e del terz'ordine francescano (Assisi 1181 o 1182 - ivi 1226), detto il Serafico, il Poverello d'Assisi, ecc.; patrono dell'Azione Cattolica e, con s. Caterina da Siena, patrono principale dell'Italia.

Il padre, Pietro di Bernardone, solito recarsi in Francia per il suo commercio di tessuti, pare avesse condotto dalla Provenza in Assisi la sposa, madonna Pica; per questo avrebbe mutato in quello di Francesco ("francese") il nome di battesimo (Giovanni) del figlio. Francesco, ragazzo, studiò un po' di latino, più e meglio (ma non bene) il francese; imparò anche a scrivere, ma assai male (già celebre preferiva firmare con un segno di croce).

La sua giovinezza, trascorsa serena e spensierata, lo vide in armi, a difendere Assisi contro Perugia.

Fatto prigioniero dopo lo scontro di Collestrada (1204) e caduto gravemente malato dopo la sua liberazione, tentò nuovamente la carriera delle armi, ma, mentre andava a raggiungere in Puglia le truppe di Gualtieri di Brienne, si fermò a Spoleto e tornò indietro.


Iniziò così un rivolgimento interiore che culminò nella conversione.

"Essendo io in peccato, troppo amaro mi sembrava vedere i lebbrosi, ma lo stesso Signore mi condusse fra loro ed io esercitai misericordia con loro.

E partendomene, ciò che mi era apparso amaro mi fu convertito in dolcezza nell'animo e nel corpo.


E poi tardai poco e uscii dal secolo"; così egli stesso alla vigilia della morte descrisse la sua "conversione" che, in lui nato ed educato cattolicamente, consistette nel trovare fonte di gioia spirituale e materiale in quello che la debolezza umana ritiene fonte di vergogna e di dolore.


Era, in altri termini, una valutazione di quelli che sono gli obblighi del cristiano verso i proprî fratelli.

La decisione fu presa davanti al crocifisso della chiesetta di S. Damiano, ai piedi del Subasio (autunno 1206).

Dopo un mese di ritiro, invano cercato dal padre, Francesco, ancora incerto sulla via da seguire, ritornò ad Assisi.



Qui scoppiò il contrasto con il padre; e poiché il denaro era il pretesto per il quale Bernardone perseguitava il figlio, questi, citato a giudizio davanti al vescovo, si spogliò persino degli abiti che indossava, affermando che da allora non avrebbe più invocato il padre Pietro ma il "Padre nostro che è nei cieli" (apr. 1207).

Da allora andò sempre più affinandosi la vocazione e l'esperienza interiore, che portò Francesco a cercare non una pratica di ascetismo e di pura contemplazione, ma dei compartecipi e dei fratelli. Il 24 febbr. del 1209 il sacerdote che nella cappella della Porziuncola celebrava la Messa alla presenza di Francesco, sembrò formulare, con la lettura di Matteo 10, 5 segg. che riferisce della missione affidata da Gesù ai Dodici, il programma al quale Francesco  era stato chiamato.


Il mondo aveva ancora bisogno di essere riportato a considerare come meta unica e prossima del suo travaglio il Regno dei cieli e Dio ne aveva costituito lui, Francesco, araldo.


Ai pochi compagni (Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio d'Assisi, Angelo Tancredi, frate Masseo, frate Leone, frate Ginepro), che si raccolsero in breve intorno a Francesco, egli comunicò la missione ricevuta ripetendo le parole di Gesù che lo avevano tanto colpito.



Nei pochi incisi del Vangelo che prescrivevano di andar predicando il Regno dei cieli, senza portare con sé oro né argento, né bisacce, né tuniche, né sandali, né bastone e di entrare nelle case salutando col dire "pace a questa casa" (Matteo 10, 7 segg.; 19, 21; Luca 9, 2 segg.), e che costituirono la sostanza della breve regola da Francesco presentata nel 1210 a Innocenzo III, in Roma, è tutto il programma religioso di Francesco. Esso non fu, né volle essere, alle sue origini, che una reincarnazione per gli uomini del sec. 13°, della metànoia neotestamentaria.


Francesco ebbe nettissima sensazione dell'importanza eccezionale del compito che gli era stato provvidenzialmente affidato: "io non voglio segnare altra via e foggia di vita che non sia quella misericordiosamente mostratami e donatami dal Signore.

Il quale mi disse quod volebat me esse unum novellum pactum in hoc mundo et noluit nos ducere per viam aliam quam per istam scientiam".

Il progetto tuttavia suscitò nella curia romana - resa guardinga dal pullulare dei movimenti "apostolici" eterodossi - difficoltà, superate grazie alla protezione del vescovo di Assisi e del card. Giovanni di S. Paolo.

La leggenda attribuì più tardi a Innocenzo III il celebre sogno; comunque il papa impartì a Francesco la tonsura e concesse una prima approvazione.


Francesco con i compagni ritornò ad Assisi, fissandosi a Rivotorto, quindi alla Porziuncola, ove diede l'abito a santa Chiara (1212). Ma già pensava di predicare non soltanto in Italia. Dopo un viaggio a Roma (forse conobbe allora la nobile Iacopa Frangipane, nota anche come Iacopa de' Settesoli), lasciato in Assisi come suo vicario fra Pietro Cattani, s'imbarcò ad Ancona su una nave che salpava per l'Oriente; una tempesta lo gettò sulle coste dalmate (1212-13; secondo altri 1214-15) donde tornò in patria.

Né più fortunato fu un tentativo di passare in Marocco (probabilmente 1214-15), perché in Spagna una grave malattia lo obbligò a ritornare.

Celebrando nella Pentecoste del 1217 la prima adunanza generale dei suoi religiosi, aveva affermato l'opportunità di allargare il campo del lavoro apostolico, dividendo in province l'Italia e stabilendo missioni nei paesi d'oltralpe e in Siria.


L'entusiasmo del santo aveva così scosso il cuore di tutti, che nel capitolo dell'anno seguente sei frati minori si recarono in Marocco, dove Bernardo e gli altri subirono il martirio (1220).


Francesco stesso, celebrato alla Porziuncola il secondo capitolo generale, nel 1219, si diresse di nuovo alla volta di Ancona per passare in Oriente.

In agosto era a Damietta assediata dai Crociati; poi, con frate Illuminato, si presentò al sultano al-Malik al Kāmil, per annunciargli il Vangelo.

Non riuscì a convertirlo, ma non subì alcuna persecuzione, anzi ricevette da lui un salvacondotto, munito del quale visitò indisturbato la Palestina.





Ma le notizie che gli giungevano dall'Italia lo indussero a tornare (1220, autunno).

Si stava determinando in seno al movimento una crisi di sviluppo che minacciava di snaturare l'essenza del messaggio francescano.

D'altra parte la curia aveva compreso che, se immenso vantaggio le sarebbe derivato dal movimento francescano, questo, nato come movimento di apostoli, non legato a sedi fisse e a una norma canonica, privo di regolare disciplina interna, non avrebbe potuto costituire qualcosa di veramente salutare per la vita della Chiesa, se non fosse stato inquadrato nella sua organizzazione.


L'ambiente in cui erano stati reclutati i primi seguaci del santo era inoltre assai eterogeneo: laici ed ecclesiastici, uomini di cultura e analfabeti, asceti e uomini di azione erano fatalmente portati a vedere e a interpretare ciascuno a suo modo l'ideale bandito dal santo.

Questo inconveniente aveva già assunto proporzioni allarmanti quando, col moltiplicarsi dei fratelli, Francesco si era visto intorno non più una comunità di pochi entusiasti soggiogati dalla sua personalità religiosa, ma una folla di seguaci che non sapevano distinguere l'ammirazione e la devozione per lui dagli atteggiamenti ad essi istintivamente suggeriti dalla propria personalità.


La storia dell'opera sapiente con cui la curia pose a poco a poco l'ordine nascente sotto il suo controllo diretto, mentre Francesco s'induceva ad abbandonare (autunno 1220) nelle mani di un suo vicario (Pietro Cattani, e dopo la morte di questi, dal marzo 1221, frate Elia) la carica di superiore generale pur cercando al tempo stesso di mantenere l'alta direzione del movimento, conservando a questo il carattere autonomo e libero impressogli alle origini, è anche una storia di tribolazioni per il santo, non sempre capace di intendere gli scopi della curia, benché assistito e, nei rapporti con questa, protetto dal cardinale Ugolino de' Conti (il futuro papa Gregorio IX).


Ma Francesco non volle adottare la regola dei benedettini o degli agostiniani e volle darne ai suoi frati una conforme al suo spirito; solo dopo almeno due tentativi (uno dei quali è rappresentato dalla cosiddetta "Regola prima" - in realtà seconda - del 1221 presentata al capitolo di quell'anno, probabilmente quello stesso detto delle stuoie e in cui fu altresì deciso l'invio dei missionarî in Germania) egli riuscì nell'intento, compilando una Regola, capace di soddisfare insieme le sue aspirazioni e le esigenze della Chiesa.

La Regola fu approvata da Onorio III il 29 novembre 1223, data che può essere assunta come quella di nascita dell'ordine francescano.


Ma è anche la data con cui inizia la "passione" del santo.


Non gli dava pace il dissidio fra quanto aveva sognato e l'evidenza dei fatti; varie malattie minavano quel corpo che le fatiche e le austerità avevano indebolito.


Salito, come altre volte, sul Monte della Verna, donatogli dal conte Orlando de' Cattani, là, durante la Quaresima del 1224, mentre in orazione spasimava di sentire il martirio ineffabile di Cristo e di provare insieme l'ardente e fiammeggiante carità, sentì un che di misterioso operarsi in lui: le mani e i piedi mostravano neri chiodi carnosi e nel petto si era prodotta una ferita sanguinante.



Ma soffriva anche fisicamente, indebolito da dolori viscerali e dalla malattia agli occhi che lo aveva reso quasi cieco.


Pure nella sofferenza - tornato nella valle di Rieti, a Fonte Colombo e a Greccio - egli trovava motivo di dolce serenità: del 1223 è il presepe di Greccio, del 1225 il Cantico delle creature.

Tornato, per morire (dopo la permanenza nell'episcopio di Assisi), alla Porziuncola, dopo aver chiamato a sé la sua protettrice Iacopa de' Settesoli ("frate Iacopa"), si congedò dai frati ed espresse nel suo testamento (che volle fosse osservato come supplemento alla Regola, vietando che questa e quello fossero oggetto di glosse o interpretazioni) tutti quei principî che, pur così vicini al suo spirito, non avevano potuto essere espressi nella Regola; morì, circondato dai suoi frati, il 3 ott. 1226, dopo il tramonto.


Fu canonizzato il 16 luglio 1228; festa, 4 ott. (le stigmate, 17 sett.; altre feste nell'ordine: traslazione, 25 maggio; canonizzazione, 16 luglio; approvazione della Regola, 16 aprile).


La più antica immagine di Francesco è data da un affresco del Sacro Speco, a Subiaco, probabilmente eseguito ancora vivente il santo e certo anteriore alla sua canonizzazione; Francesco vi appare con un'espressione dolce e serena, con alcuni tratti caratteristici (occhi chiari) contrastanti con la descrizione della sua figura fisica lasciata da Tommaso da Celano.


Dal 13° sec. (Margaritone, Cimabue, Giotto, ecc.) in poi la leggenda di F. e la sua figura furono oggetto di innumerevoli rappresentazioni, e di interi cicli pittorici e scultorei.

Attributi abituali sono l'abito e le stimmate.


"Deus Mihi Dixit" (Dio mi ha detto/parlato)




OPERE

Gli scritti riconosciuti autentici comprendono: le due Regole superstiti e frammenti di una, precedente alla bolla di Onorio III; una lettera del 1223 a un ministro dell'ordine; una breve promessa di assistenza alle clarisse; l'ultima voluntas del santo alle clarisse; il testamento; 28



ADMONITIONES


ai fratelli; una lettera a tutti i fedeli per raccomandare e illustrare dodici precetti di vita cristiana; una lettera di Francesco  infermo al capitolo generale del 1224; un De reverentia corporis Domini et de munditia altaris; le Laudes de virtutibus; le Laudes Dei; un regolamento ai fratelli qui volunt religiose stare in heremis; l'epistola e la benedizione a frate Leone (gli autografi sono ora nel duomo di Spoleto e nella basilica di Assisi); una preghiera alla Vergine; e, celeberrimo fra tutti, il Cantico di frate Sole (o delle creature).




LA SPIRITUALITÀ FRANCESCANA

La pratica della povertà non è il fine dell'ideale francescano, né l'unico mezzo per il suo raggiungimento.

È piuttosto un corollario dell'affermazione evangelica e francescana che valori essenziali siano quelli che permettono la realizzazione del regno di Dio fra gli uomini.

Le condizioni sociali del tempo misero in rilievo la pratica di vita francescana a scapito dell'ideale religioso che la suggeriva; l'ordine francescano, nel suo concretarsi, fu portato ad assumere come ideale quello che dell'ideale non era se non una logica conseguenza.

D'altra parte, alle origini la religio francescana non assume esteriormente il carattere di un ordine regolarmente costituito.


La breve regola del 1210 era "una regola di vita e non di organizzazione conventuale", era il Vangelo stesso, unica regola per tutti coloro che si sentissero chiamati dalla parola di Francesco a riprodurre nella loro, la vita di Gesù.

E la vita evangelii Jesu Christi consiste per Francesco (si parafrasa qui la cosiddetta "Regola prima" del 1221 e il testamento) nel vivere in obbedienza e in carità, nello spogliarsi di tutto, nel non ritenersi primi tra i fratelli, nell'andare apostoli raminghi a predicare la conversione in vista del Regno di Dio, nel domandare i mezzi del proprio sostentamento al lavoro, anche il più umile, e, in mancanza di questo, all'elemosina.

Ma, né come compenso al lavoro, né per elemosina, né direttamente, né indirettamente, i fratelli devono chiedere o accettare denaro, bensì devono seguire l'umiltà e la povertà di Cristo che, figlio del Dio vivente, pose il suo volto sulla pietra durissima.

Dovunque si trovino, i fratelli si devono considerare sempre come ospitati, pellegrini e stranieri, mai come padroni, e devono essere pronti a cedere il loro giaciglio a chi lo richiede.


Devono accogliere tutti, anche i nemici, i ladri e i masnadieri; non devono resistere al male: se qualcuno li percuote sulla guancia, gli porgano l'altra e se qualcuno strappa loro la veste, gli consegnino anche la tunica. Diano a chi chiede, non richiedano il tolto.


Chi digiuna non giudichi chi mangia e a tutti sia lecito mangiar tutto.

Quando si è malati non si desideri alleviare il tormento del corpo prossimo a morire, che è nemico dell'anima. Perciò il movimento francescano, nell'aspirazione e nei fini squisitamente religioso, investì necessariamente tutti gli aspetti della vita, implicando nei suoi presupposti una valutazione di essi radicalmente sovvertitrice, con vastissime risonanze di carattere sociale, nell'Europa agitata da una terribile crisi (la Chiesa impegnata nella lotta contro l'Impero; l'affermarsi dei Comuni italiani, con le loro lotte interne e il conseguente enorme spostamento di interessi economici e sociali).

Ma proprio allora, con l'eloquenza di un esempio mai visto prima, Francesco predicò l'amore verso Dio e tutte, indistintamente, le sue creature, il completo distacco dalla ricchezza e dalla potenza, considerate come unico ostacolo a raggiungere la vera meta: la pace nell'attesa del Regno, l'eguaglianza vera che si conquista non sentendosi primi fra i fratelli, ma veramente "minori" (minores era la denominazione con cui era nota la parte popolare assisana) e sottomessi a tutti.


È dunque altrettanto eccessivo vedere il movimento francescano quasi esclusivamente come la fondazione di un nuovo ordine religioso, inquadrato nell'organizzazione ecclesiastica (come quello che pure ne derivò), quanto volerne fare un movimento religioso a fondo schiettamente laico.


L'una e l'altra concezione trascurano troppo la meravigliosa personalità e l'attività del fondatore.

E va tenuto presente anche un altro elemento.

Anche il movimento valdese, l'umiliato, l'arnaldista e altri, si erano presentati, come quello francescano, quali tentativi di compiere la purificazione della società con la predicazione della povertà evangelica.

Ma laddove questi movimenti erano animati tutti da una netta opposizione alla Chiesa di Roma ritenuta fonte di ogni male, Francesco professò sempre verso la Chiesa rispetto e sottomissione mai venuti meno; essa è per lui l'unica fonte di disciplina e di dottrina, centro di tutta la vita religiosa.



Fonte Enciclopedia Treccani

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SAN FRANCESCO D'ASSISI


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" Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dai sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterrano in pace, ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.
Laudate et benedicete mi’ Signore' et ringratiate et serviateli cum grande humilitate ".
(CANTICO DELLE CREATURE - FRANCESCO D'ASSISI)

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MICHELE P.