mercoledì 29 gennaio 2014

L'ORIGINE DELLA RADIX DAVIDIS, LA STIRPE DI GIUDA E IL SIMBOLISMO DEL PELLICANO E DELLA ROSA






L'origine della Radix Davidis, la Stirpe di Giuda e il simbolismo del Pellicano e della Rosa - Intero paragrafo tratto dal libro La Bibbia Rivelata Vol.1 - Iniziazione al Linguaggio Esoterico della Sacra Scrittura di Michele Perrotta:




Nel libro della Genesi il patriarca Giacobbe profetizza la regalità di suo figlio Giuda e della sua stirpe:

«“Giuda, te loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla nuca dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dalla preda, figlio mio, sei tornato; si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come una leonessa; chi oserà farlo alzare?
Non sarà tolto lo scettro da Giuda nè il bastone del comando tra i suoi piedi, finchè verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega alla vite il suo asinello e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; lucidi ha gli occhi per il vino e bianchi i denti per il latte”».
(Genesi 49:8-12)


Seguono passi della Bibbia dove si menziona la salvezza regale della Radix Davidis (Stirpe di David) e la salvezza sacerdotale, soprattutto, quella simbolica e universale che è propria del Cristo:


«Ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore nostra giustizia».
(Geremia 23:5-6)


«Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei».
(Giovanni 4:22)


«È noto infatti che il Signore nostro è germogliato da Giuda e di questa tribù Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchìsedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile. Gli è resa infatti questa testimonianza: Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchìsedek (il Cristo)».
(Ebrei 7:14-17)


La Sacra Scrittura ci dice più volte che il Germoglio avrebbe dovuto nascere in seno alla tribù di Giuda:

«Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. All’angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Così parla il Santo, il Verace, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre. Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch’io ti preserverò nell’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo».
(Apocalisse 3:6-12)


«Uno dei vegliardi mi disse: “Non piangere più; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli”. Poi vidi ritto in mezzo al trono circondato dai quattro esseri viventi e dai vegliardi un Agnello, come immolato. Egli aveva sette corna e sette occhi, simbolo dei sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. E l’Agnello giunse e prese il libro dalla destra di Colui che era seduto sul trono. E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto nuovo: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra”. Durante la visione poi intesi voci di molti angeli intorno al trono e agli esseri viventi e ai vegliardi. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia e dicevano a gran voce: “L’Agnello che fu immolato è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione”. Tutte le creature del cielo e della terra, sotto la terra e nel mare e tutte le cose ivi contenute, udii che dicevano: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli”. E i quattro esseri viventi dicevano: “Amen”. E i vegliardi si prostrarono in adorazione».
(Apocalisse 5:5-14)

                                                    



Questi versetti, che dalla Genesi arrivano sino all’Apocalisse di Giovanni, ci indicano che gli iniziati ai misteri, i quali hanno redatto questi magnifici testi sacri ricchi di linguaggio simbolico non di poco conto, rimarcano con molta importanza la santa discendenza davidica del Messia, mettendo in luce la Radix Davidis, la confraternita tanto esaltata dall’Abate Gioacchino da Fiore nata dalla stirpe di Giuda, figlio di Giacobbe, che successivamente si spostò in Europa dove, a detta di alcuni dotti, sarebbe ancora oggi attiva, se pur in maniera differente.

Tale confraternita, che poi divenne conosciuta con il nome di “Fidelis in Amore” (Fedeli d’Amore) e successivamente, almeno secondo il pensiero della storica Frances A. Yates (vedere nota 32), ne prese l’eredità la confraternita chiamata “Giordaniti” (Giordanisti) guidata dal grande filosofo Filippo Giordano Bruno.


La Radix Davidis divenne infine conosciuta come la confraternita della Rosa+Croce.






Tale confraternita nacque per ristabilire una nuova comunione con l’Inviolato, Dio, attraverso l’eterno Sacerdozio di Melchisedech.

Attraverso il simbolismo di Melchisedech, alla stessa maniera di Cristo, infatti, il mistico può riunire nuovamente nel suo intimo, in senso esoterico, i due aspetti che sono divenuti separati: quello regale e quello sacerdotale, divenendo un tutt’uno con la dimensione spirituale interiore che connetterebbe il l’ego (in realtà il Sè) all’Altissimo in maniera diretta.

Si è Rosa+Croce, infatti, nel momento in cui si raggiunge un elevato grado di realizzazione interiore.

                                                    



Si ottiene tale titolo non per appartenenza ad una società segreta, ma per aver conquistato nel proprio intimo un arricchimento spirituale collegato in maniera diretta e invisibile alla vera Tradizione.

Secondo la storia ufficiale, come abbiamo già accennato, tale confraternita sarebbe, oltre che custode dei misteri legati alla Bibbia, depositaria di segreti inerenti all’Alchimia (vedere nota 33).




                                                




Le origini dei suoi insegnamenti, tuttavia, come d’altronde anche quelle di Mosè, deriverebbero dall’Egitto (vedere nota 34).

  
L’esistenza della confraternita della Rosa+Croce fu resa pubblica nel XVII secolo quando una mattina nell’anno 1623 apparvero a Parigi dei manifesti che dichiaravano:

“Noi delegati del collegio principale dei fratelli della Rosa+Croce facciamo soggiorno visibile e invisibile in questa città per grazia dell’Altissimo verso il quale si volge il cuore dei giusti. Noi mostriamo ed insegniamo senza libri e né segni a parlare la lingua dei paesi nei quali vogliamo dimorare per salvare gli uomini, nostri simili, dall’errore e dalla morte.
Se qualcuno fosse preso dal desiderio di vederci solo per curiosità non comunicherà mai con noi, se invece la volontà lo spingerà realmente a scriversi nel registro della nostra confraternita, noi, che giudichiamo le intenzioni, gli mostreremo la verità delle nostre promesse, per ciò non dichiariamo il luogo della nostra dimora in questa città; certi che i pensieri uniti alla volontà reale del lettore saranno sufficienti a farci conoscere a lui e lui a noi”.


Qualche anno prima apparvero altri manifesti rosicruciani tra cui:

Fama fraternitatis (1614) – Confessio Fraternitatis (1615) – Le Nozze chimiche di Christian Rosenkreuz (1616).



                                               



A creare questi manifesti furono gli adepti di un collegio di Rosa+Croce denominato Cerchio di Tubinga (Tubingen), tra essi vi era l’importantissimo pastore luterano Johann Valentin Andreae, Johan Arndt, Tobias Hesse, Wilelm Von Wens, Tobias Adami, Christophe Besold ed altri iniziati considerati eretici dalla Chiesa cattolica.


I Rosa+Croce, nonostante l’adorazione del libro di Kempis, “L’Imitazione di Cristo” e la loro venerazione per il Vangelo, furono dei cristiani (seguaci del messaggio di Cristo) “particolari” i quali detenevano nel loro credo anche alcuni insegnamenti gnostici, zoroastriani, ermetici, alchemici e cabalistici.

Riteniamo personalmente i Rosa+Croce a tutti gli effetti cristiani poiché, a differenza del Giudaismo e  dell’Islam, nel loro credo è presente la trinità: Padre, Figlio, Spirito Santo.






Diverse leggende narrano che la confraternita si distaccò dell’Europa per poi giungere in Tibet e poi in India dopo le dure persecuzioni che subirono e che durarono secoli, sia da parte della Chiesa, sia da altri poteri costituiti.

Anche il Nazismo perseguitò la confraternita proprio perché essa fu la vera custode dei segreti dei Giudei, più precisamente di quella tribù che era discendente diretta del Cristo.


Il Nazismo esoterico è pregno di simbologia rosicruciana che mira alla trasformazione alchemica- spirituale dell’essere.



                                          




Lo stesso Irminsul, l’albero della vita nordico, sarebbe in realtà l’espressione simbolica della Sushumna, il canale principale delle Nadi (Ida e Pingala), dove Kundalinī si innalza come un serpente di fuoco per edificare il Corpo di Luce dello yogi o del sacerdote-guerriero: le SS.


Questo potente simbolo, o vettore di potenti energie trascendentali, richiama la forma del Tau tanto caro a Francesco, il santo d’Assisi, ed è strettamente legato all’Yggdrassil (l’albero cosmico/ l’albero del mondo) dove secondo la mitologia norrena fu crocifisso il dio Wotan (Odino), la divinità nordica per eccellenza che ha iniziato ai misteri i popoli nordici.


Le SS, l’ordine iniziatico occulto di Heinrich Himmler, nonostante furono improntate seguendo il modello dei gesuiti, oltre alle pratiche tantriche e lo studio approfondito delle rune e dell’Ariosofia, inseguivano gli insegnamenti orientali e le scienze esoteriche della Rosa+Croce nel loro centro iniziatico, il castello di Wewelsburg.






Adolf Hitler, come molti gerarchi nazisti, fu un importantissimo iniziato ai misteri (fu membro della famigerata Thule-Gesellschaft), egli chiamava le SS i suoi “monaci guerrieri”, come a voler rimarcare la sacralità occulta che aleggiava intorno a questo ordine nero.


Tutta la filosofia del Nazionalsocialismo si basa su una determinata simbologia occulta inerente alla deificazione dell’uomo nuovo analoga, pressappoco, a  quella di matrice tantrica buddista del Tibet di cui parleremo più avanti.

I nazisti volevano spazzar via i Giudei colpendo tutto il mondo ebraico perché ritenuti pericolosi della loro sapienza spirituale, un po’ come fece il Cattolicesimo con le popolazioni del Mesoamerica dove, oltre allo sciamano, facevano scempio di quasi tutta la popolazione.


Fu così anche quando la Chiesa fece la sua crociata contro il Catarismo ritenuta un’eresia pericolosissima che doveva essere estirpata.

Sembrerebbe, e la storia non fa altro che confermarcelo, che sia questa la vera “magia nera” esercitata dalle caste sacerdotali, che siano esse il Sinedrio piuttosto che la Chiesa o il Nazismo stesso, che da sempre condizionano le masse attraverso il potere terreno strumentalizzando di continuo i simboli sacri a proprio uso e consumo.


«“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello darà a morte il fratello e il padre il figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. E sarete odiati da tutti a causa del mio nome; ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato. Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra; in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo. Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più i suoi familiari! Non li temete dunque, poiché non v’è nulla di nascosto che non debba essere svelato, e di segreto che non debba essere manifestato. Quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti. E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna. Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia. Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri! Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” ».
(Matteo 10:17-33)


Nella confraternita della Rosa+Croce si custodiva il segreto del Santo Graal: il sangue reale.

Il Graal, a parer nostro, avrebbe due funzioni: una terrena, una ultra-terrena.



                                




Quella terrena sarebbe inerente alla discendenza del sangue reale che da Giuda arriva fino a Davide e Salomone, per poi giungere a Gesù di Nazaret.

Quella ultraterrena, invece, ha una valenza esoterica, e sarebbe inerente agli insegnamenti segreti per ottenere l’Elisir della vita eterna: la costituzione del Corpo di Gloria.

I Rosa+Croce erano tutti appassionati di Ermetismo, Alchimia e Kabbalah.


Il Rosacroce Michael Maier per descrivere l’origine della confraternita in uno dei suo scritti dichiara:

“Le nostre radici sono egizie, bramaniche, provenienti dai misteri di Eleusi e di Samotracia, dai Magi
della Persia, dai Pitagorici e dagli Arabi”.




                                      



Maier sostiene inoltre che le regole fondamentali della confraternita sono quelle di temere Dio sopra ogni cosa, di fare tutto il bene possibile al proprio prossimo, di rimanere onesti e moderati, di scacciare il Diavolo, di non cadere nel vizio e di accontentarsi delle piccole cose.

Uno dei simboli della confraternita della Rosa+Croce è il Pellicano che, attraverso il suo sacrificio, il quale ricorda quello di Cristo, con il suo sangue nutre e risuscita i suoi piccoli.

«Pie Pellicáne, Jesu Dómine, Me immúndum munda tuo sánguine, Cujus una stilla salvum fácere, Totum mundum quit ab ómni scélere» ("Oh pio Pellicano, Signore Gesù, purifica me, immondo, col tuo sangue, del quale una sola goccia può salvare il mondo intero da ogni peccato”).
(Tommaso D’Aquino - Adoro Te Devote)


È assai curioso il fatto che il grande teologo Tommaso d’Aquino, uomo illuminato, di cui abbiamo appena riportato un suo breve scritto in cui compara Cristo al Pellicano, fu addirittura esaltato dall’eretico per eccellenza, Filippo Giordano Bruno, ex monaco domenicano, proprio come lo stesso Tommaso, il quale viene indicato più volte dal nolano stesso con le seguenti parole: “Divino aquinate”.



Motivo questo che ci porta ancora una volta a sostenere quello che noi abbiamo sempre pensato: le religioni e il loro contenuto simbolico non sono affatto un male per gli uomini, semmai lo sono le istituzioni religiose che strumentalizzano quei messaggi spirituali per fini materiali.


Tornando al simbolismo del Pellicano, anche Dante cita questo potente simbolo associandolo al Cristo:

«“Questi è colui che giacque sopra’l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto”».
(Divina Commedia - Paradiso canto XXV, 112-114)







Questi versetti del Sommo poeta si riferiscono nello specifico al passo evangelico Gv. 13:23-25 in cui l’apostolo che Gesù amava più degli altri appoggia il capo sul petto del Cristo durante l’ultima cena. 

Gesù simboleggia il pellicano poiché anticamente si credeva che questo uccello nutrisse i suoi sette piccoli, i quali, secondo alcune leggende, verrebbero al mondo totalmente deboli e quasi privi di forze; squarciandosi il petto il Pellicano li salvava così da morte certa nutrendoli col proprio sangue.



                                              



I sette pulcini nutriti dal sangue di questo potentissimo simbolo sono un’allegoria dei sette chakra che devono essere risvegliati o vivificati per poter far proiettare la coscienza al di fuori del corpo fisico per sperimentare infine i mondi superiori del Divino nello spazio senza limite.

La Sacra Scrittura ci dice in maniera inequivocabile che il sangue di Cristo è il simbolo della nuova alleanza con Dio (Mc.14:24) ed è nutrizione e salvezza per le anime degli uomini:

• Nutrizione – Insegnamenti (senso essoterico)

• Salvezza – Risurrezione – Realizzazione spirituale – “Corpo di Gloria” (senso esoterico).


La Rosa deriva dagli alchimisti persiani: “Rosa Tea” (vedere nota 35).



                                         



Questo fiore, che indica l’iniziazione ai misteri e l’evoluzione dell’anima presso le tradizioni esoteriche, potrebbe essere associato anche all’energia Kundalinī, colei che sboccia e fiorisce nel punto esatto di unione delle braccia orizzontali e verticali della Croce, quest’ultima intesa come un’allegoria del corpo umano o corpo fisico.

La Rosa, simbolo di purezza, a differenza del corpo (Croce), è immortale  e sempre in evoluzione.

Il simbolismo della Rosa deriva inoltre dalla cosiddetta “riforma di Martin Lutero” che diede origine al protestantesimo, il movimento religioso che ebbe risvolti politici di tipo rivoluzionario che interessò la Chiesa nel XVI secolo e che portò alla nascita del “cristianesimo evangelico” o “protestante”.

La corrente di Lutero aveva come simbolo una rosa bianca con una croce all’interno di un cuore rosso (questo simbolo è chiamato “Rosa di Lutero”).

Martin Lutero, che prima di esser stato etichettato come eretico dalla Chiesa fu un sacerdote cattolico, dopo aver visto in prima persona le depravazioni di alcuni preti dopo un suo viaggio a Roma, si scagliò contro la vendita delle indulgenze che la Chiesa esercitava sul popolo per far loro ottenere il perdono dei peccati.

Questo evento diede origine alla riforma con l’affissione da parte di Lutero di 95 tesi da discutere in un pubblico dibattito sulle indulgenze e in generale sull’operato ipocrita dell’intera Chiesa Cattolica.


                                               




A nostro avviso i Rosa+Croce adottarono questi tre simboli per rimarcare l’elevata importanza simbolica di questi tre fondamentali aspetti iniziatici:

• Rosa = Nascita/Crescita/Evoluzione

• Croce = Morte

• Pellicano = Resurrezione


“… Il fatto che i pellicani adulti curvino il becco verso il petto per dare da mangiare ai loro piccoli i pesci che trasportano nella sacca, ha indotto all’errata credenza che i genitori si lacerino il torace per nutrire i pulcini col proprio sangue, fino a divenire emblema di carità.
…Questo emblema è presente nell’iconografia alchemica: da un lato raffigura un genere di storta, ossia un recipiente nel quale veniva riposta la materia liquida per la distillazione, il cui “beccuccio” è piegato in direzione della cupola convessa; dall’altro costituisce un’immagine della “pietra filosofale” dispersa nel piombo allo stato fluido, nel quale si fonde al fine di determinare la trasmutazione del “vile metallo in oro”.
Questo volatile è quindi la metàfora dell’aspirazione non egoistica all’ascesa verso la purificazione, della generosità assoluta, in mancanza della quale, nell’iniziazione, tutto resterebbe irrimediabilmente vano …Per i Rosa+Croce, il pellicano, che alimenta con il proprio sangue i suoi piccoli, insegna l’amore senza il quale il più colto e potente degli umani non saprebbe essere, secondo San Paolo, che una campana che risuona o un cimbalo fragoroso. Si è sempre riconosciuto che il saggio più perfetto sarà colui che saprà amare meglio”.
(Oswald Wirth, 1860 –1943)



                                                


Come abbiamo già indicato più volte in questo lavoro, la tradizione sacra per essere giustamente interpretata e compresa nel migliore dei modi, necessita di essere colta nella sua valenza simbolica più che di quella storica.

Questo ragionamento lo possiamo applicare proprio alla leggenda del pellicano attraverso il seguente concetto:

Non è importante se in natura il pellicano squarci realmente il proprio corpo per nutrire i propri piccoli ma è importante, invece, ciò che questo simbolo detiene in sé e che a sua volta insegna per far progredire a livello spirituale colui che sa carpirne il mistero.


«“ Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perchè sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira. Seguiranno il Signore ed egli ruggirà come un leone: quando ruggirà, accorreranno i suoi figli dall’occidente, accorreranno come uccelli dall’Egitto, come colombe dall’Assiria e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore ” ».
(Osea 11:9-11)


Nel passo di Osea che abbiamo riportato in precedenza la divinità viene rappresentata da tre simboli strettamente legati a ciò che rappresenta il Messia Gesù di Nazaret nell’Evangelo:
Il leone, simbolo messianico della regalità davidica; il Pellicano, l’uccello d’Egitto che risuscita i suoi piccoli attraverso il proprio sangue; la colomba, associata da sempre allo Spirito Santo che discende dal regno celeste per consacrare i “giusti”.


Tutti simboli che mirano alla trascendenza.


                                                     




L’aspetto simbolico della Bibbia era essenziale per i Rosa+Croce, poiché esso è detentore di ricche tradizioni vicine alle verità superiori, il simbolo che riconnette all’Archetipo ancestrale e primordiale: la verità ultima.


Non è casuale che il simbolismo del Pellicano, tra le tante tradizioni, compare anche tra i simboli nella sintesi dell’Opera illustrata del "Rosarium philosophorum" (opera del XIII secolo) di Arnaldo da  Villanova (vedere nota 36) di cui parleremo più dettagliatamente nel secondo volume.



                                                  



Nel libro Storia e dottrina dei Rosacroce di Paul Sedir, quando si menziona il Leges Societatis, gli statuti della società per lo studio della Sapienza Divina, troviamo, oltre alle regole della confraternita, le seguenti informazioni:


“La parola magia significa saggezza divina. Ve ne sono tre specie.
La prima è la magia celeste, chiamata Merkabah dagli Ebrei, o dalla Kabbalah (della Merkabah ne parleremo dettagliatamente nel secondo volume - La Bibbia Rivelata Vol.2 - Il Corpo di Luce e il Segreto del Fiore della Vita).
La seconda, che deriva dalla prima, è la magia umana, o dottrina platonica; essa comprende molte divisioni.
La Terza è la magia superstiziosa o diabolica, piena di idolatrie, di scongiuri e di incantesimi.
Essa comprende la necromanzia, assai in uso presso i popoli del Nord…
…Sono i necromanti che hanno screditato la vera magia: poiché essa non insegna che il bene: conoscere il Creatore e la creatura, glorificare il nome del Signore, ricevere lo Spirito di Dio, la vera Saggezza ed i segreti divini, comprende la parola sacra, prevedere le cose future, salire verso Dio, farsene un amico, unirsi a lui, conversare con gli angeli, avere delle visioni, ricevere delle rivelazioni, fare dei miracoli, pregustare in questo mondo le gioie eterne e passare la propria vita in una gioia tranquilla e costante…
Questa magia viene dallo stesso Dio, essa è stata trasmessa, per mezzo dei patriarchi, fino a Mosè ed al suo consiglio degli anziani; questi settanta costituivano una specie di collegio o di università, che distribuì la sapienza su la classe scelta di Israele fino alla venuta di Cristo.
Il Cristo, la Sapienza stessa discesa, dal seno del Padre, fondò per alcuni suoi discepoli una nuova scuola di magia, mostrò non solamente la strada della sapienza, ma anche quella della vita eterna.
I discepoli del Cristo hanno scritto queste cose secondo l’obbligo che si erano assunti, in modo oscuro e velato, soprattutto l’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo.
Origene ci dice che San Paolo ebbe dei discepoli scelti ai quali svelò i misteri, come il suo maestro Gesù”
(Storia e dottrina dei Rosacroce di Paul Sedir – cap. Dell’iniziazione rosicruciana; pag.140-141)


                                           
                                        



Il Pellicano, l’uccello bianco d’Egitto, da cui si dice che derivi il nome stesso del paese in lingua geroglifica, potrebbe essere l’ennesima prova di come la tradizione sacra sia realmente uscita dalla terra d’Egitto e che è successivamente emigrata altrove.

Di questa trasmissione di sapere nella Bibbia ne è simbolo Mosè che porta, infatti, l’iniziazione a tali misteri al “suo nuovo popolo” per fonderla in un nuovo credo verso il Dio unico e verso nuovi orizzonti spirituali: la “terra promessa”.


Questa valenza archetipica, presente in differenti culture e racchiusa nel simbolismo del Pellicano, ci induce a sostenere la tesi che l’Eterno utilizzi realmente gli uomini della Sacra Scrittura come mezzi simbolici.

Questo concetto è adattabile soprattutto ai profeti della Bibbia che altro non sarebbero, secondo i principi della Kabbalah, che simboli viventi o uomini veicolati nella storia da Dio che ci indicano di continuo un disegno più grande di noi.

Come il Pellicano stesso, che vola ed emigra da un punto ad un altro ben preciso portando con sé la tradizione sacra del sacrificio, della trasformazione e, soprattutto, dell’Amore.


Il Pellicano è presente sotto forma di geroglifico egizio anche nella parola Mer-Ka-Ba:

l’arcana scienza legata alla costituzione del Corpo di Luce o Corpo di Gloria di cui ci occuperemo nell’ultima parte di questo lavoro.


                                          

                                     


Nell’Ars Symbolica il sangue scaturente dal petto del Pellicano, che in Alchimia simboleggia il recipiente in cui avviene la distillazione, rappresenta per l’alchimista la "Forza Spirituale" che, con grande amore e sacrificio, alimenta l’Opus e che condurrebbe alla perfezione attraverso la trasformazione delle sostanze terrestri e celesti.


La parola Mer, si riferisce a un tipo specifico di luce che era noto negli ambienti esoterici dell’antico Egitto al tempo della XVIII dinastia, quando le religioni furono orientate nuovamente alla venerazione di un solo Dio della creazione.

Tale energia era intesa come due campi rotanti (swastike) di luce che ruotano nello stesso spazio.

Lo Swastika è un simbolo solare di buon auspicio presente in differenti culture, esso sostanzialmente rappresenta il polo.


Le due svastiche, quella destrogira che ruota in senso orario e quella levogira che ruota in senso antiorario, rappresentano l’attività dei due poli (positivo/negativo) che reggono l’armonia e l’equilibrio del macrocosmo e del microcosmo e che permettono all’essere in sé di esistere grazie a questa energia motoria presente sia nella creazione che nella creatura stessa a livello sottile.


Il mistico, attraverso una profonda meditazione, è capace di alterare le due swastike nel proprio intimo attivando e controllando così tali energie a suo piacimento.

Secondo differenti tradizioni esoteriche queste tecniche di trascendenza porterebbero alla costituzione del Corpo di Gloria.


                                         
                              

Queste tecniche sono pressappoco analoghe al risveglio di Kundalinī per l’attivazione dei sette Chakra.

Lo Swastika rappresenta inoltre a livello simbolico, come il numero aureo, la spirale cosmica della galassia dove ebbe origine il tutto e da cui proverrebbe la vera Luce: fonte di vita. 


Infatti se osserviamo attentamente lo Swastika ci accorgiamo sin da subito che il suo centro rappresenta l’inizio, il punto centrale da cui fioriscono le sue infinite braccia: l’Uno da cui tutto proviene.


                                        


Stesso principio cosmico legato al “fiore della vita” di cui la sezione aurea ci rivela la Divina Proporzione.


Nel Pistis Sophia, più precisamente nel capitolo denominato Purificazione delle anime – Opera di Melchisedech, il Cristo rivela ai suoi discepoli come egli abbia invertito il corso regolare delle sfere degli Arconti salvando così l’umanità.

A nostro avviso il testo ci rivela come dovremmo riuscire anche noi ad esser capaci di invertire il campo energetico (swastike) dei nostri “Arconti”, espresso se vogliamo anche nell’immobilità dei Chakra presenti all’interno di noi, affinchè possiamo nuovamente riattivare liberamente, senza essere soggetti allo spazio e al tempo, quella Luce del vero Dio simboleggiata nel Pistis Sophia dallo splendente “abito di Cristo”(allegoria del Corpo di Gloria) e giungere alla trascendenza mistica.


                                               



Di questa complessa tematica, come abbiamo già ripetuto più volte, ne parleremo nel secondo volume di questo lavoro.


La parola Ka, indica lo spirito individuale dell’essere umano.


La parola Ba, raffigurata dal pellicano, si riferisce al corpo fisico, in realtà al corpo fisico in trasformazione (come quello di Cristo risorto) che nel simbolismo rosicruciano viene anche indicato con la rosa che fiorisce dalla croce.


Solo un caso che il simbolo del Pellicano indichi questo archetipo presente in diverse culture?

Assolutamente no!


Il Pellicano, come lo stesso mistero della resurrezione di Cristo, è strettamente legato alle scienze esoteriche, alchemiche e, di conseguenza, alla realizzazione spirituale in sé, che le confraternite di matrice iniziatica, soprattutto i Rosa+Croce, hanno custodito e tramandato in maniera segreta ai suoi adepti nel corso dei secoli.



                                                


Secondo gli Egizi, inoltre, le influenze astrali delle stelle, oggetto di studio anche da parte della Magia Naturale rinascimentale, erano maggiori quando i raggi celesti della forza del cielo discendono perpendicolarmente ad angolo retto formando una croce che, come lo swastika (anche lo swastika è di per sè una croce), congiunge i quattro angoli cardinali.

Motivo, questo, che portò Marsilio Ficino (vedere nota 37) a pensare che gli egizi furono profeti dell’avvento di Cristo.


Questa Magia Naturalis, divulgata da Ficino e successivamente abbracciata dal filosofo Filippo Giordano Bruno, era, infatti, propria anche di Cristo, considerato da alcuni iniziati del rinascimento, tra cui lo stesso Bruno, un “mago” e “terapeuta”.

Tale scienza sacra sarebbe giunta in  Giudea attraverso gli insegnamenti di sacerdoti caldei legati all’astrologia e alla medicina e, successivamente giunse in Europa attraverso la riscoperta della figura di Ermete Trismegisto, simbolo per eccellenza del messaggio iniziatico e dell’Ermetismo (vedere nota 38).


Il rivoluzionario Bruno voleva in cuor suo riformare le religioni, soprattutto la Chiesa cattolica, attraverso una gnoselogia ermetica e, soprattutto, attraverso l’Amore, quell’amore che tutto smuove e trasforma e che in quei tempi bui non fu certo una virtù delle religioni costituite, soprattutto della Sancta Mater Ecclesia; la filosofia platonica rinascimentale di Bruno, in perenne antitesi con l’aristotelismo, entrò in conflitto con tutte le religioni istituzionalizzate dell’Europa dell’epoca e fu, senz’ombra di dubbio, un sistema di pensiero fuori dal tempo che lo condusse al rogo con la mordacchia, un diabolico congegno che fora e blocca la lingua del condannato.


Prima di tappargli letteralmente la bocca, è ormai nota l’immortale frase che Bruno rivolse ai suoi aguzzini mentre gli pronunciavano la sentenza di morte:

“Maiore forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” – “Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”.

“Eretico, pertinace, impenitente”, questa fu la condanna emessa dal tribunale della Santa Inquisizione nei confronti del Nolano.



                                         



Come Gesù, Bruno fu messo a morte dai sacerdoti del suo tempo perché portava un messaggio spirituale e una visione sul divino del tutto differente.

«“E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” ».
(Matteo 10:28)


Ancor prima di Bruno, Giovanni Pico della Mirandola, contemporaneo di Ficino, abbracciò la Magia naturalis ficiniana e la mise in armonia riadattandola alla sua Cabala pratica o Magia cabalistica.



                                                



Pico, con la sua Prisca Theologia (vedere nota 39), voleva conciliare differenti dottrine rendendole in armonia con il cristianesimo in una concordia universalis alla base della filosofia pichiana.

Oltre ad attingere alle energie dello Spiritus Mundi, come nella Magia naturale, e alla Magia Orfica (gli inni orfici dell’Orfismo), la Cabala pratica veniva considerata da Pico come una scienza esoterica che conferma la verità cristiana e, di conseguenza, la divinità di Cristo.


Tale dottrina viene sostanzialmente indicata come Cabala cristiana rinascimentale.

Tutto questo andava a  braccetto con la filosofia del rinascimento comunemente indicata con il nome di Umanesimo, la quale innalzava l’uomo dalla scolastica, ritenuta dogmatica come il sistema aristotelico stesso, verso un’ascesi più profonda la quale apriva a scenari rivoluzionari che portarono anche alla teoria eliocentrica di Copernico.

Anche Pico della Mirandola pagò con la propria vita per la sua libera ricerca, si dice infatti che fu avvelenato con l’arsenico per questioni politico- religiose.


Il Rinascimento fu un periodo straordinario per l’anima dell’essere umano che, infatti, “rinasceva” da un periodo oscuro (l’oscurantismo) dove un sistema pregiudiziale capeggiato dalla Chiesa cattolica si opponeva al progresso, alle vie eterodosse, e alle idee innovative.


Gli ermetici, discepoli del “Trismegisto”, amavano il neoplatonismo, soprattutto Plotino e le sue Enneadi dove si credeva che l’anima, svincolata dal corpo, fosse libera dalla causalità “esterna” e che essa poteva seguire la ragione, ossia poteva agire in base alla “provvidenza” e, dopo, grazie ad un’ascesa ritornare all’Uno: il Tutto, Dio.

Questo Uno (Monade) ha come essenza simbolica la Luce, quella Luce che è alla base della sostanza stessa dell’Eterno e del “Corpo di Gloria”, specchio della Sua immagine e, di conseguenza, di un determinato pensiero mistico-alchemico che esamineremo più avanti.



                                                


La Cabala pratica di Pico si basava sostanzialmente sull’invocazione di angeli, arcangeli, delle dieci Sefirot e, addirittura, di Dio stesso.



Durante il Rinascimento vi era la comune credenza secondo cui Ermete Trismegisto fosse un contemporaneo di Mosè, e lo stesso Pico credeva che questa dottrina esoterica, assimilata alla Cabala, avesse un’origine egizia e che fu trasmessa successivamente agli ebrei tramite un’iniziazione.


Sia Ficino che Pico della Mirandola erano affascinati dalla figura di Ermete Trismegisto, soprattutto da due opere contenute nel Corpus Hermeticum: il Pimandro (Pimander), considerato il libro egizio della Genesi, e l’Asclepio (Asclepius), un importantissimo trattato di magia.

La tradizione ermetico-cabalistica, con l’aggiunta della tradizione pitagorica, fu praticamente fondata da Pico della Mirandola durante il Rinascimento.

I suoi influssi neoplatonici si devono alle teorie del filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletóne (1355 ca.-1452). Di questo illustre personaggio ci soffermeremo più dettagliatamente nel secondo volume di questa nostra opera.


                                       



Questa immensa gnosi esoterica, insieme all’opera magica di Cornelio Agrippa denominata De Occulta Philosophia (vedere nota 40), influenzò non poco Giordano Bruno, il quale si autodefinì da sempre un seguace di Hermes: Ermete Trismegisto (il tre volte grande).


Nell’ordine della Rosa+Croce, oltre a queste dottrine rinascimentali, si riscopre l’eredità e l’influsso dei Templari, dei Trovatori, dei Fedeli d’Amore  e dei Catari.

La Rosa, elemento femminile, è analoga in questo senso alla Vergine Nera, Iside, il Fuoco astrale, Kundalinī, Shakti (śakti ), la consorte di Shiva, la Sophia degli gnostici, la Beatrice di Dante.



                                         



Si tratta di espressioni del femminino sacro che se congiunte al Giglio, simbolo del mascolino sacro, conducono a Dio attraverso il matrimonio (unione) dei due aspetti apparentemente in contrapposizione tra loro e perennemente vivi nel nostro intimo.


Tutto ciò viene narrato in un linguaggio simbolico nel libro "Le Nozze Chimiche di Christian Rosenkreuz".


Questo fondersi dell’ego attraverso l’elemento maschile con quello femminile, analogo ad un ritorno a Dio mediante lo Yoga (unione) o “nozze mistiche” (Sizigia), resta il fine ultimo delle tradizioni esoteriche rosacrociane per una corretta realizzazione spirituale.


Questo è il vero amore che i mistici ricercano nel proprio intimo e che non ha niente a che fare con l’amore comune tra uomini e donne.


Secondo Eugène Canseliet (1899 – 1982) scrittore, alchimista e unico discepolo del grande Fulcanelli, un importantissimo alchimista del XX secolo, simbolicamente la Rosa viene associata alla Pietra Filosofale, mentre la Croce al Crogiolo; entrambi i simboli uniti indicherebbero la Rugiada Cotta.

La virtù della Rugiada è quella di sollevare, sotto l’effetto del calore veicolato con prudenza, tutti i sali terrestri.


La Croce era anticamente il geroglifico del Crogiolo ed era simbolo di colui che raccoglie il liquido terrestre e lo condensa nell’astrale attraverso la “via secca”.


Mentre la cosiddetta “via umida” consiste nel trattamento liquido o di un materiale solvente denominato anche con il termine “fuoco segreto” e la sua durata è lunga.


La “via secca” è una pratica eseguita esclusivamente nel forno e con crogioli refrattari.

È una via complessa e non accessibile a tutti; viene indicata da Fulcanelli e dal suo discepolo Canseliet con il termine di Lupo Grigio o Drago Nero.



A parer nostro queste informazioni indicherebbero il fine ultimo dell’alchimia stessa che è analogo a quello dello Yoga tantrico:

«La trasformazione dell’ego in  qualcosa di immortale che, attraverso l’edificazione del “Corpo di Gloria” riesce a vincere le leggi fisiche dello spazio e del tempo divenendo non più vincolata al Samsāra, il ciclo delle nascite e morti».



                                                 

Questa sarebbe la perfetta trasformazione e la vera liberazione dell’uomo verso la sua divinizzazione, la sua fusione con l’Energia Divina per ottenere l’Elisir del Santo Graal: la vita eterna.

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Nostre considerazioni sull’evoluzione della confraternita dalla Genesi fino ai giorni nostri:


• Genesi: Melchisedech - Abramo - Isacco - Giacobbe - Giuda (Tribù di Giuda).

• Esodo: Sacerdozio/Iniziazione Egizia – Mosè - Costituzione del “Popolo Eletto”.

• Re David e Salomone (Stirpe di Giuda - Albero di Iesse - Radix Davidis).

• Deportazione del popolo ebraico in Babilonia - Influenze dei Terapeuti - Esseni - Magi (Essenismo/Mazdeismo/Zoroastrismo).

• Gesù di Nazaret - Giuseppe D’Arimatea - Giacomo “Il Giusto” - Saulo di Tarso (Cristianesimo delle origini – Simbolismo del Graal - Druidismo).

• Radix Davidis

• Monachesimo

• Massenia

• Catarismo

• Templari

• Fidelis In Amore o “Fedeli D’amore”

• Rinascimento, Umanesimo, Neoplatonismo, Pitagorismo, Gnosticismo, Ermetismo, Kabbalah, Magia Naturalis, Cabala Cristiana, Alchimia, Yoga, Tantrismo.

• Rosa+Croce

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«Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
(Giovanni 8:31-32)


«“Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo  mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria”».
(1Corinzi 2:6-7)


La discendenza regale (Davidica) di Gesù viene indicata nel primo capitolo del Vangelo di Matteo e nel terzo capitolo del Vangelo di Luca.


                                                     

                                                     

Nel libro di Henri Martin Histoire de France troviamo scritto:

«Nel Titurel, la leggenda del Graal arriva alla sua ultima e splendida trasfigurazione sotto l’influenza di idee che Wolframo (autore del Parceval) sembrava aver attinto in francia e specialmente dai Templari del mezzogiorno della Francia. Un eroe chiamato Titurel fonda un tempio per deporvi il Santo Vessel, e chi dirige questa costruzione misteriosa è il profeta Merlino, dal momento che Giuseppe d’Arimatèa in persona l’ha iniziato al piano del tempio di Salomone.
La Cavalleria del Graal diventa qui la Massenia, cioè una framassoneria ascetica, i cui membri si chiamano Templisti, e si può vedere qui l’intenzione di legare ad un centro comune, figurato di questo tempio ideale, l’Ordine dei Templari e le numerose confraternite di costruttori che rinnovavano allora l’architettura del Medio evo… ».
(Historie de France, t. III p.398.)




Paul Sedir nel suo illuminante libro “Storia e dottrina dei Rosa+Croce - Edizione Dioscuri” ci rivela le origini della Rosa+Croce e le sue influenze in questo schema che riportiamo fedelmente:

1 - Corrente dello gnosticisno, continuata dai Catari e dai Valdesi, dagli Albigesi e dai Templari di cui il geniale interprete è Dante

2 - Corrente della Chiesa cattolica con i “monaci”

3 - Corrente degli iniziati ermetisti ed alchimisti, fra i quali bisogna contare molti ebrei cabbalisti.

La corrente massonica nelle sue origini è derivata dalla fusione di gruppi gnostici (sotto la forma templare) e degli ermetisti.

La corrente rosicruciana è sostanzialmente la sintesi di questi tre stadi e di queste tradizioni.


Le fonti della tradizione occidentale verso il sedicesimo secolo erano le seguenti:

1 - Gruppi gnostici tra cui – Kabbalah e Mazdeismo o Zoroastrismo informati dal Vangelo

2 - Dottori della Chiesa cattolica

3 - Alchimisti (che studiano la natura)

4 - Kabbalisti spagnoli

5 - Tradizioni autoctone legate alla leggenda dal Graal e da correnti druidiche

6 - Corrente araba – molto probabilmente legata al Sufismo



                                              




Inoltre, come abbiamo già indicato, la confraternita ha un’origine anche da altri gruppi iniziatici tra cui i Terapeuti, gli Esseni e il neo-platonismo di Alessandria.

Le origini esoteriche mazdeo-cristiane affondano le loro radici nelle grandi sintesi spirituali fiorite all’epoca dell’Impero Partico (247 a.C.–224 d.C.).

Questo breve periodo storico che va dal III sec. a.C al III secolo d.C. è forse uno di quei periodi di maggiore rilievo spirituale nella storia umana; è in questo contesto storico che si è registrata la più feconda sinergia tra diversi pensieri spirituali del mondo.


In questo tempo si manifestarono le forme più mistiche dell’Ebraismo (l’Essenismo e la Kabbalah), il Cristianesimo, e con esso quello gnostico delle origini, il Manicheismo, la religione mandea, l’Ermetismo alessandrino, e le idee neo-pitagoriche e neo-platoniche.



                                            





Tuttavia sembra che l’influenza maggiore sia dovuta grazie al filosofo, matematico, astronomo e “mago” Pitagora, figura storica che, ancora oggi, è messa in discussione da diversi studiosi.

La sua storia si mischia alla leggenda narrata nelle numerose biografie o “Vite di Pitagora”, composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo, nelle quali il filosofo viene presentato addirittura come figlio del dio Apollo.

Di questo personaggio a metà strada tra l’umano e il divino sappiamo solo che è nato in grecia, si dice nell’isola di Samo, e che fondò con certezza una sua scuola iniziatica in Italia, a Crotone, allora Magna Grecia, intorno al 530 a.C., ed è da questa e dalle sue illuminanti dottrine che molti pensatori della storia furono in qualche modo influenzati, da Platone a Plotino, da Gioacchino da Fiore a Dante, da Luca Pacioli a Leonardo da Vinci, da Pico della Mirandola a Giordano Bruno, da Copernico a Keplero, etc., etc.


                                      



Il pensiero universale dei pitagorici in sostanza era quello di vedere nel numero e nella misura la possibilità di mettere ordine nel mondo umano, dimensione spesso sopraffatta dal caos: discordie, disuguaglianze, conflitti, guerre. etc., etc.

Tutta la creazione materiale, e con essa l’uomo stesso, è misura di Dio.


Lo stesso Platone, influenzato dal pensiero pitagorico, come lo stesso filosofo greco Protagora, sostenevano in ugual modo:

«“L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono”»
(Protagora, fr.1, in Platone, Teeteto, 152a)


A Pitagora, oltre al famoso teorema che riprende il suo nome e la credenza secondo la quale egli sarebbe stato uno dei primi a seguire la via del vegetarianismo, si attribuisce la cosiddetta armonia delle sfere: secondo la tradizione, infatti, sarebbe lui il primo uomo che udì la sinfonia planetaria riconoscendola attraverso la somiglianza dei suoni provocati dai colpi di martello sull’incudine.


                                             



Utilizzando un monocordo inoltre Pitagora avrebbe determinato i rapporti numerici corrispondenti alle consonanze musicali: 1/2 per l’intervallo di ottava, 2/3 per la quinta, e 3/4 per la quarta.





Tutto questo collima con la credenza del mondo greco antico secondo la quale il cosmo sarebbe assimilabile ad una scala musicale dove sia il Sole che ogni pianeta corrispondono ad un determinato suono.

Possiamo senz’ombra di dubbio affermare che il Pitagorismo, sostanzialmente, resterà immortale. Come immortale resta, infatti, il linguaggio dei numeri.

                                                    


Il Compasso aperto a novanta gradi raffigurato sopra il Pellicano dei Rosa+Croce, come da immagine della copertina di questo nostro libro, richiama proprio al pensiero pitagorico e alla Geometria sacra, aspetti di fondamentale importanza per la confraternita (l'altro simbolo è la corona sopra il compasso che rappresenta l'Arte Regia, ossia l'Alchimia).

«“Fare o dire cose futili e sciocche è da uomo misero; tu, invece, fa cose di cui non abbia a pentirti”».
(Versi Aurei - attribuiti a Pitagora)


 « Non so di nessun altro uomo (Pitagora) che abbia avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero.
…Ciò che appare come il platonismo, si trova già, analizzandolo, nell’essenza del pitagorismo. L’intera concezione di un mondo eterno rivelato all’intelletto, ma non ai sensi, deriva da lui. Se non fosse per lui, i Cristiani non avrebbero pensato a Cristo come al Verbo; se non fosse per lui i teologi non avrebbero cercato prove logiche di Dio e dell’immortalità. Ma in lui tutto ciò è ancora implicito.»
(Storia della filosofia occidentale Bertrand Russell, filosofo, logico e matematico 1872-1970)

                                    

Nel XVII secolo la confraternita della Rosa+Croce, indicata anche come i Fratelli della Rugiada cotta (R+C), racchiudeva in sè una ricca sintesi di tutte queste antiche tradizioni esoteriche che hanno viaggiato nei secoli in circoli ristretti, ciononostante il cuore del rosicrucianesimo è inequivocabilmente legato all’esoterismo cristiano.


Questi insegnamenti, ricevuti grazie ad una iniziazione, avrebbero avuto origine, come abbiamo già ricordato in precedenza, dal ritorno alla venerazione di Dio attraverso la costruzione del Tempio; questo fu il simbolo dell’alleanza voluto da Davide e che suo figlio Salomone terminò di costruire sotto forma di tempio esteriore.

Il Re Salomone, figlio del grande Re Davide, fu considerato, come Melchisedech, “Re di Giustizia”, ed è lui che secondo la tradizione ebraica ha redatto il libro “Il Cantico dei Cantici”.


L’amore presente nel libro Il Cantico dei cantici è un amore “magico” che va ben al di là dell’amore mondano; come l’amore presente nello gnosticismo cristiano tra Cristo e la Maddalena, non è un amore fisico.

È qualcosa di molto più sacro che va ben al di là dell’amore terrestre.


Come lo stesso principio di unità tramandato dal sacro Tantra, che nulla ha a che vedere con il sesso.


Ricordiamo, infatti, che la dottrina rosacrociana è impregnata di concetti orientali per ottenere una perfetta unione con l’anima e Dio: lo Yoga.


Gli insegnamenti nascosti nel libro attribuito a Salomone, che successivamente furono ripresi dai Rosa+Croce nel libro scritto dal teologo rosacrociano Johann Valentin Andreae (1586-1654) "Le Nozze chimiche di Christian Rosenkreuz", deterrebbero un determinato simbolismo che, a nostro avviso, cela la via per far ritorno allo stato androgino dell’essere e, di conseguenza, porta a sperimentare le dimensioni spirituali attraverso l’alchimia e lo Yoga tantrico.

Tale vissuto è un’esperienza che porta alla liberazione dalla materia attraverso il fondersi degli elementi sottili maschili e femminili.


«Un Giglio che spicca tra le spine; come un Melo tra gli alberi del bosco».
(Cantico 2:2-3)


                                             



La donna del Cantico dei cantici sembrerebbe avere inequivocabilmente una stretta analogia con l’energia Shakti presente nel Tantrismo, indicata come la consorte di Shiva: essa rappresenterebbe la “donna-angelo”, la “Madonna Intelligenza” di Dino Compagni e dei “Fedeli d’Amore” che Dante ritrova nel Paradiso attraverso Beatrice e che, secondo i principi dello Yoga (ricordiamo ancora una volta che la parola yoga significa “unione” con la propria anima e con Dio), permetterebbe di completare l’essere nel suo stato estatico trasportandolo nell’ascesi mistica.

È questo, sostanzialmente, l’Amor, che come Dio, tutto può.


I Fedeli d’Amore, eredi della conoscenza iniziatica templare, miravano ad una sola cosa:

“Amare e tendere al cielo attraverso una donna (la sapienza)”.


Il Cor Gentile a cui miravano i Fidelis in Amore simboleggia il cuore purificato e libero da tutto ciò che l’universo materiale può contaminare, si tratta a tutti gli effetti di una liberazione spirituale e totale. Tale concetto è presente anche nel Taoismo.


È forse questo il segreto dei segreti di questa con fraternita che, dai tempi di Re Davide e Salomone, arrivò mille anni dopo attraverso gli insegnamenti segreti di Gesù di Nazaret, e che successivamente fu tramandato dai suoi discepoli in tutto il mondo, dove in Europa fu abbracciato dai Cavalieri Templari e poi dai Fidelis in Amore, per poi esser custodito infine dai Rosa+Croce?


Della confraternita di Dante il filosofo italiano Julius Evola (1898-1974) scrive:

“Quanto alla corrente dei Fedeli d’Amore, essa in Italia sembra essersi continuata fino al Boccaccio e al Petrarca; assumendo però caratteri sempre più umanistici, finchè l’aspetto “arte” andò a prevalere decisamente su quello esoterico.
I simboli si tramutarono allora in mere allegorie, il loro significato non fu compreso, nemmeno da coloro che continuarono ad usarli nelle loro poesie.
All’affacciarsi del seicento il principio vitale della tradizione sembra essersi del tutto esaurito, non solo nell’insieme, ma anche nei singoli autori. Per una relativa continuazione, bisogna riferirsi ad altri gruppi, al altre correnti”.
(Il Mistero del Graal - Dante e i “Fedeli d’Amore” come milizia Ghibellina)


Dopo quel periodo menzionato da Evola rifiorì la Rosa sulla Croce, aggiungiamo noi.



                                                




Un’importantissima visione sull’esoterismo di Dante ce la offre nel suo libro “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore” Luigi Valli, nel capitolo “Per Crucem et Aquilam ad Rosam”, che riportiamo per intero, in cui troviamo espressi i seguenti concetti:

“Ma v’è nella Divina Commedia un simbolo importantissimo, la cui derivazione dalla simbologia settaria è per me indiscutibile ed è proprio il più vecchio, il più comune, il più diffuso, il più abusato simbolo dei “Fedeli d’Amore”: la Rosa.
Il fatto che lo spirituale luogo della perfetta contemplazione celeste, la mèta di tutto il viaggio, la perfezione ultima di chi contempla Iddio sia raffigurata come una “candida Rosa”, come quella “Rosa” e quel “Fiore” (Quando scendean nel “Fior” di banco in banco - Paradiso, XXXI) che era la mèta di tutti i mistici viaggi e di tutti i mistici ardori dei poeti, non può essere pensato come casuale se non da chi abbia risoluto di non voler intendere assolutamente nulla in tutto questo mondo di simboli.
La Divina Commedia è uno dei tanti poemi e romanzi, tutti a base mistica, diffusi dall’ Indostan alla Loira, nei quali il dramma ha per mèta la conquista della “Rosa”, del “Fiore”, o di una misteriosa Biancofiore.
Partendo dalla selva oscura dell’antica “ignorantia”, Dante, sanato dalla Croce, aiutato e integrato da Virgilio che fu sanato dall’Aquila, giunge alla Sapienza santa: Beatrice.
Ed è questa Sapienza santa che di sfera in sfera lo porta all’atto della suprema contemplazione che si attua in una “Rosa” e ivi, nella Rosa, la Sapienza lo abbandona e Dante si trova d’accanto Bernardo, l’atto della contemplazione pura, nel qua le la Sapienza si è risolta, Bernardo che è fedele di Maria, pura carità come Dante era fedele di Beatrice pura sapienza.
Si ripete ancora in una forma completamente diversa e meravigliosamente poetica e umanizzata, la simbologia di Riccardo da S. Vittore, secondo la quale Rachele muore nel dare alla luce Beniamino, la Sapienza muore all’atto della contemplazione pura, Beatrice scompare lasciando al suo posto il mirabile contemplante.
Ma questo avviene nel giallo della “Rosa sempiterna” simbolo che veniva a Dante dalla tradizione eterodossa e iniziatica (Rosa Tea - nota nostra).
Era, mirabilmente raffigurata, quella mistica Rosa che i poeti avevano in così diverse forme esaltato contrapponendola alla Chiesa corrotta, alla Babilonia odiata, “Fiore” contro “Pietra”, come vera dottrina della verità, vera visione e contemplazione di Dio.
La Chiesa che tutto seppe incamerare e che già aveva simboleggiato talora nella rosa Maria o il Cristo, incamerò anche la “Mistica Rosa” e ne fece definitivamente un attributo della Vergine.
Nel secolo XIV furono composte le litanie lauretane e si ritrovò ormai fissato per sempre tra gli attributi della Vergine quello di “Mystica Rosa”!
E oggi nelle nostre chiesette di campagna, odorate dalle rose di maggio, le donne ignare del nostro popolo ancora dolcemente chiamano e invocano “Rosa Mystica” e “non sanno che si chiamare”!
Ma intanto, in un’altra corrente di misticismo più o meno segreto, rimane viva una formula che, se non storicamente, certo per la spirituale analogia, si ricollega in parte al pensiero della Divina Commedia.
La formula dei Rosacruciani riassumente il processo d’innalzamento attraverso il dolore e attraverso la fede fino alla verità santa, contemplazione di Dio, suona com’è noto:
“Per Crucem ad Rosam”.
L’idea se non la formula, è tutt’altro che estranea ai “Fedeli d’Amore”.
Abbiamo visto nella figura rivelatrice di Francesco da Barberino (grande iniziato ai misteri - nota nostra) i “Fedeli d’Amore” che nei primi gradi, della scienza fati cosa e della prova dolorosa, son trafitti dai dardi d’Amore, negli ultimi, nella conquista gioiosa, hanno in mano le rose, quelle stesse rose che Amore tiene in fascio nelle sue mani come promessa di conoscenza beatificante (Dante canta alla vigilia della mistica morte di Beatrice: Si lungiamente m’ha tenuto amore Che sì com’elli m’era forte in pria così mi sta soave ora nel core).
Ebbene se si voglia riassumere in una formula brevissima il pensiero di Dante nella Divina Commedia, nel quale non la Croce sola, ma anche l’Aquila sono i mezzi attraverso i quali la Grazia conduce l’uomo alla visione beatificante di Dio che avviene in una Rosa candida nell’Empireo, potremmo usare la formula:
“Per Crucem et Aquilam ad Rosam”.
La grande idea della Croce veniva a Dante dalla tradizione cristiana e cattolica, la grande idea dell’Aquila dalla tradizione di Roma e dal suo fervore di ricostituzione civile nell’ideale universalistico dell’Impero; la grande idea della Rosa dalla tradizione mistica dei “Fedeli d’Amore”. Questa è la sintesi più breve del suo gigantesco pensiero”.

                                              
                                                                                                   

Ma andiamo a vedere chi ereditò direttamente dal Cristo questi insegnamenti segreti.


Continua....

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MICHELE P.