mercoledì 29 gennaio 2014

DISAMINA ESOTERICA SULLA ŚAKTI (SHAKTI) di Michele Perrotta










Le tante informazioni che troverete all’interno di questo post sono tratte da vari paragrafi presenti nel saggio “Krishna e la metafisica del Divino Amore” di Michele Perrotta.

[Per comprendere nel migliore dei modi il contenuto di questo scritto si consiglia di leggere l’intero libro -in fondo alla pagina troverete il link per acquistare il cartaceo]


… Iniziamo col dire che il Tantrismo, affiorato nella civiltà indo-aria nei primi secoli dell’era cristiana (IV-V sec. D.C.), nonostante alcune leggende collocano la sua origine intorno a 5500 anni fa, intende collocarsi al di là del dualismo (Samkhya); superando la dualità esso si incentra ad ottenere lo stato androgino dell’essere (in alchimia chiamato Rebis) attraverso l’unione di Śiva (Shiva), la divinità centrale del Tantrismo e rappresentazione del maschile, e Śakti (Shakti), sua “consorte” e simbolo della divina “Potenza”, dell’energia del cosmo e dell’intelligenza creatrice.


Il Tantrismo è un sistema di pratiche e dottrine di forte impronta mistica ed esoterica. Nato come sviluppo interno delle religioni indiane, le ha talmente caratterizzate che a partire da un certo periodo in poi nell’Induismo, così come anche in gran parte del Buddismo, nessuna corrente è sfuggita alla sua influenza.

Sul piano delle pratiche spirituali il Tantrismo ha senza dubbi portato notevoli sviluppi di estrema sottigliezza nel campo della metafisica.

Già nei primi secoli dal suo sviluppo la tradizione Indù aveva fatto distinzione tra l’insegnamento vedico (Vaidika) e quello tantrico (Tāntrika); in quel periodo erano sostanzialmente apparse di fronte due forme di “rivelazione” differenti, la prima più “ortodossa” rispetto all’altra (nonostante quest’ultima sembrava essere più adatta ai bisogni dell’epoca).




Queste due vie persistevano fianco a fianco e talvolta risultavano essere persino in simbiosi l’una con l’altra tanto erano ben vive all’interno del contesto tradizionale.


A differenza degli insegnamenti presenti nell’Induismo tradizionale, nel Tantrismo il mondo non è Māya, un’energia illusoria creata da Īśhvara, il Signore Supremo, ma Potenza: è Śakti.

Le tecniche tantriche basate sulla Śakti (Shakti sādhana), oltre ad essere strettamente iniziatiche, sarebbero le più efficaci nell’Era attuale ed esse sono volte a facilitare la liberazione rispetto alle dottrine filosofiche precedenti.

I Tantra hanno infatti la pretesa di essere più pratici rispetto agli antichi insegnamenti ritenuti incompleti o del tutto vani nell’attuale epoca.


Questa divina energia, che pervade tutto il Cosmo, come abbiamo appena indicato, è personificata da Śakti, ovvero da colei che secondo i principi dei Tantra diventa attiva nell’impassibilità di Shiva portando frutto: distruzione/trasformazione.

Essa incarna sostanzialmente la Grande Devī, la Madre dell’Universo, che, in quanto “Forza Vitale” (Shakti-Kundalinī), risiede come energia eterica nel corpo dell’uomo nel punto più basso, sotto la colonna vertebrale, mentre Shiva si realizza nel più alto centro cerebrale, la Corona o Sahasrāra padma Chakra.

                                         
 
Il compimento dello Yoga Tantrico è l’unione tra queste due forze divine nel corpo dell’iniziato.


                                

Tutto ciò è alla base del principio metafisico dell’unione di Puruṣa (principio maschile immutabile e luminoso del Divino e/o dell’Uomo Cosmico) e Prakṛti (“natura” o “manifestazione”, associata all’energia femminile) che renderebbe, per mezzo di forze interne e attraverso specifici processi spirituali, l’uomo libero dalla dualità (Laya o “dissoluzione”). 


Nel corso dei secoli la personificazione di Śakti ha trovato spazio nei vari culti delle numerose divinità femminili o Devī.




Nello Yoga tantrico la Realtà Suprema viene concepita come Coscienza pura e Shiva e Śakti costituiscono i due aspetti dell’unico Brahman.


Lo spirito presente nell’uomo è lo Spirito unico del Divino che risiede in tutte le cose e che, come oggetto di culto, è il Signore (Īśhvara), l’Essere Supremo, da non confondersi con la Manifestazione suprema (Īśhvari).

Shiva e Shakti sono in sostanza inseparabili e simboleggiano la realtà informale della Coscienza (Shiva) unita alla Potenza (Śakti).


Presso lo Shivaismo Shiva è l’Essere Supremo ed assume i tratti sia del Creatore, sia del distruttore.

Nello Shivaismo monistico kashmiro, considerato una delle vette del pensiero filosofico e religioso indiano, spiccano le opere di Abhinavagupta (950 – 1020 D.C.) tra cui il notorio testo Tantrāloka, un’opera che presenta la sintesi dei Tantra monistici e delle dottrine principali dello Shivaismo.


                                             

Secondo la tradizionae indiana Shiva è il distruttore dei mondi per eccellenza, soprattutto grazie alla sua celeberrima “danza distruttrice”, ma nelle assunzioni tantriche è, quando unito ad una delle sue consorti, il veicolo primario per la trascendenza.

In questa tradizione Rudra (altro nome di Shiva) è colui che viene indicato come “Signore della Folgore”, personificazione stessa della divinità distruttiva o “dio della morte”; Shiva è la divinità iniziatica per eccellenza, è colui che uccide il corpo vecchio dello yogi, più esattamente del Siddha (l’uomo realizzato), per trasformarlo e vivificarlo in un corpo nuovo, il Corpo di Luce (Folgore/Diamante o Corpo Adamantino).

                                           


Questa perfetta unione simbolica di Amore cosmico è, sempre secondo l’aspetto tantrico, simboleggiata anche da Krishna e Radha (Radharani), la Gopī preferita da Sri Bhagavān Krishna.

Nonostante fosse una donna sposata Radha è la devota per eccellenza ed è considerata, di conseguenza, “l’amante perfetta del Signore” e “Sua eterna compagna”.


È doveroso per noi precisare che questa relazione e questa unione tra le due figure in questione non ha niente a che vedere con l’amore mondano che tende a consumarsi nel piano fisico bensì con un amore del tutto spirituale (questo concetto lo rimarcheremo più volte nel corso di questo trattato).


Radha rappresenta inoltre l’energia femminile di Dio: “Hare”.

                                  

La formula “Hare Krishna” indica, infatti, il completamento dell’energia femminile del Divino personificata da Srimati Radharani unita a quella maschile del Signore stesso, Sri Krishna.

I Bhakta si focalizzano proprio su questo rapporto mistico di “unione” o “sposalizio” tra l’umano e il Signore; si tratta di una relazione che cresce continuamente nell’intimo di ogni puro devoto e che, similmente ai concetti metafisici dello Yoga Tantrico, veicola le emozioni indirizzandole in stadi superiori del sé attraverso questa sublime “sizigia” (“congiunzione”).

Nel Vaishnavismo il culmine di questo tipo di raccoglimento viene esposto negli insegnamenti esoterici della Danza Rāsa-Līlā in cui Krishna balla con tutte le Gopī pur restando Uno.


Secondo la tradizione vaishnava le Gopī sono divise in cinque gruppi, di cui il più importante è quello delle Parama-prestha-sakhi costituito dalle otto Gopī principali: Lalita, Visakha, Citra, Indulekha, Campakalata, Tungavidya, Rangadevi e Sudevi. 



Molti dettagli della loro vita e del loro servizio: l’età, il carattere, il temperamento, il colore della pelle, etc., sono descritti nella vasta letteratura vaishnava.


Tutti questi elementi costituiscono la base per una meditazione interiore o Sadhana, finalizzata a portare il devoto nel regno spirituale.

Attraverso questa pratica si sviluppa gradualmente Prema, l’Amore per Krishna.

Di questo insegnamento trascendentale, di natura esclusivamente iniziatica, insieme ai principi metafisici presenti nello Yoga tantrico, ne parleremo alla fine di questo nostro lavoro…

                                           

 I seguaci dello Shivaismo sono chiamati “Śivaiti” (Shivaiti) o “Śaiva”, mentre gli adoratori della Śakti, ossia dell’aspetto di Dio sotto specie di “Madre” e “Potenza suprema dell’universo”, sono chiamati Shakta. 


Shiva e Shakti (Śakti) sono i rappresentanti principali, come abbiamo più volte indicato, del Tantrismo, il sistema non-duale di cui abbiamo accennato all’inizio di questo nostro saggio, mentre gli Shakta (cultori dello Shaktismo) sostengono di essere un tutt’uno con Shakti e che tutto quello che percepiscono altro non è che lei nelle svariate forme.


Lo Shaktismo, dove si esaltano gli aspetti delle Devī (Lakshmi, Pārvatī, Sarasvatī, Sati, Tripurasundarī, Durgā, Kālī, etc.) e con esso alcuni precetti dello Yoga tantrico, trovarono spazio anche in certi movimenti esoterici dell’Europa medievale come in quello dei “Fedeli d’Amore” di cui Dante Alighieri (1285-1321), così come Guido Cavalcanti (1255-1300), Francesco Petrarca (1304-1374) e Giovanni Boccaccio (1313-1375), fecero parte.


La “Beatrice” descritta dal Sommo Poeta nella sua opera più famosa, La Divina Commedia, oltre ad essere un “simulacro della Santa Sapienza” (come lo è la Sophia della Gnosi), è la “donna angelo”, la “madonna intelligenza” o “perfezione celeste”, è, in sostanza, la rappresentazione simbolica di Shakti-Kundalinī, l’eterna amata che accompagna il nostro vero Io, in questo caso Dante, nei regni superiori, gli stati elevati del sé: nel Paradiso:


“ Gloriosa donna della mia mente … fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapevano che sì chiamare” (non sapevano di cosa veramente si trattasse).
(Vita Nova I,2)

 

Nel Canto XIX del “Paradiso” (Divina Commedia), Dante colloca addirittura nel regno celeste alcune anime provenienti dalle “rive dell’Indo” (India), nonostante queste non abbiamo mai “conosciuto” Cristo in vita loro (non sono venute a conoscenza dei suoi precetti). 


In questi splendidi versi vi sono richiami non di poco conto sull’importanza che il Sommo Poeta dava alla metafisica “orientale”, la stessa che, secondo Dante, era in grado di elevare le anime nella dimensione più eccelsa: il “Regno dei Cieli”.


Restando sempre in tema di trascendenza, alla stessa maniera di Dioniso, la divinità dell’Olimpo greco connessa ai riti misterici, Shiva veniva considerato in queste confraternite un archetipo dell’iniziazione esoterica; egli sostanzialmente rappresentava, e rappresenta tutt'oggi, quando è unito alla sua amata, il vettore principale del potere energetico e vitale che si cela in tutta la manifestazione oltre che nell’uomo.

                                     


I culti dionisiaci, rifioriti in Occidente durante Rinascimento, dove erano presenti l’assunzione di “bevande sacre” e “danze iniziatiche”, vengono spesso comparati agli insegnamenti shivaiti per le loro affinità simboliche e non solo.


Secondo il mito Dioniso era considerato dai greci un “dio di origine straniera” ed il suo culto segreto era spesso contornato dall’orgiasmo delle baccanti che si univano con la divinità in preda all’ebbrezza per cercare in tal modo di trascendere la pesantezza del mondo.


Alla stessa maniera dello Shivaismo tantrico, in queste pratiche venivano esaltati gli aspetti energetici nascosti nell’essere umano volti all’ascesi mistica.


Le figure di Shiva e Dioniso sono da sempre strettamente legate alla rinascita interiore dell’essere.

Una leggenda addirittura vuole che Dioniso fuggì dalla Grecia per andare in India dove incontrò Shiva e, mentre la divinità greca stava fissando il dio della folgore, egli si riconobbe in lui.


A nostro avviso questa storia rimarca a livello simbolico e non solo una forte connessione che ebbero in passato alcune confraternite occidentali con altre orientali. Sull’aspetto metafisico di Shiva e Shakti (Śakti) come “coppia sacra” ci torneremo più avanti...


«“ Alla fine dell’unione sessuale, si presenta un suono sotto forma di risonanza spontanea scaturita involontariamente dalla gola dell’amata (Śakti).
Quello è il suono inesauribile e indescrivibile che non richiede né meditazione né concentrazione. Se vi si fissa il pensiero, si diverrà improvvisamente padroni dell’universo”»
(Kulagahvara Tantra)

                               

…. L’Amore che viene presentato in poesia nei libri sacri, così come all’interno di queste confraternite misteriche, non rappresenta la passione profana, ma pura essenza trascendentale.

E’ un Amore volto totalmente al Cielo.


Quando i Templari a squarcia gola urlavano il loro grido di battaglia: “Viva Dio Santo Amore!”, non intendevano esaltare la loro passione verso la “santa causa” bensì glorificavano l’elevata essenza di Dio.


L’amore era concepito da costoro come il mezzo principale per magnificare il Divino. 


Tutti i “canti d’ amore” presenti negli scritti del passato dei più grandi iniziati d’Occidente, che dai Templari ai Fedeli d’Amore arrivano sino ai Rosa+Croce, sono sostanzialmente un inno a “donne” che incarnano il principio metafisico di Śakti e Prakṛti.


Nel Vaishnavismo (Vishnuismo) tutto ciò, a nostro avviso, viene velatamente personificato da Radha e dal suo amore per Krishna.

Il “Divino Amore” esaltato all’interno delle confraternite misteriche è quell’“amor” da intendere come “a-mors”, ossia “senza morte” (immortale); una forza eterna e celestiale che spinge le anime coscienti nell’asse verticale, quindi verso lo Spirito.


Tutti quanti noi, se ci pensate bene, siamo venuti al mondo grazie ad un atto d’amore e, poichè siamo inequivocabilmente noi stessi “amore che ricerca amore”, non possiamo fare a meno di ricercarlo inconsciamente o consciamente nel Creatore, unica fonte dell’intera nostra esistenza.

 
Tornando al principio metafisico del femminile tanto esaltato dalle confraternite esoteriche, uno dei rituali dei Templari che creò scandalo e che fu contestato aspramente dalla Chiesa, ovvero quello del “bacio sul deretano” ai propri confratelli, era anch’esso in realtà un simbolo di quanto appena espresso; questa pratica, infatti, era puramente simbolica ed alludeva al risveglio della “bella addormentata”, Shakti-Kundalinī, per mezzo del bacio nel punto esatto dove ella “giace arrotolata” sotto forma di energia sottile all’interno dell’uomo.

Il bacio, e questo vale in quasi tutte le culture, è l’emblema per eccellenza dell’Amore.

                                           

I Rosa+Croce, di cui si dice che scomparvero nel nulla tornando in Oriente, chiamano nel loro gergo questa sublime forza celeste tanto ricercata dagli yogi così come dagli alchimisti medievali “Rugiada Cotta” (R+C). 


Simbolicamente la Rosa, oltre all’iniziazione e all’anima in evoluzione, negli ambienti rosacruciani viene associata alla Pietra Filosofale, mentre la Croce al corpo fisico e al Crogiolo; entrambi i simboli, però, quando sono uniti, indicano la Rugiada Cotta, ovvero il “fuoco astrale” addormentato e riposto alla base della colonna vertebrale che, se risvegliato, ascende tra le “spine del fiore” (Nāḍī) per edificare nell’uomo quel principio cosmico associato alla medesima energia creatrice e divina:

in sostanza Kundalinī, avvolta nell’abbraccio di Ida e Piṅgala, ascende nella Sushumna per “deificare” l’essere trasportandolo nell’“alto dei cieli”.


                                      


Secondo gli alchimisti la virtù di questa straordinaria “forza celeste” sarebbe proprio quella di sollevare, sotto l’effetto del calore veicolato con prudenza, tutti i sali terrestri per ottenere una trasformazione degli elementi.


In sostanza tutto questo sapere che circolava tra le varie confraternite iniziatiche sotto forma di “velame sentimentale” non era altro che un modo diverso per intendere la medesima realtà metafisica connessa al “Divino Amore”, la Potenza creatrice di Dio.

                                       

Secondo questo antico sapere, oltre al raggiungimento delle dimensioni superiori, l’iniziato, il quale deteneva una conoscenza esclusiva sia teorica che pratica, come un perfetto yogi, era chiamato ad ottenere l’annientamento dell’ego per raggiungere la liberazione (Mukti) nella dissoluzione (Laya) dove, secondo l’insegnamento tantrico, alla fine sarebbe realmente possibile vedere il tutto come in realtà è:

Shiva-Shakti congiunti (Prasarati) che, come “essere unico” (l’Androgino- Bafometto), si manifesta assumendo tutte le forme della vita cosmica: la dualità che ritorna nell’unità fondendosi nel Brahman.


Il principio universale di Shiva feconda in tal modo l’essenza di Shakti destandola: Īśhvara, l’Essere supremo, si congiunge ciclicamente a Īśhvari, la Manifestazione suprema.


Secondo alcuni Tantra l’iniziato ai misteri del Tantrismo è chiamato Vīrya, ovvero un eroe alla ricerca della perfezione; esso rappresenta sostanzialmente l’impavido che, distaccatosi quasi totalmente dal mondo (concetti, leggi, dottrine, etc.), vuole oltrepassare ogni tipo di ostacolo per ricercare il “Dio occulto”, la divinità interiore.



Il Vīrya compie attraverso pratiche dinamiche più accentuate un “sacrificio interiore” grazie alla respirazione, tramite l’utilizzo di alcuni Mudrā (particolari gesti simbolici fatti con le mani), con la visualizzazione interiore degli Yantra (forme geometriche in grado di risvegliare la coscienza), ed enunciando dei mantra.

La meditazione diventa in tal senso creatrice di immagini simboliche mentali (Bhāvanā) e fa sì che l’officiante si immedesimi con la divinità onorata unendosi addirittura con essa mentalmente.


Qui la divinità si congiunge con la coscienza dell’iniziato e la “impregna” edificando i principi universali di Puruṣa (maschile-coscienza) e Prakṛti (femminile-energia) uniti al suo interno.


La Tradizione ci dice che il risveglio di questa divina Potenza viene preceduto nell’intimo dell’iniziato da alcuni suoni che ricordano “sciami di api pazze d’Amore” o un “tuono”; dopo di ciò il mentale viene totalmente dissolto e si manifesta Sadhashiva, che è Śakti.




«“ Chi sono nell'istante che precede la mia volontà o il mio definirsi?
È ciò che invero sono! Essendo diventato ciò, bisognerebbe immergersi in ciò, e la mente dovrebbe identificarsi con ciò...
... Contempla il tuo corpo, come pure l'universo, come intrecci della stessa trama della Coscienza.
Non vi è alcuna separazione, solo il perpetuo risveglio della Coscienza”»
(Vijñānabhairava Tantra)



In questi rituali l’utilizzo dei mantra è di fondamentale importanza perchè essi, più che ad evocare il nome, l’immagine e il carattere della divinità invocata, dal “mondo delle idee” all’intimo dell’essere umano, reintegrano la “Potenza”, la Śakti, di questa - ogni divinità ha, a seconda della funzione che vogliamo invocare, una propria energia e dei propri mantra -.

Il potere evocatore del suono emanato dai mantra trasporta l’essenza spirituale di questi potenti agenti energetici nel piano della Buddhi, quindi dal regno spirituale si addentrano nell’intelletto dell’uomo inseminandolo (Bīja) con la Luce divina proveniente dai piani superiori.


                                         

Anche Maria di Magdala, la Maddalena, l’Apostola degli apostoli che viene esaltata da una branca del Cristianesimo gnostico come la “sposa di Cristo” in realtà, sotto l’aspetto esoterico, è simbolo, più che del semplice sposalizio terreno tra uomo e donna, del medesimo principio metafisico del “coniunctio oppositorum”, ovvero dei due aspetti sacri (Sole-Luna;Giglio-Rosa) apparentemente opposti uniti: le polarità dei principi energetici vitali complementari l’una con l’altra: positivo- negativo; maschile-femminile. 


Cristo stesso viene concepito come archetipo dello “sposo” perfetto di ogni anima mistica.


Questa congiunzione, alla base della legge di corrispondenza, è anche l’emblema della compenetrazione dei due piani di realtà, quello celeste e quello terrestre, del Macrocosmo e del Microcosmo.


“ Gesù vide alcuni neonati che poppavano. Disse ai suoi discepoli, “Questi neonati che poppano sono come quelli che entrano nel Regno.” E loro gli dissero, “Dunque entreremo nel regno come neonati?” Gesù disse loro, “Quando farete dei due uno, e quando farete l’interno come l’esterno e l'esterno come l’interno, e il sopra come il sotto, e quando farete di uomo e donna una cosa sola, così che l'uomo non sia uomo e la donna non sia donna, quando avrete occhi al posto degli occhi, mani al posto delle mani, piedi al posto dei piedi, e figure al posto delle figure allora entrerete nel Regno.” Gesù disse, “Sceglierò fra voi, uno fra mille e due fra diecimila, e quelli saranno come un uomo solo ”.
(Vangelo gnostico di Tommaso 22;23)


Qualunque nome queste “donne divine” abbiano, che sia esso Pārvatī, Radha, Iside, Maria, Beatrice, etc., e qualunque ruolo esse svolgono all’interno dei testi sacri, costoro incarnano un unico principio universale: la divina energia creatrice Śakti, la “Donna iniziatrice”, l’“Intelligenza attiva”, la “Sapienza celeste”, la “Potenza”.

                              

«“Shakti è immanente in Shiva, e Shiva è immanente in Shakti, dunque vedi che non vi è nessuna differenza tra i due, come tra la luna e la luce lunare”».
(Siddha-Siddhdnta-Paddhati)


Esaltare questo aspetto del sacro non significa affatto sventolare il femminismo o l’emancipazione della donna come baluardo di un presunto riscatto sociale del “sesso debole” o attraverso l’istaurazione del “matriarcato” che rivendicherebbe in tal modo una sua presunta rivincita verso tutti i culti patriarcali, così come non ha niente a che vedere con la riabilitazione della figura di Lilith, la prima moglie di Adamo che secondo lo Zohar avrebbe abbracciato la via del male rinnegando l’Altissimo accoppiandosi con dei demoni.


Tutte queste tematiche revisioniste sono oggigiorno riprese in Occidente da correnti della New Age per dare valore ad una presunta “modernità”, paladina della parità dei sessi e della strumentale riabilitazione del femminile, ma tale approccio, oltre ad essere totalmente fuorviante per quanto riguarda la dimensione spirituale, non ha niente a che fare con i valori tradizionali legati allo Spirito che invece venivano esaltati dai circoli iniziatici che si rifacevano agli elevati aspetti del femminino sacro che per sua stessa essenza va ben oltre le questioni che riguardano la morale.


Per molti anni in India gli antichi testi segreti dei culti dedicati alla Shakti, dalla radice Shak “avere potere”, furono occultati non soltanto agli occidentali, ma agli stessi indiani seguaci delle dottrine ortodosse.


I numerosissimi Tantra indiani costituiscono tutt’oggi le autentiche Scritture (Śāstra) esoteriche dell’Era di Kali, e come tali sono considerate la fonte imponente del presente e pratico Induismo perchè furono ideati appositamente per soddisfare le esigenze di questa era oscura, l’era della dissoluzione.

Secondo la tradizione tantrica gli unici insegnamenti adatti alla nostra era sarebbero, appunto, proprio quelli del Tantrismo che avrebbero infatti la pretesa di essere i soli adeguati ai giorni nostri.


«“ Noi invochiamo la Paradevatā unita con Shiva, la cui sostanza è nettare purissimo di beatitudine, rosso come il giovane fior vermiglio dell'ibisco e come il cielo al tramonto; Lei che, apertasi la via attraverso il turbine sonante nasce dall’urto e dal cozzo dei due venti in seno alla Sushumnā, s’innalza sino alla sfalvillante Energia che scintilla con lo splendore di dieci milioni di folgori.
Possa Kundalinī, Lei che rapida sale a Shiva e ne discende, concederci il frutto dello Yoga: quand’è ridestata, Ella è ai Kaula la Vacca dell’Abbondanza, è il Gancio Kalpa che afferra ogni cosa desiderata per coloro che l’adorano ”».
(Shāradā Tilaka, XXXV, 70)

                                       

La metafisica presente nel Tantrismo, al di là dell’aspetto teistico, presenta il concetto di Devī, “Grande Dea” o “Madre Suprema”, come principio di “Realtà persistente” in ogni essere vivente e sotto ogni forma; questa energia divina, concezione stessa di “Mondo come Potenza”, è ciò che noi indichiamo con il termine di “Divino Amore”, concetto pressappoco analogo all’Anima Mundi neoplatonica e allo Spirito Santo che tutto feconda e vivifica.


La Śakti, concezione di “Dio Madre e Sposa”, rappresenta in sostanza l’aspetto attivo del Divino che genera, nutre (come una madre che allatta) e mantiene in vita ogni elemento nel creato.

I principi universali connessi alla Śakti sono unici nel loro genere: mentre Shiva costituisce l’aspetto statico ed immutabile della Coscienza Suprema, Śakti incarna la sua parte attiva; entrambi rappresentano “l’unità indivisibile dell’aspetto di dualità”.


L’attività di Śakti, per sua essenza, data la sua potente energia, vela di continuo la coscienza e nega la sua reale natura (si cela nella Māya).


Quando l’intera manifestazione cesserà di esistere, e sarà completamente dissolta, Śakti si ritrarrà nel punto esatto da cui tutto l’Universo materiale è scaturito (Shivabindu).


In sostanza, in accordo con ciò che viene tramandato dalle varie tradizioni shivaite così come anche nello Shaktismo, la Potenza divina di Śakti verrà riassorbita dallo Shiva- Shakti-Tattva che aveva in principio generato tutta la creazione materiale.


Śakti sostanzialmente è colei che si rivelerà alla fine dei giochi come l’essenza stessa dell’Universo e causa di tutte le cause.


E’ qualcosa di più che semplice “energia sessuale” come la intendono superificialmente diversi studiosi occidentali.

Secondo gli insegnamenti dello Yoga tantrico o Kuṇḍalinī Yoga questa sacra energia sarebbe inoltre riposta, come abbiamo già ricordato, a livello sottile e arrotolata come un serpente, nel “centro terrestre” dell’essere umano: nel Mūlādhāra Chakra.


La Śakti individuale di ogni creatura è connessa alla “Grande Madre”, la Śakti cosmica (Mahā-Kundalī) che è a sua volta unita a Shiva con cui costituisce in realtà un’unica entità.

Questo modo di intendere Shakti-Kundalinī vuole esaltare, in sostanza, la “Potenza divina in riposo” intorno alla quale ogni forma di esistenza è strettamente collegata.

                                

Lo scopo dello Yoga (“unione con Dio”) è, appunto, quello di superare la dualità del mentale e del materiale, del fisico e del metafisico, per mezzo dell’unione di queste due forze all’interno di noi: Coscienza e Potenza.


Nei sistemi monistici come lo Shivaismo ed il Tantrismo, infatti, l’essenza dell’Essere Supremo viene anche associata all’anima individuale di ogni essere vivente come a voler indicare che tutto in questo mondo è in realtà collegato e alla fine dovrà ritornare al Brahman, la fonte da cui proviene:


«“ Jiva è Shiva, Shiva è Jiva, il Jiva è soltanto Shiva. Quando è in cattività (l’essere condizionato/incarnato) è chiamato Jiva, quando è libero dalla prigionia è chiamato Sadāśiva ”».
(Kulārṇava Tantra, 9:42)


Tornando al culto della “Donna divina”, anche nello Gnosticismo troviamo elementi di fondamentale importanza come ad esempio Sophia, l’eterno femminino, ponte fra "Dio-Madre" e il mondo, che ricorda, se pur in maniera non del tutto identica, gli stessi principi connessi a Śakti.

                                

I Rosa+Croce, invece, esaltano i medesimi concetti esoterici per mezzo del simbolismo della Rosa.

La Rosa che è invece presso il Cattolicesimo associata a Maria, madre di Gesù.


La Madonna, oltre all’epiteto di Notre-Dame (“Nostra Signora”) e “Rosa mystica”, dogma mariano che indica “L’immacolata concezione”, nel V secolo assunse addirittura il titolo di Theotókos: “Madre di Dio” ed ha un ruolo quasi centrale all’interno della Cristologia.

Il culto alle cosiddette “madonne nere” presente nel Cattolicesimo trae in realtà origine dagli stessi principi universali che riguardano le Devī e la metafisica connessa a Śakti.


Nell’Ebraismo l’aspetto femminile del Divino è presente invece nel concetto di Shekhinah, la “presenza” o “dimora di Dio” che si manifesta sotto forma di “nube”.


La Kabbalah ebraica identifica questo elevato aspetto sacro del femminile mettendolo in correlazione al nostro regno: Malkhut.


Nel mondo ebraico si menziona inoltre la città inviolabile Luz, di cui si dice che a neanche l’Angelo della morte sia permesso entrare in quel luogo.

Luz in realtà è il simbolo del “nocciolo d’immortalità” presente dentro l’uomo, del tutto inviolabile dalle forze esterne, e sarebbe situato sotto la colonna vertebrale, dove risiede, guarda caso, Shakti-Kundalinī.



Tutta questa simbologia non è altro che un richiamo allo “stato primordiale”, la “dimensione paradisiaca”, dove dimora da sempre l’immortale Potenza Divina. 

Da tutte queste informazioni è facilmente comprensibile capire come l’aspetto del femminile sia da sempre e in ogni luogo di fondamentale importanza presso tutte le dottrine spirituali e come esso agisca in qualche modo in maniera più diretta e spontanea nel nostro mondo se realizzato all’interno di noi nella corretta maniera.

                                      

Tornando all’aspetto nascosto di alcuni importanti libri redatti da grandi iniziati ai misteri, nella Divina Commedia di Dante, immortale testo ricco di simbologia, i tre regni dell’aldilà (Inferno, Purgatorio, Paradiso) non rappresentano luoghi bensì stati coscienziali dell’individuo associati ai tre Guna di cui abbiamo già indicato in precedenza l’operatività all’interno della Trimurti.

Il Paradiso equivale dunque al Guna più elevato, il Guna della Virtù, e così via.

Nelle varie correnti del Cristianesimo esoterico medievale, infatti, il concetto di “regno dei cieli” veniva inteso come una condizione del cuore e non necessariamente una regione ultraterrena.


Dio, in maniera del tutto simile agli insegnamenti iniziatici dello Shaktismo, dove è centrale il ruolo della Bhakti, è quell’“Amore Sacro e Universale” che Dante chiama “Glorioso Sire” (Vita Nova II,22), dormiente nell’uomo e che da sempre pervade e dà origine ad ogni cosa: Luce da Luce.

La cosmogonia presente nei Tantra monistici (Advaita) rivela che prima della manifestazione dell’Universo materiale vi era soltanto l’Essere-Coscienza- Beatitudine, ovvero Shiva-Shakti, come essere unico e/o essenza stessa del “Divino Amore” creatore e mutevole: l’Amore Supremo che riposa nella beatitudine del Sè….


… Rimanendo sempre in tema di “unione sacra”, il nobile sentiero del Bhakti Yoga, che vede l’anima unirsi a Dio, è, a nostro avviso, del tutto in sintonia con ciò che viene indicato negli ambienti iniziatici con il termine di “via della mano destra”.

La “via della mano destra”, in sanscrito Dakṣiṇācāra, si incentra nella creazione e protezione del logos (nome e forma) che corrisponde al culto rituale, alla realizzazione delle leggi divine, al mantenimento della dottrina; essa è attribuita a Brahma (creazione) e Vishnu (mantenimento).


La “via della mano sinistra”, in sanscrito Vāmācāra, invece, mira alla dissoluzione del nome e della forma ed è sotto la guida di Shiva (distruzione).


In quest’ultima via, tanto esaltata da spiritisti e occultisti, si pratica, soprattutto nel Tantrismo, il contatto fisico reale nell’atto sessuale (dove tuttavia non è permessa alcuna eiaculazione), gli eccessi “dionisiaci”, tra cui la “magia cerimoniale”, le assunzioni di bevande sacre proibite, e pratiche stregoniche ed orgiastiche volte ad entrare in contatto con “entità” che risiedono in altre sfere o dimensioni.


Nell’Era attuale le forze oscure, così come quelle interne o abissali legati ai bassi istinti presenti nell’uomo, sono libere ed è proprio per questa ragione che il Tantrismo ammette anche la “via della mano sinistra” su cui regna sovrana la Dea Kālī.

                                

Nello Yoga Tantrico sia Durgā che Kālī giocano un ruolo di fondamentale importanza in quanto considerate “Donne divine”, soprattutto quando costoro uniscono la loro Shakti (Śakti) con Shiva.


E’ proprio questo processo metafisico che l’iniziato tende continuamente a ricercare in maniera perfetta: unire l’impassibilità di Shiva (forza statica) e l’ardente Shakti (forza dinamica) nel proprio essere e su tutti i piani di realtà.


In assenza della Shakti, il principio energetico di Shiva è considerato “shava”, ossia inerme o privo di vita.


Nel culto della Śakti è nascosto il superamento della netta divisione tra trascendenza divina e immanenza terrena per opera della “Potenza femminile di Dio”.


Nel Kali Yuga queste Devī, considerate a tutti gli effetti “dee nere”, possono apparire terribili e terrificanti quando vengono venerate da sole, ma allo stesso tempo sono considerate sovrane e custodi di principi universali salvifici quando riproducono Śakti multiple all’interno della “coppia divina”.


Sostanzialmente la potente natura di Śakti sul piano metafisico altro non è che il “Brahman attivo”, quel “principio divino” che, se veicolato correttamente all’interno dell’essere, può rettificare l’uomo e lo scioglie da ogni vincolo esistenziale e da ogni tipo di condizionamento.


Kālī, oltre a rappresentare l’aspetto trascendente e distruttivo di Shiva, viene raffigurata nuda, con la chioma sciolta, mentre indossa una collana con cinquanta teste recise, contornata da fiamme eterne, con in mano una sciabola e danzante sopra il corpo immobile del “dio della folgore”.

                                         
Il suo simbolismo è molto potente in quanto capace sia di risvegliare la “scintilla di Luce” assopita all’interno dell’uomo che di sottometterlo mentalmente al suo volere. 



Per ottenere dei benefici con questo tipo di Yoga tantrico attraverso il Maithuna (“coito mistico” o “coito magico”), il Sadhaka (l’iniziato o “sacerdote tantrico”) deve riuscire ad “impregnare” sé stesso mediante la pratica spirituale non eiaculando il seme (Bindu), ma vivendo con intensità la sua intima unione mentale con la divinità e canalizzando gli impulsi psichici destando in tal modo le energie sottili mosse al suo interno.


L’atto del coito interiore è diretto ad accendere il “fuoco mistico” analogo al “Mercurio” degli alchimisti.

Questa operazione porterebbe all’attivazione della “divina energia sottile” situata dentro di noi (Shakti-Kundalinī), la sola capace di farci raggiungere l’ascesi mistica e, mediante la ghiandola pineale, aprire “l’occhio di Shiva”, il “terzo occhio”, catapultare il sé nelle dimensioni astrali, e, infine, generare il “Corpo di Luce”.


Questo segreto legato a Śakti si riallaccia al “Principio Igneo” presente nel Cristianesimo esoterico nella formula “Igne Natura Renovatur Integra”, ovvero “La natura rinnovata interamente nel fuoco”, uno dei tanti significati esoterici dell’I.N.R.I. (Titulus Crucis) che indicherebbe l’aspetto divino e trasformativo all’interno dell’“uomo risorto” nel “Corpo di Gloria”.

                                           

La natura tanto terrificante e distruttiva di Kālī simboleggia in realtà il superamento da ogni tipo di ostacolo e da ogni vincolo che debbono essere decapitati dallo yogi per oltrepassare la soglia del mondo sensibile.


Secondo la mitologia indù Kālī è una Rūpa (forma) di Durgā, la dea guerriera che cavalca la tigre; ci sono varie storie su Kālī maa, una di queste è che fu creata dalla collera di Durgā appositamente per lottare contro dei demoni, mentre un’altra versione sostiene che nacque dalla trasfigurazione “irata” di Pārvatī, la consorte di Shiva.


Kālī è vincitrice del tempo e nel suo culto, ancora vivo in certe zone dell’India come ad esempio a Calcutta, sono ammessi i sacrifici di animali e non solo.


Famigerata in India fu la setta dei Thug, fedele alla “dea nera”, che vide nel XIX secolo arrestare la loro attività dedita addirittura ai sacrifici umani per mano dell’esercito britannico.

Intorno al 1830 ci fu una vera e propria persecuzione verso i seguaci di questa spaventosa setta di fanatici e strangolatori che si estinse successivamente nel giro di pochi anni.


Secondo gli insegnamenti della “via della mano sinistra” Kālī sarebbe la “Śakti perfetta” di Shiva in tutto e per tutto in quanto libera da ogni forma e da ogni regola ed è per questo considerata la “Signora suprema” di questa epoca oscura (tuttavia il nome dell’attuale Era in cui viviamo non è associato alla dea Kālī, il “tempo”, bensì ad un antico demone della tradizione indù).


La “coppia divina” formata da Kālī e Shiva viene ritenuta distruttrice dell’illusione e di tutto ciò che è irreale. Secondo la tradizione tantrica Durgā e Kālī incarnano la terribile manifestazione energetica, indomabile e scatenata, del dio Shiva.


A nostro avviso Kālī simboleggia inoltre, per certi versi, l’essenza della Gnosi, la conoscenza superiore che, se conquistata, è in grado di “decapitare” la Pistis, la comune credenza, a favore di una via spirituale solitaria e più intensa.


La Potenza di Kālī, di cui si dice che può essere sia veleno che medicina, tanto è potente, è capace di elevare e di sotterrare l’essere fino a distruggerlo ed è proprio questa peculiarità che la rende tanto temuta.


La Śakti di Kālī maa è definita dai suoi seguaci un’energia così potente che a confronto non esiste niente di superiore. Sarebbe grazie a questa arcana Potenza che, sotto forma di raggio psichico, gli esseri realizzati in passato mutavano la loro energia soggettiva in “energia oggettivizzata” trasformando di fatto il loro corpo sottile in Vimana (Merkavah).


Nella tradizione Indù esiste un concetto simile, quello del Jīvan-mukta, ovvero l’essere trascendente: “il liberato già in vita”.


I nazisti, per lo meno una parte della cerchia gerarchica dedita all’occultismo, da autentici “maghi neri” quali erano, cercarono in tutti i modi di recuperare questa antica scienza spirituale volta all’integrazione e disintegrazione della materia per ottenere la facoltà di ubiquità mediante il Corpo di Luce (“Sonnenmensch” – L’uomo solare).

                                          




Oltre alla totale dedizione al paranormale, il Nazionalsocialismo progettava di riformare l’intera umanità per mezzo di un recupero di antiche credenze pagane ed orientali.

Un delirio collettivo che spaziava dal culto degli eroi alle complesse pratiche meditative rivisitate con lo studio delle Rune e attraverso l’esaltazione del simbolo polare e solare dello Swastika.


I nazisti erano letteralmente ossessionati dalla tradizione indù e soprattutto dalle pratiche tantriche perché credevano che gli antichi conquistatori dell’India erano gli Iperborei, una civilizzazione nordica giunta dal Polo Nord, dall’antica Thule, la mitica terra degli “uomini-dio”.

Costoro sarebbero i famigerati capostipiti della cosiddetta “razza padrona” o “razza superiore” (Herrenvolk) tanto cara ai nazisti, che dovette abbandonare la sede artica per via di alcuni tragici eventi che la resero inabitabile.


Ad occuparsi dello sviluppo di queste discipline ariane, nell’intento di fornire al regime di Adolf Hitler (1889-1945) un forte ed esclusivo carattere tradizionale ed iniziatico, era principalmente la 
Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe, ovvero la “Società di ricerca dell’eredità ancestrale” fondata da Heinrich Himmler, meglio conosciuta semplicemente come Ahnenerbe: 


“ Gli unici che resteranno per sempre, gli immortali nel mondo fisico, e che sono destinati ciclicamente a riapparire, saranno coloro che durante la loro esistenza hanno amato, rispettato e onorato la “Madre Terribile”, quelli che hanno con “Lei” scambiato affetto e trasformato in altro la pietà della Sua natura divina sotto le apparenze umane.
Lo scambio avviene nello sguardo che, pieno di desiderio, dà reciproca forza e illuminazione. Così nella luce ci si unisce, immortali ”.
(Traduzione di un testo indù apparso nel 1938 in un manuale ad uso interno della SS Ahnenerbe) 



                               


Per apprendere e sviluppare nel migliore dei modi le pratiche tantriche, soprattutto quest’ultime, è di fondamenta importanza che si venga a creare un’intensa e profonda relazione tra un maestro autentico ed il suo discepolo e, solo dopo aver acquisito tanta esperienza per mezzo della pratica, il Sadhaka può sperare di entrare in contatto con la divinità contemplata e di relazionarsi ed interagire mentalmente con essa.


Questi potenti insegnamenti sono principalmente custoditi e preservati, ancora oggi, da ordini di monaci tantrici indù e buddisti presenti nel Kashmir e nel Deserto di Gobi.


Secondo la Tradizione la coppia divina formata da Shiva e Pārvatī siede in perenne meditazione attorno a quei luoghi, ovvero sulla vetta del sacro monte Kailash.


Qui diverse correnti esaltano l’elemento femminile, “shaktico”, perché considerato l’elemento principale su cui lavorare interiormente.


Con lo sviluppo di queste pratiche il Tantrismo ha dato origine ad un nuovo tipo di yoga capace di canalizzare le pulsioni vitali dell’essere umano a fini trascendentali per mezzo della ritrazione del seme.


Nello Shivaismo il Liṅgaṃ (fallo di Shiva e simbolo del principio maschile) e la Yoni (l’organo femminile) sono considerati mezzi principali per la trascendenza ed è per questa ragione che nei Tantra, soprattutto quelli dedicati a Durgā e a Kālī, c’è sempre un richiamo all’unità tra le due polarità per mezzo dell’atto sessuale.


                                          

La pratica tantrica implica tutto l’essere, corpo e spirito, mente ed anima, a divenire “tempio” per far dimorare al suo interno la divinità contemplata.

In sostanza la divinità è chiamata ritualmente a fine di abitare nel “corpo trasformato” dell’officiante.


Nel Vāmācāra è inoltre presente il Pancamakâra, ovvero l’offerta alla divinità delle “cinque M” (cibi i cui nomi sanscriti iniziano con la lettera M): carne, pesce, alcool, cereali, oltre all’atto dell’unione sessuale.

In India molti di questi rituali iniziatici vengono addirittura celebrati e consumati su un teschio di un cranio umano.


« “Pancatattva è, nel Tantrismo induista e shivaita, il nome del cosiddetto «rituale segreto» riservato ai Vîra (gli eroi o iniziati tantrici).
Ad esso viene data una tale importanza che in alcuni testi si afferma che senza il suo impiego nell’una o nell’altra forma il «culto» della Shakti è impossibile. Per il fatto che il Pancatattva comprende l’uso di bevande inebrianti e di donne, ad esso è stato attribuito un carattere orgiastico e dissoluto il quale presso alcuni Occidentali è valso a mettere in cattiva luce tutto il Tantrismo.
L’impiego del sesso a fini iniziatico-estatici e magici, peraltro, non è proprio al solo Tantrismo induista. Esso è attestato anche nel Tantrismo buddhista e in varietà tantriche del vishnuismo, nella cosiddetta scuola Sahajiyâ, fra i Nâta Siddha, ecc. Consideriamo a parte l’uso della sessualità a livello yoghico.
Letteralmente Pancatattva vuol dire «i cinque elementi».
Ci si riferisce a cinque sostanze da usare le quali sono state messe in relazione coi cinque «grandi elementi» in questa guisa: alla partecipazione della donna (maithuna) si fa riferimento all’etere; al vino o analoga bevanda inebriante (madya) l’aria; alla carne (mamsa) il fuoco; al pesce (matsya) l’acqua; infine a certe sostanze cereali (mudrâ) la terra. 264 Poiché i nomi di tutte e cinque le sostanze cominciano con la lettera M, il rituale segreto tantrico è stato anche chiamato «delle cinque M» (Pancamakâra) ” ».
(tratto dal paragrafo “Il rituale segreto. L’orgiasmo. Magia sessuale iniziatica” da Lo Yoga della Potenza di Julius Evola)


L’unione sessuale non è qui intesa come mero accoppiamento, come soddisfazione dell’istinto sessuale, ma come l’espressione dell’unione dei due princìpi divini: Shiva e Śakti e/o Puruṣa (Purusha) e Prakṛti.


Le “Teogamìe” (nozze sacre tra divinità), come ad esempio quelle tra Shiva e Pārvatī piuttoste che tra Shiva e Kālī, sono significative sotto l’aspetto esoterico perchè, oltre ad elevare l’intelletto, se carpite e adattate alla nostra dimensione interiore, innalzerebbero il livello di coscienza dell’uomo indirizzandolo in uno stadio avanzato dell’essere.


 L’iniziato ai misteri, invitato al banchetto nuziale riservato a pochi “eletti”, beneficerebbe in tal modo degli elementi celesti o trascendentali “ristorandosi” energeticamente con essi per mezzo della meditazione.

Attraverso questa esperienza contemplativa, del tutto intima e solitaria, l’anima individuale dell’iniziato comincerebbe a realizzare verità che prima non riusciva a concepire in modo globale ed è proprio per questa ragione che tale esperienza viene ritenuta a tutti gli effetti sacra.


Oggigiorno in Occidente la “magia rossa” o “magia sessuale”, in maniera diversa da quanto appena esposto, viene praticata negli eleganti e raffinati salotti aristocratici dai potenti della Terra (banchieri, politici, giudici, medici, etc.), come evidenziato nell’ultimo capolavoro del grande regista statunitense Stanley Kubrick (1928-1999): “Eye wide shut”.

                                

Scimmiottando gli antichi e nobili insegnamenti del Tantrismo queste persone ricercano il potere per mezzo di questi strani rituali attraverso pratiche contro-iniziatiche con l’utilizzo della “magia sessuale”.

Il Tantrismo è ben altra cosa.


Continua…

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MICHELE P.