Misticismo - Esoterismo
La Rosa come Simbolo dell'Anima in evoluzione.
La Mistica dell'Anima - Il Nettare della Rosa
lunedì 23 gennaio 2012
MEISTER ECKHART
Eckhart von Hochheim O.P., meglio conosciuto come Meister Eckhart (in italiano: Maestro Eckhart Tambach-Dietharz o Hochheim, 1260 – Colonia o Avignone, 1327/1328), è stato un teologo e religioso tedesco.
È stato uno dei più importanti teologi, filosofi e mistici renani del Medioevo, e ha segnato profondamente la storia del pensiero tedesco.
La dottrina teologica di Eckhart si rifà alla speculazione apofatica.
IL CONCETTO DI DIO
Dio sopra-è ed è nulla poiché essendo totale è indefinibile. Proprio per questo Eckhart nella nota predica "Beati pauperes in Spiritu" invoglia i fedeli a "pregare "Dio" affinché li liberi da "dio"" (il primo maiuscolo, il secondo minuscolo), dove il primo è il "Dio Eckhartiano" (per così dire), totale ed indefinibile, puro ed assoluto, ed il secondo un mero essere superiore, un "sovra-essere", un essere dalle funzioni totemiche, potremmo dire, sopravvissuto nell'immaginario collettivo, ispirato dalla religiosità naturale.
In definitiva, mentre il secondo è l'idea a cui l'uomo ricorre per "chiedere", per cercare la consolazione quotidiana, quasi una "superstizione", il primo è, appunto, "Colui che è", tanto indefinibile e totale che in Lui, con Lui e per Lui non vi è altro che Esso.
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Eckhart ‹èkhart› (o Eckart, latinizz. Aychardus; ital. Eccardo) di Hochheim - Filosofo e mistico (Hochheim, presso Gotha, 1260 circa - Colonia 1328 circa), detto anche Meister Eckhart.
Di nobile famiglia, entrato nell'ordine domenicano, fu priore e vicario in Turingia (1290-98), maestro a Parigi, provinciale di Sassonia (1303) e di Boemia (1307), poi ancora a Parigi (1311-13), quindi a Strasburgo e a Colonia.
Nel 1326 l'arcivescovado di Colonia aprì un processo contro Eckhart dalle cui opere furono estratte 49 proposizioni; Eckhart si difese (1326) e ricorse al papa (1327); ma ad Avignone Giovanni XXII condannò con la bolla In agro Domini 28 proposizioni a lui attribuite (1329).
Vastissima l'opera di Eckhart : in tedesco abbiamo di lui trattati e prediche; in latino molte Quaestiones, parte dell'Opus tripartitum, il Tractatus super oratione dominica, molti commenti scritturali.
Svolgendo motivi caratteristici della tradizione neoplatonica (soprattutto sotto l'influenza dello Pseudo Dionigi, ma anche di Giovanni Scoto Eriugena, dei maestri di Chartres, del Liber de causis e infine di Proclo conosciuto nelle versioni di Guglielmo di Moerbecke), Eckhart sente il concetto di essere come troppo angusto e limitato per potersi applicare a Dio, superiore, nella sua infinità, alle distinzioni categoriali (onde piuttosto Dio sarà "non essere"): più alto dell'esse, e più proprio di Dio, sarà invece l'intelligere.
Se poi si volesse predicare l'essere di Dio, allora egli risolve in sé la pienezza dell'essere sicché non potrà più predicarsi della creatura, nulla esistendo fuori dell'essere: la molteplicità altro non sarà se non l'esprimersi di Dio.
Tornano le immagini tipicamente neoplatoniche: esser Dio una sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun posto, esser Dio fonte di luce da cui "emana" la molteplicità, ecc.
In particolare, la riduzione della totalità dell'essere a Dio e l'affermazione della presenza di Dio negli esseri come radice e attualità della loro esistenza hanno sollevato molte polemiche già tra i contemporanei che trovavano il linguaggio di Eckhart notevolmente estraneo al linguaggio scolastico e non intendevano la prospettiva neoplatonica che ne regge il pensiero.
La metafisica di Eckhart ha il suo corrispondente nella psicologia e nella mistica: l'anima scopre Dio nella radicale negazione di ogni essere e di sé medesima, al di là di ogni discorso, in un contatto immediato che si realizza nell'apex mentis, nella "scintilla dell'anima": progressiva deificazione, resa possibile dall'opera mediatrice del Cristo.
Larga influenza ebbe il pensiero di Eckhart: e se è possibile che abbia agito anche nella formazione di correnti ereticali, come i Fratelli e Sorelle del Libero Spirito, la sua azione più diretta fu sulla mistica speculativa di J. Tauler, H. Seuse, J. v. Ruysbroeck, ecc.
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MISTICO E FILOSOFO
Eckhart (o Eckart, latinizz. Aychardus; ital. Eccardo) di Hochheim Filosofo e mistico (Hochheim, presso Gotha, 1260 ca. - Colonia 1328 ca.), detto anche Meister «maestro» Eckhart.
Di nobile famiglia, entrato nell’ordine domenicano, fu priore e vicario in Turingia (1290-98), maestro a Parigi, provinciale di Sassonia (1303) e di Boemia (1307), poi ancora a Parigi (1311-13), quindi a Strasburgo e a Colonia.
Nel 1326 l’arcivescovado di Colonia aprì un processo contro E. dalle cui opere furono estratte 49 proposizioni.
Eckhart si difese (1326) e ricorse al papa (1327), ma ad Avignone Giovanni XXII condannò con la bolla In agro Domini 28 proposizioni a lui attribuite (1329, un anno dopo la morte del filosofo).
L’opera di Eckhart è molto vasta: in tedesco abbiamo trattati e prediche; in latino molte Quaestiones, parte dell’Opus tripartitum, il Tractatus super oratione dominica, numerosi commenti scritturali.
Svolgendo motivi caratteristici della tradizione neoplatonica (soprattutto sotto l’influenza dello pseudo-Dionigi, ma anche di Giovanni Scoto, dei maestri di Chartres, del Liber de causis e di Proclo, conosciuto nelle versioni di Guglielmo di Moerbecke), Eckhart sente il concetto di essere come troppo angusto e limitato per potersi applicare a Dio, superiore, nella sua infinità, alle distinzioni categoriali (onde piuttosto Dio sarà «non essere»): più alto dell’esse, e più proprio di Dio, sarà invece l’intelligere, ossia l’intendere, l’intelletto. Se poi si volesse predicare l’essere di Dio, allora egli risolve in sé la pienezza dell’essere (plenitudo essendi) sicché non potrà più predicarsi della creatura, nulla esistendo fuori dell’essere: la molteplicità altro non sarà se non l’esprimersi di Dio.
Eckhart legge il prologo del Vangelo di Giovanni, «in principio era il Verbo», differenziando il Verbo, in quanto intelletto e intendere, dall’essere: «Dio che è creatore non creabile, è dunque intelletto e intendere, non è essere o ente» (Sermones, ed. E. Benz, B. Decker, J. Koch, 1987).
A differenza dell’essere che è determinato (ens est aliquod determinatum) mediante generi e specie, l’intelletto è indeterminato e perciò non è ente (est aliquod indeterminatum et ideo non est ens).
Tale intendere è fondamento dell’essere divino, e non viceversa.
Analogamente, Eckhart commenta il primo versetto del Genesi, «In principo Dio creò cielo e terra», come creazione di Dio in sé stesso, essendo Dio il principio dell’essere («la creazione conferisce l’essere»; «creò tutte le cose nell’essere, che è il principio e Dio stesso»).
Fra l’ente determinato, che appartiene al molteplice, e l’ente infinito sussiste una differenza fondamentale e insormontabile, come anche avviene per il vero, per il bene o per l’uno.
Gettato fuori dall’essere di Dio (Dio-Uno), l’essere della creatura è nulla: «fuori di Dio, cioè fuori dell’essere, è il nulla».
La divinità non è attingibile mediante concetti, ma utilizzando le modalità proprie della teologia negativa. Tornano, in tale prospettiva immagini tipicamente neoplatoniche: Dio come sfera infinita il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo; Dio come fonte di luce da cui «emana» la molteplicità, ecc.
In partic., la riduzione della totalità dell’essere a Dio e l’affermazione della presenza di Dio negli esseri come radice e attualità della loro esistenza hanno sollevato molte polemiche già tra i contemporanei che trovavano il linguaggio di Eckhart notevolmente estraneo al linguaggio scolastico e non intendevano la prospettiva neoplatonica che ne regge il pensiero.
La metafisica di Eckhart ha il suo corrispondente nella psicologia e nella mistica: l’anima scopre Dio nella radicale negazione di ogni essere e di sé medesima, al di là di ogni discorso, in un contatto immediato che si realizza nell’apex mentis, nella «scintilla dell’anima»: progressivo rendersi dio (deiformatio), reso possibile dall’opera mediatrice del Cristo, ove la teologia della grazia si congiunge con la teologia dell’incarnazione.
Mediante un’attività speculativa superiore alla ragione discorsiva, e dunque distaccata dalla molteplicità, l’anima si fa una e diventa capace di intelligere, abbandonando il proprio essere e «stabilendosi nell’essere e nell’unità propria di Dio».
Al culmine di tale processo si realizza un’unione in cui l’uomo si annichila in Dio aprendosi completamente alla presenza di Dio in lui e unendovisi con un atto d’amore in cui l’amante diviene l’amato.
Nonostante tale unione però la trascendenza divina continua a sussistere: «L’anima che Dio attira a sé è trasformata in Dio, diviene divina, benché Dio non divenga l’anima».
Fonte Enciclopedia Treccani
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MICHELE P.