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La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa

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Dio, Teologia, Misticismo, Filosofia, Gnosi, Esoterismo.

venerdì 31 gennaio 2014

ET VERBUM CARO FACTUM EST (PARAGRAFO TRATTO DAL LIBRO 'ET INCARNATUS EST: INTRODUZIONE ALLA CRISTOLOGIA DI TOMMASO D'AQUINO') di Michele Perrotta



Voglio offrire a tutti voi l'intero primo paragrafo tratto dal libro ‘Et incarnatus est: Introduzione alla Cristologia di Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica’ di Michele Perrotta. 



Dal Testo in questione: 


'ET VERBUM CARO FACTUM EST'   


“È in Cristo che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità”. 
(Colossesi 2:9) 

 




Consideriamo la Cristologia, e con essa tutto il mistero che l’avvolge, la nostra prima passione; letteralmente il nostro primo amore per quanto concerne la ricerca nel campo che costituisce l’ordine spirituale. Dopo più di venticinque anni di studio su questo sublime argomento era doveroso per noi scrivere un saggio dedicato proprio alla Cristologia, soprattutto su quella parte inerente all’‘incarnazione di Dio’ nella persona di Gesù Cristo.   

Questo libro sarà ovviamente focalizzato sulla visione cristocentrica  come riconosciuta e accettata dal Cattolicesimo. 

Per tanto, in questo lavoro, che vuole essere un doveroso omaggio a colui che consideriamo il più grande teologo di tutti i tempi, nonché filosofo e frate domenicano San Tommaso d’Aquino (1225-1274) , il quale ebbe il merito di unire nel Medio Evo la filosofia aristotelica alla teologia cristiana elaborando un sistema basato sul presupposto che ‘ragione’ e ‘fede’ sono conciliabili, prenderemo in esame quella parte della Cristologia che si rifà al dogma principale del Cristianesimo che lo distingue per sua stessa natura dalle altre fedi religiose, cioè l’‘incarnazione di Dio’. 


La Chiesa cattolica chiama ‘Incarnazione’ il mistero dell’ammirabile unione della natura divina e della natura umana nell’unica persona divina del Verbo. 

Per realizzare la nostra salvezza il ‘figlio di Dio’ si è fatto carne diventando veramente uomo. La fede nell’incarnazione è segno distintivo della ‘fede cristiana’. 


“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile? Non conosco uomo”.  Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio”.
Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”. E l’angelo partì da lei”.
(Luca 1:26-38) 


                                   




La singolarità del mistero dell’incarnazione, e questo è bene evidenziarlo, sarà unicamente esaminata in quest’opera dal punto di vista del Cristianesimo.   

Alla luce di quanto appena affermato, se partiamo da questo presupposto, è doveroso per noi precisare quanto segue su questa particolare fede religiosa: per quanto possa sembrare strano, secondo la concezione cristiana, il Cristianesimo non è una religione vera e propria, come può essere definita l’Ebraismo o l’Islam, bensì una ‘fede teologale’ in cui non è l’uomo a legarsi a Dio bensì è quest’ultimo che, secondo la rivelazione, si è legato alla creatura divenendo Egli stesso un ‘uomo’. 

In sostanza Dio, entrando nel tempo, si è donato divinamente all’uomo e lo ha coinvolto nella Sua Grazia santificante, cioè lo ha reso partecipe del Suo infinito amore. 


“L’uomo cadde, ma Dio discese. Cadde l’uomo miseramente, discese Dio misericordiosamente; cadde l’uomo per la superbia, discese Dio con la grazia”. 
(Sant’Agostino) 



Alla luce di quanto appena espresso, quindi, il Cristianesimo non si configura come religione, ma, e lo ripetiamo ancora una volta, come ‘fede teologale’.

Infatti non dobbiamo confondere Dio, l’Altissimo, come oggetto di religione, semmai come oggetto di fede. 


La religione ha infatti per oggetto il culto, non Dio; è la fede teologale ad avere invece come oggetto l’Altissimo, cioè il Signore Dio. 


Questo secondo quanto professato dal Cristianesimo e non secondo quanto lo studioso delle religioni o il filosofo di turno dice del Cristianesimo.

Tutto ciò lo possiamo attestare chiaramente dal punto di vista della Rivelazione, quindi alla luce di ciò che per sua natura il Cristianesimo descrive di sé e/o sostiene di essere.   

Non si tratta quindi, come già detto, di una religione, di una virtù umana che offre a Dio qualcosa (culto, sacrifici, preghiere, etc., etc.), bensì rappresenta la singolare ‘divinizzazione dell’uomo’. 


Per rimanere in tema su quanto appena espresso, sulla Solennità del Corpus Domini San Tommaso d’Aquino offre la seguente disamina:   

“L’Unigenito Figlio di Dio, volendoci partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura e si fece uomo per far di noi, da uomini, dèi. Tutto quello che assunse, lo valorizzò per la nostra salvezza. Offrì infatti a Dio Padre il suo corpo come vittima sull’altare della croce per la nostra riconciliazione. Sparse il suo sangue facendolo valere come prezzo e come lavacro, perché, redenti dalla umiliante schiavitù, fossimo purificati da tutti i peccati. Perché rimanesse in noi, infine, un costante ricordo di così grande beneficio, lasciò ai suoi fedeli il suo corpo in cibo e il suo sangue come bevanda, sotto le specie del pane e del vino...”. 
(‘Opere’ di san Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa –  Opusc. 57, nella festa del Corpo del Signore, lect. 1-4)   


                                              

Dato che la natura di Dio è esclusivamente amore, era necessario che l’uomo tornasse ad essere della stessa sostanza del Padre e quindi farsi Dio per mezzo dell’Unigenito Figlio.   

Questo ci dice esplicitamente la teologia cristiana. 

Cristo vive e muore per gli uomini. L’intero essere del Cristo è dato per noi; essere per noi è il suo unico modo di essere.   Lui si è totalmente donato all’uomo, ragion per cui Dio è amore e la fede cristiana significa credere nel Dio che si fa uomo e che si è sacrificato per quest’ultimo. 

La fede senza amore può conservare solo l’apparenza dell’autentica fede cristiana ma non la sostanza.   


In un nostro precedente lavoro avevamo accennato che anche il teologo, filosofo, e Padre domenicano, Giuseppe Barzaghi in una sua conferenza espresse un concetto analogo a quanto finora detto sulla natura spirituale del cristiano  che ci colpì particolarmente. 


Barzaghi, acuto studioso del Tomismo , espresse l’idea di come il Cristianesimo, nella sua essenza, non fosse una religione vera e propria ma ‘vita divina partecipata all’uomo’.   

Il teologo domenicano sulla medesima questione aggiunse le seguenti parole: 


 “…Il Cristianesimo non c’entra niente con la religione perché la religione è l’uomo che si lega a Dio rendendo a Dio il culto che gli è dovuto. Il Cristianesimo non dice che l’uomo deve legarsi a Dio, ma che Dio ha assunto la natura umana!  E’ Dio che si lega all’uomo, non l’uomo che deve legarsi a Dio. Avete mai sentito di un musulmano che parla di un musulmanesimo (Islam) anonimo? Per un musulmano uno che non è musulmano è un infedele.  […] Per un ebreo uno che non è ebreo non fa parte del popolo eletto. Perché sono religioni!  C’è un aspetto di visibilità, di atteggiamento cultuale che è esclusivo, cioè esclude!                                                Nel Cristianesimo, invece, si dice: “ma uno che non è stato battezzato, e non per colpa sua, non è quindi mai stato raggiunto dal messaggio cristiano, questo qui non va all’Inferno?”                Ma Dio è forse legato ai sacramenti? No, Dio la grazia la può dare  a chi vuole, e quindi se uno non è stato battezzato, e non per colpa sua, non è mai stato raggiunto dal messaggio cristiano, può essere cristiano, anche se apertamente musulmano, anche se apertamente buddista, anche se apertamente ebreo. Perché il Cristianesimo non si risolve nell’atteggiamento religioso, il Cristianesimo è partecipazione della vita divina con la grazia santificante!  Non si può dunque dire che il Cristianesimo è la ‘vera religione’, perché non c’entra niente con la religione, anche se ci sono degli elementi religiosi, non si risolve nella religiosità. E per fortuna! Perché se si risolvesse nella religiosità, visto che il Cristianesimo porta all’espansione massima il legame con Dio, implicherebbe l’espansione massima della religione. E l’eccesso di religione è superstizione”.   


Anche da questa perspicace disamina di Padre Giuseppe Barzaghi, che noi sposiamo appieno, è ineccepibile comprendere, se non altro sotto l’aspetto metafisico, che per sua stessa essenza va ben oltre la questione fideistica, che più della fede e della speranza, quello che conta in maniera eccelsa tra le tre cosiddette ‘virtù teologali ’ è l’amore (caritas), come rimarcato da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi (1Cor.13:1-13).   


E quale amore è più grande se non quello di Dio, il ‘Reggente dell’Universo’, che decide di farsi uomo tra gli uomini per insegnarci la retta via e per donarci la vera libertà, cioè la Salvazione? 


L’incarnazione di Dio, a differenza di quello che pensano altri studiosi di tematiche spirituali, è sempre stata per noi la cosa più misteriosa e affascinante che abbiamo studiato tra tutte le questioni riguardanti il sovrannaturale.   

Il Creatore che per pura grazia si ‘abbassa’ al livello della creatura per rettificarla e di conseguenza salvarla la riteniamo l’opera più nobile e più sublime sia dal punto di vista teologico che metafisico.


                                      


Ma entriamo dentro a questa particolare visione partendo dell’incipit del Vangelo di Giovanni: 

“In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che  esiste”.
(Giovanni 1:1-3)   


Questo ‘principio’, ed è qui la grandezza di tale questione, assume nella Sacra Scrittura una connotazione del tutto diversa da una porzione di tempo –  esso designa l’eternità.   

Il Verbo, infatti, esiste prima dell’esistenza stessa, cioè esiste prima della creazione fisica (manifestazione materiale).


Per ‘prima’ intendiamo non una precedenza cronologica ma l’idea stessa di ‘vita eterna’ – antichi maestri parlano di quell’ ‘ante’ come un punto, un ‘luogo ideale’, dal quale osservare il dipanarsi della Creazione divina  . 

Il ‘prima’ è dunque da intendere come una sorta di spiegazione del movimento dello Spirito Creatore che si espande da Dio verso l’atto creativo, cioè nel ‘Principio’ che l’apostolo Giovanni descrive nel suo Prologo e che poi si fa carne.   


Questo ‘prima’ è sostanzialmente un punto di focalizzazione di uno stato eterno su cui Dio però ha voluto segnare il Suo ingresso nel nostro mondo. 

Per il Cristianesimo l’incarnazione di Dio risulta essere a tutti gli effetti un atto d’amore dell’Eterno verso l’uomo mediante la sottomissione del volere di una donna: Maria, ancella del Signore. 


Stando a ciò che ci racconta la teologia, la grandezza di Maria  risiede nella sua risposta a Dio: essa accetta umilmente il dono offerto dall’Altissimo rendendosi disponibile alla Sua chiamata.   

Grazie a Maria, che ha assecondato umilmente i piani del Signore Dio, l’intera umanità può godere di questo inestimabile dono. 


Maria è il modello per tutti i cristiani perché esegue quello che Dio vuole da lei ed è proprio in questo che consiste la sua santità. 

Quest’opera, come abbiamo già ricordato, vuole essere a tutti gli effetti un saggio focalizzato sui misteri, troppo spesso fraintesi, e sull’essenza stessa su cui si basa il Cristianesimo, ossia l’incarnazione di Dio (incarnatio dei): 

‘Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis’.   


                             


 Accettare l’incarnazione di Dio è un atto difficile in questo mondo materiale dominato dai sensi, dall’ignoranza, e da sistemi teorici basati su determinati schemi materialisti che, per forza di cose, hanno condizionato e condizionano tutt’oggi il nostro modo di pensare incentrato prevalentemente su ciò che noi chiamiamo ‘pragmatismo scientifico’.   

Detto questo, però, è altrettanto elementare comprendere che se accettiamo l’idea (spiritualista) che tutte quante noi siamo anime incarnate che partecipano al gioco della vita, chi può impedire a Dio onnipotente di interagire con noi in questo universo fisico e, in tal senso, prendere anche parte nella nostra esistenza interpretando il ruolo di un ‘essere umano’, che sia esso inteso come un’emanazione del Divino, una proiezione della Verità Assoluta, un’entità pienamente realizzata colma di attributi divini, o persino un’incarnazione stessa di Dio come enunciato dalla rivelazione cristica? 


Nel Cristianesimo il Dio Padre, nonostante sia la stessa entità, diviene Figlio, l’Emmanuele (‘Dio con noi’), per donare la salvezza all’umanità. 

L’incarnazione di Dio, come ci rivela l’Aquinate nella sua opera più famosa che presenteremo nelle pagine a seguire, Summa Theologiae (Somma Teologica), è l’argomento centrale, ma anche quello più complesso e discusso all’interno della Cristologia.   


L’Eterno entra nel tempo per mezzo dell’incarnazione, ed è in tal modo che, per Grazia Divina, l’Inconoscibile diviene conoscibile; l’Ultraterreno diviene terreno, ciò che è metafisico diviene fisico, in sostanza, ‘il Logos divino si fa carne’, ed è questo il grande miracolo:   

Dio, unica sorgente di verità, dalla Sua dimora più elevata, non si è scordato delle Sue creature più amate e della Sua promessa, cioè donarci la vita eterna. 


Secondo la teologia cristiana la Bibbia deve esser letta in modo globale. Essa contiene una rivelazione progressiva che culmina con l’avvento di Cristo: non ci si può dunque fermare ad un brano, specie dell’Antico Testamento, e assolutizzarlo, senza tener conto della ‘rivelazione cristica’ che può averlo arricchito o addirittura ‘corretto’ (migliorato). 

Per i cristiani il Vecchio Testamento va letto alla luce del Nuovo Testamento; una verità spirituale, infatti, va vista nell’intero arco della rivelazione per comprenderla e svilupparla rettamente nel proprio intimo.   

La Bibbia deve essere quindi utilizzata e compresa per intero dalla Genesi all’Apocalisse di Giovanni.  


Nel Vangelo il Paràclito (παρα κλητος – ‘invocato’)   discende direttamente dal regno celeste del Padre per donare, attraverso Suo Figlio, la salvezza nel nome dell’Àgape. 

                                              
                                                                                  
Il Divino, che fino ad allora pretese di non essere raffigurato attraverso le statue e le immagini (Esodo 20:4), decide di rivelarsi agli uomini per mezzo dell’incarnazione chiedendo all’uomo soltanto una cosa: di essere amato e di seguire la Sua Legge. 


Il Vangelo ci rivela non solo che Dio è amore, ma che attraverso questa ‘Nuova alleanza’ l’intera umanità si potrà salvare per mezzo del messaggio evangelico e del sacrificio del Dio fatto uomo.   

“ Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti,  perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati”.
(Matteo 26:26-28) 


                                     

Quando nella Bibbia si parla dello ‘Spirito di Dio’ si allude alla potenza del Signore (YHWH) che crea. 

E’ lo Spirito di Dio che all’inizio si vibrava sulle acque trasformando il Caos primordiale in Cosmo. 


La Bibbia ci dice che quando lo Spirito viene inviato si creano gli esseri viventi. 

Se lo Spirito viene su Maria è perché si deve realizzare dunque una ‘nuova creazione’.   


Secondo la teologia, infatti, quello stesso Dio che ha creato l’essere dal nulla introduce nella storia un ‘nuovo principio vitale’ per mezzo della ‘madre di Dio’ (Θεοτόκος - Theotókos): Suo Figlio si fa carne, Dio si fa uomo. 


La Buona novella si fa emblema della rivincita degli ultimi: la giustizia divina del Padre che, nel nome dell’amore, attraverso suo Figlio, prevarica sull’ingiustizia umana che più volte il ‘popolo eletto’, gli ebrei, ha subìto nel corso della sua esistenza. 

In questo progetto celeste, come già indicato, è Dio che si lega all’uomo e non viceversa! 


Il concetto di religione viene dunque assimilato e allo stesso tempo dissolto in Lui per mezzo della Grazia divina. 

Questo rivela nitidamente il Cristianesimo a cui siamo molto legati in quanto una delle principali forme tradizionali  esistenti nel globo terrestre. 


Dunque se il Cristianesimo è, nella sua essenza, la ‘partecipazione della vita di Dio’, cioè della vita eterna, per comprenderlo appieno dobbiamo rivolgerci al Suo sguardo, cioè focalizzare il tutto dal Suo punto di vista, vale a dire dallo sguardo stesso dell’Eterno.   

Dobbiamo in pratica trascendere la visione del mondo e proiettare la nostra mente nel piano verticale.

Vedremo nel prossimo paragrafo il metodo con cui è possibile applicare la ‘visione anagogica’ della Sacra Scrittura per mettere a fuoco l’obiettivo con cui il Divino osserva le cose. 


Nella visione cristiana Dio è Uno e Trino (Santissima Trinità), ed è in tal senso concepito come Padre, Figlio e Spirito Santo; questo concetto tripartito viene di solito spiegato  mediante il seguente ragionamento: l’acqua può essere liquida, ghiaccio e vapore.   

Tre differenti aspetti della stessa sostanza o realtà.


Un’unica relazione, quindi, quella del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che si distingue negli opposti: la causa che pone nel proprio effetto una Sua somiglianza. 


“ Il mistero dell’incarnazione non si è attuato per un qualche cambiamento nell’eterna condizione di Dio, ma in quanto Egli in maniera nuova si unì a una creatura o meglio unì a Sé la creatura ”.
(Thomas Aquinas – Summa Theologiae, Tertia pars – Questione 1; Articolo 1) 



L’Eterno, di per sé misterioso ed intellegibile, si dischiuse in tal modo aprendosi (facendosi conoscere) al mondo. 

Tutto questo, stando sempre secondo ciò che ci testimoniano le Scritture, per ‘grazia’, cioè per amore verso le Sue creature.   

Secondo Tommaso d’Aquino la filosofia è conciliante alla teologia, ed è infatti per mezzo di essa che è possibile ‘penetrare le verità della fede mediante la ragione’, considerata dall’Aquinate ‘preambula fidei’, ovvero motivazione principale del dono dell’intelletto che porta a realizzare e successivamente a credere.   

La ragione, messa al servizio della fede, per Tommaso deve chiarificare quest’ultima. 

Ed è proprio questa la funzione che auspica questo nostro trattato: investigare sui misteri della fede mediante il raziocinio perché l’atto più sublime che l’uomo possa compiere è, a nostro avviso, proprio quello di saper pensare e attraverso il pensiero riuscire ad elevarsi.   


La mente, del resto, non è altro che il ‘santuario’ dove vengono custodite le cose intelligenti e sapienti.  


Ma è davvero possibile, per usare le parole esposte in uno dei tanti quesiti che Volusiano  rivolse a Sant’Agostino, ovvero:   “ che dentro il corpicciuolo di un bimbo in fasce si nasconda colui al quale non basta l’universo; che abbandoni i suoi cieli il grande Sovrano, e riduca a un solo minuscolo corpo il governo di tutto l’universo”?   


Per rispondere in maniera esaustiva a questo interessante quesito è doveroso stipulare alcune considerazioni ben precise inerenti alla Cristologia che sono le seguenti:  la divinità, anche se in qualche modo sembra ‘ridursi’ nel prendere consistenza in un corpo umano, quindi all’interno di una creatura ‘finita’ e ‘limitata’, non rinuncia al controllo assoluto sull’intera creazione perché, in realtà, la Sua vera essenza è infinita ed illimitata, dunque senza spazio e senza tempo, e quindi non può avere un potere minore o ridotto quando discende nel mondo materiale.   


Sant’Agostino, infatti, risponde a Volusiano utilizzando queste ferme parole:   

“ Egli ha il potere d’essere intero dovunque, senza essere racchiuso in alcun luogo, di venire senza allontanarsi dal luogo dov’era, d’andarsene senza abbandonare il luogo da dove era venuto”.     

Questa è la grandezza di Dio che sfugge a tutte le leggi della fisica in quanto Onnipotente.                                                                                                           

Tommaso, nella Somma Teologica Questione 1; Articolo 1  (Tertia pars), riprende la medesima questione ampliando il seguente concetto in questi termini:

“La dottrina cristiana non insegna che Dio, calandosi nella carne umana, abbia abbandonato o perduto il governo dell’universo, oppure che l’abbia come ristretto in quel minuscolo corpo: questa è immaginazione di uomini capaci di pensare solo a livello della materia. Dio è grande non per mole, ma per la sua potenza; perciò la sua grandezza raccogliendosi nelle piccole cose non ne sente disagio. Come il nostro fugace parlare viene ascoltato in un medesimo istante da molti e arriva a ciascuno per intero, così non è incredibile che il Verbo divino, non fugace, sia contemporaneamente tutto e dovunque”.   


L’Aquinate specifica inoltre come Cristo, in quanto ‘vero Uomo e vero Dio’, in realtà non abbia avuto un corpo apparente e né un corpo celeste, ma un corpo fisico vero e proprio come quello degli uomini comuni – soggetto quindi al freddo, al calore, al dolore, alla fame, alla sete, etc., etc..   


Tutto ciò lo esamineremo in modo dettagliato più avanti quando sarà presentato il testo originale (Quaestiones 5,2).  


La natura divina di Gesù la si evince anche quando egli discese negli inferi: 

“Il termine Inferi o Inferno, ha riferimento al male della pena, non al male della colpa. Perciò era opportuno che Cristo vi discendesse: non perché lui meritasse la pena, ma per liberare quelli che dovevano subirla. La Passione di Cristo fu come la causa universale della salvezza umana, sia dei vivi che dei morti… 
… l’anima di Cristo discese all’Inferno non con il moto che è proprio dei corpi, ma con quello che è proprio degli angeli”. 
(Thomas Aquinas – Summa Theologiae, Tertia pars – Questione 52, Articolo1) 


                                           



Cristo morì veramente perché potesse entrare la vita nel regno della morte.


Secondo la teologia cristiana la morte era stata introdotta nel mondo per colpa dell’egoismo di Adamo  reo di aver messo se stesso al posto di Dio.   

La vita ci viene riportata dall’amore del sacrificio di Gesù.

Dalla morte, adesso, pulsa la vita!   


Cristo è infatti il Dio dei viventi, che vive eternamente nell’amore tra il Padre e il Figlio.

L’incarnazione del figlio di Dio è il segno dell’amore di Dio per noi ed è il fondamento stesso della nostra eternità. 

“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”.
(Luca 24:5-7) 


Oggi gli esseri umani non si accorgono di esser parte di qualcosa più grande di loro.   
Se desiderano sentirsi completi devono, a nostro modo di vedere, riscoprire in cuor loro Dio, uscendo definitivamente dall’illusione della realtà materialistica di cui sono, volenti o nolenti, prigionieri.

Le persone comuni, nonostante siano state circondate per secoli dal Cristianesimo, non sono mai state completamente in sintonia con il suo messaggio spirituale.   


Purtroppo il razionalismo dell’odierna società secolarizzata rende molte persone scettiche e persino ostili nei confronti del sacro.

Salvo rarissime eccezioni, l’uomo moderno non riesce a comprendere che i fatti del mondo non sono la fine della questione; esiste una realtà spirituale, divina, che Tommaso d’Aquino descrive nei minimi particolari nei suoi magnifici trattati teologici ed è ad essa che dobbiamo prevalentemente pensare prima di dire o fare qualcosa su questo piano di realtà. 

Il senso della vita va infatti ricercato dentro di noi, laddove esiste una dimensione totalmente intima in cui la nostra anima dimora in attesa di essere risvegliata e di essere ricondotta a Dio – anche attraverso il lume della ragione.   


Grazie allo studio della Summa Theologiae è possibile, secondo noi, rendere in comunione la nostra mente con la nostra anima e proiettare i nostri pensieri verso l’Altissimo, il sommo artefice di tutto ciò che esiste.   

                                                   

Per Tommaso tutte le cose presenti in natura sono regolamentate dal rapporto causa-effetto di cui la ‘causa prima’ (esente da un precedente effetto originale) è Dio stesso.   

Inoltre per l’Aquinate non esiste il concetto di ‘infinito’, come invece teorizzato da altri pensatori, in quanto quest’ultimo è inteso da Tommaso come una ‘non prospettiva’.   

In rapporto a questa esperienza della ‘finitudine’, di fronte all’infinito medesimo, Tommaso realizza un disegno divino con un principio ed una fine che è Dio stesso. 


Tutto ciò che è causato nell’universo fisico è figlio della causa prima, cioè è frutto dell’operato dell’Eterno.  

Ogni cosa per Tommaso avviene in vista di un fine di cui il fine ultimo è inequivocabilmente Dio – Ex fine.   


In quest’ottica, anziché risalire all’indietro, l’Aquinate proietta la sua visione in avanti e cerca quale sia il fine della creazione. 

Ogni cosa ha uno scopo immediato, ma tutti gli scopi tenderanno verso un unico scopo universale che altri non è che Dio.   

Se per la teologia il Cristo incarna il Logos, è dunque opportuno dire che i cristiani potranno cercare di comprendere e risalire a Dio anche per mezzo della logica   e non solo con la fede.   

Quindi, in accordo con quanto sostiene Tommaso, per mezzo della ragione.


Mantenere il pensiero elevato, a parer nostro, porta l’essere a contemplare le cose eccelse e, conseguentemente, a riavvicinarsi al Divino. 


La teologia sviluppata dall’Aquinate, a differenza di quella dei Padri della Chiesa e dello stesso Sant’Agostino, è fondamentalmente una ‘teologia razionale’, destinata non tanto alle persone comuni, quanto agli studenti e ai colleghi maestri di teologia.   


Tommaso, scegliendo deliberatamente Aristotele come sua guida principale in filosofia, incorse inevitabilmente nella critica del tempo; da una parte fu criticato aspramente per aver messo in discussione la tradizione neoplatonica nella sua veste cristiana e, dall’altra, per aver abbracciato l’Aristotelismo del filosofo e medico musulmano Averroè (1126-1198). 


Le opere di Aristotele, in gran parte recuperate proprio dagli arabi, una volta tradotte in latino ebbero un grande impatto sul pensiero medievale. Nondimeno l’opera di Tommaso d’Aquino ebbe tuttavia il merito di  armonizzare nel Medio Evo il messaggio evangelico e la filosofia classica riunendola sotto una nuova luce.   


La destrezza della sua mente analitica e sintetica, oggi riconosciuta da tutti, è come se avesse in qualche modo purificato tutto il materiale che egli ha studiato nel corso della sua formazione filosofica per ridurlo all’essenziale e dargli una forma nuova e originale, aperta alle prospettive future.   

Nel periodo in cui visse Tommaso fu l’Averroismo ad avere avuto il merito di introdurre nella cultura medievale, come già espresso, la filosofia aristotelica esaltandone il razionalismo; tuttavia Tommaso tradusse i testi di Aristotele in latino e creò una filosofia che utilizzava la grammatica aristotelica come metodo per fare esperienza dentro il concetto di Verità.   


In principio le sue tesi non furono accettate, ma in un secondo momento, dopo la sua morte, ci fu un riconoscimento ufficiale: Tommaso d’Aquino aveva fondamentalmente ‘cristianizzato Aristotele’ trattando le problematiche del Cristianesimo e servendosi dei concetti del filosofo greco dimostrando in questo modo che la teologia poteva essere riconosciuta come un’effettiva ed accurata ‘scienza dimostrativa’.   


Non a caso Tommaso d’Aquino viene considerato colui che portò la Scolastica al suo massimo splendore ed è, insieme a Sant’Agostino, riconosciuto tutt’oggi come uno dei pilastri portanti della dottrina cattolica.   

Mentre il Vescovo d’Ippona ebbe il merito di portare Platone nel mondo cristiano, Tommaso fu colui che introdusse Aristotele nel cuore della teologia cristiana.   


Secondo l’Aquinate, infatti, sarà proprio attraverso la ragione, punto cardine della filosofia aristotelica, che sarà possibile indagare la natura e, di conseguenza, arrivare ad investigare i misteri della fede.   

Una fede, in pratica, supportata chiaramente dalla ragione. 


Nei suoi scritti Tommaso sostiene che la fede cristiana non è né incompatibile né contraddittoria con un esercizio della ragione secondo i suoi princìpi; le ‘verità’, quelle di fede e quelle di ragione, possono quindi integrarsi in un armonico sistema sintetico senza contraddirsi.   

L’Aquinate pone come principio il rispetto dell’ordine razionale, creato e voluto da Dio, ‘Causa primaria’ e ‘Motore immobile’ (atto senza potenza e forma senza materia), per consentire all’uomo di conoscere la Verità ultima.   


Egli distingue dunque ‘ragione naturale’ e ‘ragione illuminata dalla Rivelazione’, quindi ‘teologia naturale’ e ‘teologia rivelata’, in cui Dio è inequivocabilmente l’oggetto di tutta l’opera di Tommaso. 

Secondo il Doctor angelicus, la filosofia ha il compito prima di esaminare e studiare gli esseri creati per poi elevarsi, in un secondo momento, alla conoscenza del Creatore; nell’ordine della teologia, invece, si comincia con lo studio di Dio, ed è proprio quest’ordine che si segue nei suoi illuminanti lavori. 


Non c’è separazione tra teologia e filosofia, a differenza di ciò che espose nelle sue conversazioni San Bonaventura, il quale affermava che la teologia iniziasse laddove finisse la filosofia.   

Per Tommaso, invece, e citiamo letteralmente le sue parole: 

“La filosofia è l’ancella della teologia”. 


Alla critica mossa da San Bonaventura è nota la risposta che, in una disputa universitaria, Tommaso diede al santo di Bagnoregio che gli aveva rimproverato di versare l’acqua della ragione nel vino puro della Rivelazione, ossia di mischiare la filosofia con la teologia; l’Aquinate rispose all’amico francescano con queste strabilianti parole che ancora oggi risultano essere più che significative:   


“ Noi continuiamo il convito di Cana, in cui l’acqua fu cambiata in vino. Faccio mio questo intendere, nella cosciente convinzione che non bisogna temere di capire, conoscere, procedere, soprattutto non bisogna aver paura di chi semina confusione poiché l’acqua fu cambiata in vino, rivelandosi, e più forte della morte è l’amore, e il pensiero che da esso genera, pensiero che edifica l’umano, lo rende azione e, con fermezza, si manifesta libero e incondizionato di fronte alla realtà ”. 


Tommaso è inclusivo, include soprattutto sempre il Divino nei suoi concetti filosofici e ce lo mostra chiaramente attraverso tutti i suoi discorsi articolati come nella discussione appena citata.
E’ semplicemente geniale! 


San Tommaso d’Aquino rappresenta uno dei principali pilastri del pensiero filosofico occidentale e il suo esempio di ricercatore di Verità ci ricorda che la mente umana, se guidata dalla fede più pura, può realmente arrivare a sfiorare la ‘Porta del Paradiso’. 


Continua… 

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