mercoledì 29 gennaio 2014

L’ORDINE DEL TEMPIO, IL NUMERO AUREO E LA FILOSOFIA RINASCIMENTALE SULL’ANIMA MUNDI E SULL’ARMONIA DELLE SFERE CELESTI di Michele Perrotta



Esponiamo nelle righe che seguono l’intero paragrafo tratto dal settimo capitolo del libro La Bibbia Rivelata Vol.2 - Il Corpo di Luce e il Segreto del Fiore della Vita di Michele Perrotta 




L’ORDINE DEL TEMPIO, IL NUMERO AUREO E LA FILOSOFIA RINASCIMENTALE SULL’ANIMA MUNDI E SULL’ARMONIA DELLE SFERE CELESTI 


Ugo di Payns (1070-1136), fondatore ufficiale dell’Ordine dei Templari e primo Gran Maestro, nacque a Payns intorno al 1070.

Si ritiene che abbia partecipato alla prima crociata e che conoscesse personalmente Goffredo di Buglione (1060-1100), erede diretto dei Merovingi, una potente casata strettamente legata alla Radix Davidis.











I Merovingi sono ritornati recentemente di moda grazie a delle sciocche leggende, divenute poi Best sellers, inerenti al Santo Graal secondo cui questi in realtà non sarebbe altro che la progenie nata dall’unione fisica di Cristo e della Maddalena, sua sposa.


Diversi libri e altrettanto materiale cinematografico è stato prodotto su questo argomento totalmente frainteso.

Ma lasciamo questa sorta di “gossip esoterico” al profano e andiamo a vedere invece quali interessanti aspetti storici vi sono in questa vicenda.

Intorno all’anno 1118 nove cavalieri timorosi di Dio condotti da Ugo di Payns si presentarono a Gerusalemme dal Re appena salito al trono Baldovino II (1060-1131) manifestando la voglia di difendere i pellegrini che volessero recarsi in Terra Santa, nei luoghi dove un tempo camminava il Cristo.


Il sovrano accettò di buon occhio l’arrivo di costoro e donò loro una parte del suo palazzo.

Le stanze in questione sorgevano nel luogo dove era posto il Tempio di Salomone, da qui il nome di “Cavalieri del Tempio”: “Templari”. 


Nel 1125 entrò a far parte della confraternita Ugo conte di Champagne il quale impose a tutti i membri della confraternita lo studio di testi ebraici.

Ugo di Champagne rinnegò la moglie e il figlio per unirsi in Terra Santa all’Ordine dei Templari per perseguire una causa nobile non di poco conto: la ricerca del Santo Graal.



Il Graal che ricercavano i Templari non è la coppa materiale in cui fu raccolto il sangue di Cristo, ma un sapere strettamente legato anche all’Arca dell’alleanza di cui si dice essere stata rinvenuta dagli stessi Templari.

Oltre a questi due grandi cavalieri del Tempio, di particolare rilievo è Bernardo di Clairvaux o Chiaravalle (1090-1153) il quale istituì la regola ufficiale dell’ordine, nonostante negli ambienti iniziatici si sostiene che i Templari in realtà seguissero la regola di Sant’Agostino d’Ippona (354-430 DC.), uomo illuminato di cui poco sappiamo riguardo al senso esoterico dei suoi scritti.

Agostino, prima di convertirsi al Cristianesimo per poi divenire Vescovo d’Ippona, fu iniziato ai misteri del Manicheismo ed è molto probabile che egli conoscesse benissimo gli aspetti mistici di alcune pratiche orientate volte all’accrescimento del sè.


Tra il 1118 e il 1128 i Cavalieri Templari non parteciparono a nessuna battaglia nonostante furono ufficialmente istituiti per questo.


Anche per questo motivo pensiamo che in realtà la loro vera missione non fu appunto quella di proteggere i pellegrini diretti in Terra Santa ma quella di ricercare la vera sapienza: la Sophia, mistero dei misteri.


I veri Templari in sostanza erano uomini pii alla ricerca della vera Tradizione di cui l’Arca dell’alleanza, come lo stesso Graal, ne conserverebbe il segreto.


La ricerca di Sophia avrebbe condotto i Templari a riscoprire antichi rituali e gli arcani segreti legati a due antichissime civiltà perdute: gli Iperboreei e gli Atlantidei.


In diversi ambienti iniziatici si sostiene che i superstiti di questi due antichi popoli si rifugiarono sotto terra dopo lo scioglimento dei ghiacci o dopo un terribile cataclisma. Sarebbe proprio dall’antica Tradizione di questi che sarebbe legato, tra le tante cose, il segreto della Creazione o del Fiore della Vita.




Nel libro dell’autorevolissimo Louis Charpentier (1905-1979) “Il Mistero dei Templari” viene infatti rivelato che il segreto dei segreti che ricercavano i Templari, custodito all’interno dell’Arca dell’alleanza insieme alle Tavole della Legge, altro non era che il “numero d’oro” o “aureo” di cui la creazione stessa sarebbe il frutto divino.


Lo stesso Tempio di Salomone sarebbe stato costruito attraverso la legge del numero aureo ed è, infatti, considerato Microcosmo e/o espressione terrena del Macrocosmo.

Il Tempio di Salomone è a tutti gli effetti una struttura che indica per numeri ed immagini l’ordine divino o il codice dell’universo stesso.


Sulla creazione i Pitagorici sostenevano testuali parole: “Tutto è numero”.


Anche la scienza rimarca oggi giorno che tutto in realtà sarebbe misura, numero e peso, come peraltro ci ricorda anche la Sacra Scrittura:

«“…Ma Tu hai tutto disposto con misura, calcolo e peso”».
(Sapienza 11:20)


È molto probabile che questi testi, di cui i Faraoni erano in possesso, furono davvero portati via dall’Egitto da Mosè, o chi per lui, durante l’Esodo biblico.







Questo numero d’oro (Phi = 1,618033...) è in sostanza ciò che permetterebbe il passaggio geometrico dalla retta alla curva; dalle leggi celesti alle leggi terrestri e viceversa.

Nella Bibbia il Signore Dio nel libro della Genesi dichiara testuali parole: “Io ho fatto il mondo con misura, numero e peso”.


Da queste parole si intuisce come gli iniziati che hanno redatto i testi sacri indicassero il Creatore come Grande Architetto.

Non a caso la Massoneria indica da sempre Dio in questo modo: A.G.D.G.A.D.U. acronimo di:

“Alla Gloria Del Grande Architetto Dell’Universo”.


Citiamo tutto ciò non perché noi siamo massoni (infatti non lo siamo) ma per esaltare l’aspetto geometrico e matematico dell’essenza stessa dell’intera Creazione di cui Pitagora, e ancor prima di lui gli antichi Egizi, avevano intuito e ben compreso.



Tutta la creazione divina sottostà alla legge di questo numero aureo e delle sue divine proporzioni.






È secondo la medesima legge che si forma, oltre al tempio fisico, il tempio interiore: la Merkabah.













Probabilmente le stesse piramidi egizie, per altro disposte esattamente secondo le tre stelle che formano la “Cintura di Orione”, secondo la loro posizione all’epoca, furono costruite secondo il medesimo rapporto aureo, la cui espressione si può riscontrare anche nella natura stessa come testimoniano ad esempio la spirale del Nautilus, la disposizione dei semi di girasole, della pianta chiamata Taràssaco comune o il formarsi degli uragani e dei fiocchi di neve, così come di tutto ciò che c’è in natura.


Questa “Geometria solidificata” presente in natura è riscontrabile soprattutto nei Rosoni delle Chiese e delle Cattedrali costruite secondo la medesima legge dagli iniziati o costruttori denominati “Maestri scalpellini”, depositari di questa antica scienza che fu preservata dalle confraternite sin dall’antichità.


La Costellazione di Orione, presso gli egizi, veniva accostata al culto del dio Osiride, e secondo il mito, e presso gli iniziati, questa sede sarebbe la mèta ultima delle anime pure che, una volta trapassate, ritornerebbero nella casa del dio dell’iniziazione ai misteri per eccellenza, colui che trasmette la Luce, il sapere delle verità iniziatiche, a coloro che sono degni.


La stella Sirio, invece, chiamata anche “Stella del cane”, veniva associata dagli egizi alla dea Iside, colei che, secondo il mito, ha generato la Luce salvifica avversa alla Tenebre del Caos del dio Seth: Horus.


Il mistero di Osiride, essenziale negli ambienti iniziatici, fu ripreso da Pitagora e fu introdotto da lui in Grecia e adattato, se pur in modo non del tutto identico, al mito di Dioniso.



Come abbiamo già indicato nel primo volume, le tre stelle che formano la Cintura di Orione sono associate ai Re Magi della tradizione cristiana, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre; un accostamento non di poco conto se consideriamo che costoro, nell’epico racconto della natività di Cristo, simboleggiano i sapienti che si inginocchiano e consacrano il Messia di Betlemme, il Liberatore: simbolo strettamente legato all’Altissimo e al Corpo di Gloria.


I Magi cercavano il Saošyant (“Salvatore”) in Giudea proprio perché in quel luogo sarebbe comparsa nella Costellazione dei Pesci una triplice congiunzione planetaria tra Giove-Saturno, simbolo della stella che spunta da Giacobbe (Nm 24:7), la quale, in quanto già avvenuta nei Pesci ai tempi del secondo Messia d’Israele, era ritenuta la “Stella di David”: l’astro che confermava la nascita del Liberatore e che ci indica inoltre come il mondo superiore sia totalmente connesso al mondo inferiore (il Divino nell’uomo e viceversa).



Questo simbolo, esaltato da tutto il mondo ebraico, anche se viene raffigurato in modo bidimensionale, ricorda la forma del Cubo di Metatron che per sua stessa natura è invece tridimensionale.


Oggi giorno la scienza conferma che intorno al 7 a.C., data della presunta nascita di Gesù secondo i biblisti odierni, ci fu davvero una triplice congiunzione planetaria tra Giove e Saturno nella Costellazione dei Pesci.


Ancora una volta, quindi, vengono in qualche modo vivificate le verità archetipiche nel nostro mondo dando adito alle credenze.

Anche per questi motivi la storia di Gesù, che viene ritenuta una potente via simbolica dai mistici cristiani, viene inoltre creduta veritiera sotto l’aspetto storico dai cristiani letteralisti.


Attraverso lo studio profondo della proporzione aurea, tanto cara agli iniziati, soprattutto ai Pitagorici, si può trattare di filosofia, di matematica, di teologia e di altre scienze.




Come possiamo notare dalle diverse informazioni a riguardo la caratteristica aurea dell’ordine presente nella creazione costituisce il carattere divino di tutto ciò che esiste, ed è questo il segreto legato al “Fiore della vita” di cui il massimo artefice è il Creatore stesso: Dio onnipotente.


Analogamente l’essere umano, che, ricordiamo ancora una volta, non è un essere finito, attraverso un processo alchemico, inteso come cammino di crescita interiore a carattere spirituale e di profonda trasformazione psichica, trasformerebbe nella maniera del tutto simile il “piombo”, nonché il falso Ego e i connotati materiali presenti in esso, in “oro”, stato di totale purezza connesso allo Spirito Santo o Anima Mundi.


Non a caso il termine “aureo” fa riferimento a qualcosa di prezioso ed elevato strettamente associato alla regalità, alla purezza e alla bellezza, tutti attributi propri del divino che vengono rappresentati nel mondo fisico dall’elemento ultimo della ricerca degli alchimisti: l’oro.


Questa è l’antica sapienza relegata ad Orione e al “Fiore della vita” che dal Faraone Akhenaton, e soprattutto al culto a cui fu iniziato Mosè, passò in mano alla Radix Davidis.


Mistero dei misteri che fu studiato anche dai Pitagorici, dai Cabbalisti e dai Neoplatonici.


«“ Che Tu sia benedetto per sempre sul trono di gloria. Tu che dimori nelle stanze delle Altezze e nel luogo della sublimità. Poiché Tu hai rivelato i misteri e i misteri dei misteri e i segreti e i segreti dei segreti a Mosè e Mosè li ha rivelati a Israele”».
(Maaseh Merkavah, vv. 11-15)



Questa scienza segreta, legata in maniera inequivocabile alla Merkavah, fu riscoperta dai Cavalieri Templari, le cui tracce sono presenti soprattutto in Oriente e di cui i Rosa+Croce ne divennero gli eredi e i veri custodi.


Anche l’Ankh, la Croce ansata , o “Chiave della vita”, aveva una notevole importanza simbolica nell’Antico Egitto; questo potente simbolo, che ricordava il dono della vita e dell’immortalità, essendo indicato anche come “chiave di Iside”, la “chiave” per aprire lo scrigno del mistero, è strettamente assosciato all’immortalità dei defunti ed è la rappresentazione simbolica dell’energia vitale capace di concedere al “morto”, l’iniziato, la Vita eterna facendolo “rinascere”.


Sostanzialmente è anch’esso un simbolo che indica il mistero dell’energia divina latente nell’uomo, la stessa che edificherebbe il Corpo di Luce nell’iniziato che vuole ottenere il segreto per raggiungere l’immortalità.


Gran parte della Bibbia è di per sè una “statuificazione” di queste verità simboliche, narrate peraltro in diversi miti, le stesse che sono alla base dell’evoluzione dell’uomo e, soprattutto, della sua trasformazione.









Tutti i simboli e i numeri presenti all’interno della Sacra Scrittura sarebbero infatti legati alla “mente” del Creatore e, soprattutto, all’alchimia trasformativa della creazione stessa che da spirito muta in materia e di cui il numero aureo ne sarebbe il frammento principale con cui “misurare” l’immagine della Luce.


Luce che, come il Tutto, prende consistenza attraverso la vibrazione nell’universo materiale che sottostà alle medesime regole o leggi universali dei numeri.


Oltre alla Stella di David il segreto della “Divina Proporzione” era incentrato soprattutto sul mistero della figura geometrica denominata Stella a cinque punte o Pentagramma di Venere (chiamato così per le orbite del pianeta Venere intorno alla Terra che traccerebbero il medesimo Pentacolo), simbolo erroneamente associato al Satanismo.



La Stella a cinque punte veniva utilizzata in passato dal grande Pitagora per dimostrare il segmento aureo legato al segreto del “numero d’oro”.



Il Pitagorismo si basa proprio sulla comprensione del mistero della scienza dei numeri di cui la creazione ne sarebbe il frutto stesso.

I numeri venivano considerati dai Pitagorici idee archetipiche e forme o manifestazioni di svariati modelli geometrici.


Il Mondo stesso era per i Pitagorici stato tratto dal Caos, dall’Armonia del Suono e creato secondo i princìpi dei rapporti musicali.

Per i Pitagorici il numero 10 era la perfezione incarnata dalla Tetraktýs.

Questo simbolo, associato al numero 10 e a Dio, come i “dieci comandamenti di Mosè” (il numero non è inserito a caso nella Sacra Scrittura), esprimeva un numero espresso da una disposizione geometrica rappresentata da un triangolo alla cui base erano quattro punti che decrescevano fino alla punta; la somma di tutti i punti dava il 10, il numero perfetto composto dalla somma dei primi 4 numeri (1+2+3+4=10), che combinati tra loro definivano le quattro specie di enti geometrici: il punto, la linea, la superficie, il solido.





La Tetraktýs aveva un carattere sacro e i pitagorici giuravano infatti su di essa.

Questo potente simbolo era ritenuto il modello teorico della loro visione dell’universo, un regno non dominato dalle oscure forze del caos, ma dall’armonia dei numeri e dei rapporti numerici.

La Tetraktýs permetteva ai Pitagorici di imitare con la musica l’Armonia delle Sfere celesti avvicinandoli alla perfezione divina e ricorda inoltre il Tetragrammaton ebraico che contiene, non a caso, i 72 nomi di Dio (72 che è un multiplo di 8).




Il Pentagramma (il 5 come metà del 10), invece, nasce dalla costruzione di un pentagono regolare con le sue 5 diagonali; queste ultime si intersecano formando un successivo pentagono regolare.












In ciascun caso, un punto d’intersezione delle diagonali divide una diagonale in due segmenti tale che il rapporto dell’intera diagonale al segmento maggiore è uguale al rapporto di questo al segmento minore.


Questa suddivisione della diagonale dà origine alla sezione aurea.



All’interno della Stella a cinque punte se sommiamo i due segmenti più brevi otteniamo il terzo, il quale contiene le proporzioni della sezione aurea, così come se sommiamo il secondo ed il terzo otteniamo come risultato il quarto.






Nella Stella a cinque punte è inoltre presente il segreto della costruzione del rettangolo aureo che gli antichi greci apprezzavano molto per le sue particolari proporzioni e considerarono principio matematico della bellezza (si noti ad esempio il Partenone).


Gli architetti medievali che costruirono le Cattedrali Gotiche ravvisavano nella Stella a cinque punte, o Stella dell’Iniziazione, il valore numerico del Numero aureo (1,618…), come indicato da Pitagora, con cui nelle costruzioni stabilivano il rapporto di 3 a 5.



I Pitagorici, veri iniziati ai misteri, raffiguravano sul palmo della loro mano proprio la Stella a cinque punte poiché intendevano essa, e con lei il numero aureo al suo interno, il mistero dei misteri da custodire per perfezionare l’uomo, creatura sacra creata con le medesime leggi della natura.


Questi rapporti sintetizzati dal Pentacolo furono scoperti da Pitagora attraverso uno strumento musicale: il Monocordo.









Il Monocordo fu usato da Pitagora soprattutto per comprendere determinate esperienze acustiche presenti in tutto l’universo materiale, le stesse che sono alla base della vibrazione sonora di cui è composta la materia (fisica delle vibrazioni).



Il corpo di questo strumento musicale è formato da una lunga cassa di risonanza nella quale è tesa una corda. Sotto la corda, e sopra una scala a intervalli determinati, scorre un ponticello mobile che, a seconda del grado della scala nel quale è posto, divide la corda così da ottenerne il suono desiderato con varie frequenze sonore.




Al grande Pitagora, come abbiamo indicato nel corso di questa nostra ricerca, si attribuisce la cosiddetta Armonia delle sfere: secondo la tradizione, infatti, sarebbe lui il primo che udì la sinfonia planetaria riconoscendola attraverso la somiglianza dei suoni provocati dai colpi di martello sull’incudine.


Utilizzando il Monocordo Pitagora avrebbe determinato i rapporti numerici corrispondenti alle consonanze musicali: 1/2 per l’intervallo di ottava, 2/3 per la quinta, e 3/4 per la quarta.


Tutto questo collima con la credenza del mondo greco antico secondo la quale il cosmo sarebbe assimilabile ad una scala musicale dove sia il Sole che ogni pianeta corrispondono ad un determinato suono.


Di particolare interesse sono i cosiddetti intervalli di quinta, ovvero l’intervallo esistente tra due note distanti tra loro 7 semitoni (rimandiamo ancora una volta all’importanza del numero 7).



Il suono, che è vibrazione, alla stessa maniera di un “concerto angelico”, consolida la nostra essenza, l’anima, nell’universo fisico.













«“Cantate al Signore un canto di grazie, intonate sulla cetra inni al nostro Dio”».
(Salmo 147:7) 


Attraverso il medesimo processo vi sarebbe il passaggio dell’anima spirituale che prende consistenza, attraverso le intense vibrazioni, nel regno materiale.

“La Geometria delle forme (la creazione materiale) è musica solidificata”.
(Pitagora) 








Si dice che Pitagora acquisì queste sacre conoscenze dopo un suo presunto viaggio in terra d’Egitto.


Sul piano sapienziale Pitagora, ispirato soprattutto dal mito di Orfeo, attribuì al suono un’elevata valenza cosmica.


Il suono è, a nostro avviso, l’armonia di un linguaggio musicale connesso al Tutto che si trasforma, attraverso la voce di ogni essere vivente, in una sorta di richiamo rivolto alla continua voglia di entrare in comunione con tutto ciò che ci circonda.


La voce umana assume, in questo senso, la rappresentazione terrena del Logos di Dio.

La filosofia stessa era concepita da Platone come alla base della Mousiké, ovvero dell’insieme delle Arti presiedute dalle Muse: poesia, letteratura, musica.


Nel mito greco Armònia è figlia degli opposti: del dio della guerra (Ares) e della dea dell’amore (Afrodite).


Il filosofo greco Eraclito di Efeso (535aC.-475aC.), infatti, concepisce in questi termini l’essenza dell’origine dell’Armonia:


“Ciò che è opposizione è accordo, e dalle cose discordi sgorga bellissima Armonia, e tutte le cose nascono per legge di contesa” (Fr.8).



L’origine stessa della rotazione delle galassie, dei corpi celesti, degli atomi, è dovuta alla dualità di forze opposte che creano un movimento rotatorio ciclico.


Il filosofo neoplatonico Plotino nelle Enneaidi compara addirittura il nostro pianeta ad un danzatore che ci ricorda l’insegnamento indù sulla danza cosmica del dio Shiva:





“L’intero mondo è un vivente che danza secondo una legge musicale”.
(Enneaidi)


Il filosofo e teologo greco antico Porfirio (233ca-305d.C.), allievo di Plotino, nel libro Vita di Pitagora scrive:

“Pitagora udiva l’armonia dell’universo, cioè percepiva l’universale armonia delle sfere e degli astri muoventisi con quelle; la quale noi non udiamo, per la limitatezza della nostra natura”.


Dante allude all’Armonia delle sfere nel primo Canto del Paradiso indicando l’Amore come governatore assoluto delle Sfere Celesti (Paradiso 1,76-81).


Anche nel De Harmonia mundi del frate francescano Francesco Giorgio Veneto, o Zorzi (1466-1540), si menziona l’armonia universale attraverso uno sviluppo ermetico-cabalistico tra Macrocosmo e Microcosmo.


L’armonia universale di cui parla Francesco Giorgio Veneto era basata sul numero pitagorico e sugli studi cabalistici ripresi dai circoli ficiniani di Firenze.











Lo stesso Leonardo da Vinci fu iniziato a questo antico sapere sulla legge vibrazionale del Cosmo, come ci dimostrano alcuni suoi dipinti, conoscenza confinata nel campo esoterico perché combattuta dal potere religioso costituito che voleva imporre la propria “verità” su Dio e sul creato. 




Tutto ciò, si presume, è dovuto agli influssi delle teorie di unificazione delle varie correnti filosofico-religiose del filosofo neoplatonico bizantino Giorgio Gemisto Pletóne (1355 ca.-1452) fiorite nel primo Rinascimento italiano, e anche grazie alla riscoperta dei Classici per mano dello storico umanista Poggio Bracciolini (1380-1459). 






Poggius Florentinus, nome umanistico del Bracciolini, è ricordato nella storia, infatti, per aver riportato alla luce diversi capolavori della letteratura latina, scritti che furono in passato occultati dal potere costituito.




Prima di lui, circa un secolo prima, fu Francesco Petrarca (1304-1374), filosofo, poeta, scrittore, studioso della lingua greca, ammiratore di Platone, e membro dei Fedeli d’Amore, a rivisitare alcuni di questi scritti.


Petrarca in qualche modo anticipò ciò che un secolo dopo venne conosciuto come Umanesimo.


L’Umanesimo è sostanzialmente un movimento ideologico-culturale incentrato sull’interesse per il mondo antico; la tradizione umanistica si basa in pratica sul ritrovamento e la rivisitazione di testi latini, soprattutto sulla letteratura romana. 




Oltre che nella letteratura, l’Umanesimo diede spunto nella riscoperta degli antichi anche nel campo dell’architettura, un esempio su tutti ce lo offre Filippo Brunelleschi (1377-1446) sulla costruzione della Cupola della Cattedrale di San ta Maria del Fiore di Firenze, la cupola del duomo, che fu ripresa da un’altra cupola, quella del Pantheon di Roma, antico tempio dedicato al culto degli dèi pagani. 


Nella Cupola del Brunelleschi non mancano elementi che compongono le proporzioni auree che danno in maniera inequivocabile la sensazione di equilibrio ed armonia, tipico dell’insegnamento pitagorico.


La Cupola del Brunelleschi è un’opera straordinaria; rappresenta una delle maggiori sfide architettoniche più ardue che l’uomo abbia mai realizzato (è stata la cupola più grande del mondo e rimane ancora oggi la più grande cupola in muratura mai costruita) di cui le metodologie esatte per la sua costruzione restano ancora oggi ignote.


Intorno all’anno 1438 diversi illustri filosofi orientali, tra cui l’immenso genio di Giorgio Gemisto Pletóne e Giovanni Bessarione da Trebisonda (1395-1472), sostenitore dell’unione delle due Chiese d’Oriente e d’Occidente, giunsero in terra italiana al seguito dell’imperatore bizantino Giovanni VIII (1392-1448) per partecipare al Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze convocato da Papa Martino V (1417-1431) nel 1431, in applicazione del decreto del Concilio di Costanza (il decreto Frequens), che prevedeva la tenuta periodica di un concilio della Chiesa cattolica. 






Nel 1439, anche grazie a cospicue elargizioni in denaro, il carisma della famiglia dÈ Medici, nonostante non avesse sangue reale (a differenza delle altre famiglie regnanti d’Europa non erano nobili), convinse il papato a spostare il concilio di Ferrara nella umanistica Firenze, giocando sul fattore della peste che minacciava in quel periodo la città di Ferrara. 


Lo scopo di questo concilio era centrato soprattutto sulla valutazione delle possibili basi su cui si potesse risolvere lo scisma e riunire la cristianità dato che nel XV secolo l’Impero Bizantino (con il nome Impero bizantino gli studiosi moderni indicano l’Impero romano d’Oriente, di cultura prevalentemente greca, separatosi dalla parte occidentale (l’Impero romano d’Occidente), di cultura quasi esclusivamente latina, dopo la morte di Teodosio I nell’anno 395) si trovava sotto minaccia islamica da parte dei turchi. 



In difesa della cristianità si unì persino il famigerato Vlad III di Valacchia (1431-1476), detto Vlad “l’Impalatore”, figlio di Vlad II soprannominato il “Diavolo” (1390-1447), principe di Valacchia e primo membro della stirpe dei Draculesti; ad entrambi si deve la leggenda di Dracula.


Furono tutti e due membri dell’Ordine del Drago. 

La Societas Draconistrarum, chiamata anche "Ordine del Dragone", fu un ordine militare del Sacro Romano Impero Germanico, istituito dall’imperatore Sigismondo di Lussenburgo (1368-1437) per distruggere l’eresia hussita e contenere il potere dell’Impero Ottomano.


Anche se il concilio di Firenze non riuscì a riunire la cristianità, ebbe enormi conseguenze di tutt’altro genere; da esso si svilupparono scambi interculturali di natura filosofica non di poco conto. Fino ad allora gran parte della filosofia, sia greca che romana, venne in qualche modo confinata e/o combattuta dal Clero ma, come per “magia”, in quegli anni tutto cambiò.


Fu proprio in quel periodo in cui la cristianità entrò in difesa della Chiesa Ortodossa che iniziarono a circolare gli scritti classici, soprattutto quelli degli antichi filosofi greci, libri ritenuti proibiti e pericolosi dal potere costituito.







Tutto ciò avvenne grazie all’illustre erudito Gemisto Pletóne trasferitosi a Firenze sotto la famiglia di Cosimo dÈ Medici (1389-1464), banchiere del Papa, padre di Piero il gottoso (1416-1469) e nonno di sua magnificenza Lorenzo dÈ Medici e Giuliano (1453-1478), fratello del “magnifico”, ucciso durante la cosiddetta “congiura dei Pazzi”.


In quel periodo Firenze fu senz’ombra di dubbio la culla della tradizione umanistica e del pensiero filosofico, ed è lì che le idee, i concetti filosofici, e gli archetipi che pian piano prendevano forma, divennero azioni, germogliando in tutta l’Europa come uno straordinario giardino prezioso.


Fu così che la Luce dell’antica sapienza illuminò nuovamente le tenebre dell’ignoranza.


È esattamente in questo contesto storico che ebbe inizio la “Rinascenza” delle anime più evolute d’Europa.


Dagli scritti di Marsilio Ficino risulterebbe che Cosimo dÈ Medici ascoltando i discorsi del potente nobile di Costantinopoli Giorgio Gemisto Pletóne si convinse della necessità di un ritorno agli antichi valori politici e spirituali derivanti dalla filosofia platonica.


Gli insegnamenti di Pletóne erano incentrati sulla filosofia spirituale di Platone, sugli Oracoli caldaici, quindi sull’antica sapienza babilonese, e sugli insegnamenti dello Zoroastrismo.















Secondo Pletóne, infatti, Zarathustra (Zoroastro), vero sapiente tanto caro ai Rosa+Croce, fu il “Priscus Theologus” da cui erano successivamente derivate le filosofie di Pitagora e dello stesso Platone.


Lo scopo della Radix Davidis, che ha come fine il perfezionamento interiore, attraverso Gemisto Pletóne e Cosimo dÈ Medici, uomini saggi legati agli ambienti iniziatici, non fu vincolato né da confini geografici, né tantomeno da vari dogmi di differenti fedi, esso, come il sacro sapere stesso, doveva scorrere nell’arco dei millenni come un fiume in piena nelle coscienze degli uomini giusti.

Tutte queste tematiche fondamentali per l’accrescimento interiore presenti nella filosofia rinascimentale furono successivamente riprese e custodite nel XVII secolo dai Rosa+Croce.



Dopo Zoroastro, la personalità più importante, sempre secondo Gemisto Pletóne, fu Ermete Trismegisto.



Gli scritti attribuiti ad Ermete Trismegisto, come i classici della filosofia, non a caso, furono alla base della cultura rinascimentale.


Pletóne morì in Grecia, a Mistra, a quasi cent’anni d’età, nell’anno 1452.









Sigismondo Pandolfo Malatesta (1417-1468), signore di Rimini e patrono delle arti, riportò i resti di Gemisto Pletone in Italia nel 1456 facendoli riporre in un’arca sulla fiancata destra del Tempio Malatestiano, nella Cattedrale di Santa Colomba a Rimini, accanto a quelle di diversi importanti umanisti che avevano impreziosito la sua corte.



Anche da queste informazioni si può comprendere l’importanza di quest’uomo che ha sicuramente influenzato, e non poco, il pensiero filosofico-spirituale rinascimentale di molti importantissimi dotti.


Si dice infatti che è soprattutto grazie a Pletóne che gli uomini del Rinascimento italiano hanno potuto riscoprire il concetto filosofico sull’Armonia delle sfere celesti e l’immortale essenza divina dell’Anima Mundi.












Quella di Gemisto Pletóne è una figura che continua ancora oggi a restare avvolta nel mistero; nel 1393 a Mistra (l’antica Sparta) era a capo di una scuola filosofico-religiosa di impronta neoplatonica, mentre durante il suo soggiorno in Italia insegnò all’Accademia platonica fiorentina, istituzione culturale fondata a Firenze nel 1462 da Marsilio Ficino per incarico di Cosimo dÈ Medici, dove si rivisitava, oltre alla tradizione filosofica di Platone, quella di Pitagora, dell’Orfismo, di Socrate, di Porfirio, di Plotino, e di Aristotele, e dove inoltre si esaminavano gli scritti di Ermete Trismegisto.


Pletóne fu colui che in qualche modo contribuì ad “illuminare” le menti dei vari personaggi del Rinascimento attraverso la rifioritura dei classici, scritti ricchi di archetipi primordiali, essenziali per comprendere le verità platoniche trascendentali in perenne antitesi con l’aristotelismo; allo stesso tempo Pletóne fu anche tacciato di ateismo dai poteri forti, soprattutto dal teologo bizantino Giorgio Scolario (1405-1472), patriarca di Costantinopoli, perchè ritenuto un pericoloso sovvertitore della religione costituita, il Cristianesimo.












Lo stesso Sigismondo Malatesta fu scomunicato dalla Chiesa Cattolica per via della sapiente Filosofia di cui era venuto a conoscenza, oltre che dei vari interessi che entrarono in qualche modo in conflitto col Papato; di lui fu persino messo al rogo una sua effigie a Roma durante l’anno 1462.


Anche i libri di Pletóne subirono la stessa fine dell’effige di Sigismondo Malatesta: furono dati al rogo.






Il Platonismo, unito agli insegnamenti di Zoroastro e, soprattutto, al culto del dio Sole (il culto solare), veniva concepito da Giorgio Gemisto Pletóne come un punto di riferimento fondamentale per una possibile unificazione, su base filosofica, delle differenti fedi religiose, tema che riprese successivamente il teologo e filosofo tedesco Nicola Cusano (1401-1464) e anche il grande Pico della Mirandola.


Sulle orme di Gemisto Pletóne un’importantissima cerchia di artisti e saggi filosofi, infatti, durante il Rinascimento continuò questa sorta di “rivoluzione spirituale”, soprattutto filosofica-intellettuale, nel tentativo di riformare in qualche modo, laddove fosse possibile, la religione ufficiale imposta a tutti i credenti di mezza Europa, cercando di riportare nella memoria delle persone la “Magia naturalis” e/o l’armonia universale delle leggi della creazione del cosmo di cui l’Anima mundi, lo Spirito di Dio, pensante e creativo, ne sarebbe la causa.


Questi sapienti, tra cui i già citati Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, lo stesso Leonardo da Vinci, Paracelso, Giordano Bruno, ed altri ancora, videro negli insegnamenti ermetici, soprattutto nel Corpus Hermeticum, una teologia eterna, potentemente simbolica, che, insieme alle teorie di Pitagora e di Platone, potevano realmente innalzare l’uomo a Dio attraverso una Gnosi, un sapere celeste.


Per questi sapienti il Corpus Hermeticum rappresentava un’originale trattato mistico-teologico-filosofico della realtà umana, vista come manifestazione stessa del divino.




Oltre a Leonardo, altri artisti furono abbagliati dalla sapienza di Gemisto Pletóne, tra questi spiccano Piero della Francesca (1415-1492) e Giorgione (1478-1510).














Tornando all’antica conoscenza, gli stessi antichi Egizi più che una religione vera e propria detenevano nel loro culto il sapere della Magia Astrologica o Magia Naturale, sapienza basata sulla matematica e sugli influssi del Cosmo e delle stelle, insegnata agli uomini dal dio Thot, divenuto successivamente Hermes (nome greco del dio Mercurio).














Quell’Hermes che spesso e volentieri veniva raffigurato con il mano il Caduceo, simbolo stesso della Medicina e della Rinascita spirituale (risveglio di Kundalinī).


Gemisto Pletóne, nel suo viaggio che ebbe come mèta Firenze, aveva portato con sè da Bisanzio gli Oracoli Caldaici, un’antologia sapienziale di aforismi attribuita alla tradizione misterica dei Magi persiani.


Nella visione neoplatonica e Zoroastriana di Pletóne l’universo, analogamente alla filosofia sull’Armonia delle sfere celesti, veniva considerato un sistema di rivelazioni armoniche in cui tutto è inequivocabilmente collegato:


“L’Anima svolge in tutto così bene le sue funzioni che gli esseri mortali sono uniti agli immortali mediante l’uomo, e il tutto è accordato in un’unica armonia”
(Giorgio Gemisto Pletóne – Commento ad Oracoli Caldaici, Mag. XI).





Il Rinascimento, anche grazie a tutti questi antichi scritti, fu a tutti gli effetti un processo evolutivo prodotto da mastodontiche “energie” psico-emotive espresse in simboli, concetti, parole, e azioni, che ha illuminato in maniera straordinaria la mente e i cuori degli uomini migliorandoli.


La filosofia platonica, attraverso le sue energie legate agli archetipi, alla stessa maniera del linguaggio inziatico presente nei testi sacri, toccando le corde emotive delle “anime elette”, disturba e rivoluziona l’intelletto dell’uomo mite e ordinato innescando, laddove il terreno (la coscienza) è fertile, quel processo di accrescimento del sé che conduce alla realizzazione interiore.


È in questo periodo storico, con nuove modalità, che in Europa la Radix Davidis continuò a trasmettere e al tempo stesso preservare il sapere connesso alla Tradizione di cui è figlia.


È molto probabile che questa antica sapienza di cui parlavano gli antichi filosofi greci e romani, oltre i magi della Persia, rifiorita in epoca rinascimentale sotto forma di Gnosologia ermetica, in passato venne in qualche modo soppressa o più precisamente dispersa intorno all’anno 391 d.C., per mano dell’imperatore romano Teodosio I (347-395d.C.) il quale emanò un decreto che proclamava tutti i culti precedenti a quello Cristiano Religio illicita ("Religioni illecite"), ordinando la chiusura di tutti i templi pagani.


Alcuni anni dopo, sempre in Egitto, esattamente nel 415 d.C., ad Alessadria d’Egitto, luogo sacro per la conoscenza, alcuni fanatici monaci cristiani chiamati Parabolani distrussero la famosa Libreria d’Alessandria, tempio dell’antico sapere, bruciando moltissimi libri sapienziali e fondamentali per la conoscenza, uccidendo addirittura diverse persone tra cui la filosofa, astronoma e matematica Ipazia (355/370ca-415), rinomata per i suoi studi matematici inerenti alle curve coniche.



Secondo diversi storici ad ordinare l’assassinio della scienziata e filosofa neoplatonica Ipazia fu Cirillo (370-444), vescovo d’Alessandria, venerato addirittura come santo dalla Chiesa Cattolica e Ortodossa. Dopo i culti pagani, la persecuzione si accanì contro i Giudei.


















La Radix Davidis preservò questo sapere per mezzo dei cosiddetti Cristiani Pitagorici, membri della medesima confraternita.




Intorno alla fine del XVI secolo, circa 1200 anni dopo la morte di Ipazia, il Rosa+Croce Giovanni Keplero, famoso astronomo, scoprì che una delle curve coniche tanto care alla filosofa d’Alessandria, l’Elisse, governa da sempre il movimento dei pianeti.


A nostro avviso, è molto probabile, che è proprio da allora che questo sapere, tanto combattuto dalla Chiesa, divenne in qualche modo una conoscenza esoterica riservata a pochi eletti.


Divenne a tutti gli effetti un sapere iniziatico inequivocabilmente volto alla verità cosmogonca da cui discende la vera Tradizione.



Secondo le nostre ricerche le credenze incentrate sulla divina energia dell’Anima Mundi, come quelle sull’Armonia delle sfere celesti, proprio perché sono di natura astronomica oltre che scientifica-filosofica, furono nel 1534 addirittura abbracciate e gelosamente custodite dagli iniziati o confratelli del potente ordine ecclesiastico della Compagnia di Gesù (Societas Iesu) o Gesuiti, gruppo appena istituito da Ignazio di Loyola (1491- 1556), potente personaggio fatto santo da Papa Gregorio XV nell’anno 1622.




L’emlbema dell’ordine dei Gesuiti è, infatti, un disco raggiante e fiammeggiante, che ricorda il Sole nero, la spirale cosmica da cui deriverebbe l’energia creatrice, con all’interno le lettere IHS con una croce e i tre chiodi inerenti alla Passione di Cristo.



Ancora oggi i Gesuiti sono i maggiori studiosi all’interno della Chiesa Cattolica di Astronomia, gestiscono la Specola vaticana e dirigono l’osservatorio astronomico fondato da Leone XIII (1810-1903), oggi in Arizona sul Monte Graham, e, secondo recenti interviste rilasciate da alcuni membri dell’ordine, sono coloro che nel mondo cattolico si interessano inoltre alla vita extraterrestre.


La teoria pitagorica del Monocordo e della “Musica delle sfere” si sviluppò nella visione magico-ermetica nel concetto del Monocordo di Robert Fludd, nel quale le sfere dei quattro elementi, dei pianeti e degli angeli sono disposte verticalmente sul Monocordo, accordato dalla mano di Dio.

L’Altissimo, dunque, risulta essere architetto e musicista supremo di tutto il creato, mentre i corpi celesti sono i suoi “strumenti armonici” e matematici.


Anche Giovanni Keplero (1571-1630), astronomo, matematico e musico, nel suo Harmonices Mundi, descrive l’Universo come un ente guidato da precise regole musicali.














Lo stesso Athanasius Kircher (1602-1680), filosofo e storico gesuita, autore di diverse opere sviluppate in differenti campi del sapere, dalla filosofia alla liturgia sacra, e dalla matematica alla musica, nella sua opera Musurgia Universalis espose le basi teoriche e pratiche della musica, rimarcando quanto potesse concernere il fenomeno sonoro sotto tutti i punti di vista, soprattutto sui medesimi concetti pitagorici di Monocordo e sull’Armonia delle sfere celesti.


Addirittura il filosofo e politico romano Marco Tullio Cicerone (106 aC.- 43aC.), a differenza di Eraclito che come abbiamo già visto concepiva il mondo come armonia dei contrari (aspetto speculare), nel Somniun Scipionis, la parte conclusiva della sua opera denominata De re Publica, sull’astronomia e sulla descrizione dei cieli, menziona il “suono” generato dai corpi celesti ricordando, oltre alla filosofia Platonica, la credenza dei pitagorici sull’armonia cosmica, la legge vibrazionale della Musica delle sfere.


In questo trattato viene inoltre presentata la Via Lattea come dimora eterna delle anime, concetto espresso in passato già dal grande Pitagora:


«“…una vita simile è la via che conduce al cielo e a questa adunanza di uomini che hanno già terminato la propria esistenza terrena e che, liberatisi del corpo, abitano il luogo che vedi» - si trattava, appunto, di una fascia risplendente tra le fiamme, dal candore abbagliante -, «che voi, come avete appreso dai Greci, denominate Via Lattea”».
(Somniun Scipionis – De Re Publica)


Tutto ciò ci conferma che queste credenze erano in tempi antichi ben radicate in diverse zone del globo.


E sono queste che vennero riassorbite nelle geniali menti di diversi personaggi del Rinascimento italiano.

Oggi diversi fisici, e la Fisica quantistica lo confermerebbe, sono convinti che la realtà circostante non sia costituita da particelle puntiformi ma da stringhe, minuscole corde, infinitamente piccole, che si estendono nello spazio e in diverse dimensioni.


“Tutto è Energia e questo è tutto quello che esiste. Sintonizzati alla frequenza della realtà che desideri e non potrai fare a meno di ottenere quella realtà. Non c’è un’altra via. Questa non è filosofia. Questa è fisica.
(Albert Einstein)








Le stringhe di cui parla la fisica dei quanti sarebbero in questo senso analoghe alle corde del Monocordo di Pitagora che mediante la vibrazione emana un suono specifico.


La cosiddetta Teoria delle stringhe si basa sul principio secondo cui la materia, la radiazione e lo spazio e il tempo sarebbero in realtà la manifestazione di entità fisiche fondamentali che, a seconda del numero di dimensioni in cui si sviluppano, vengono denominate stringhe; si tratta sostanzialmente di una Teoria del tutto dove si congiungono, nello specifico, la teoria fisica della Relatività e la Meccanica quantistica.


Secondo questa teoria applicando a queste ipotetiche stringhe le leggi della Meccanica quantistica sarebbe possibile che esse iniziano a vibrare e a suonare come le corde di un Monocordo, e, a ogni nota di questo “strumento cosmico”, corrisponderebbe una particella o una forza naturale.


In sostanza tutto l’universo risulterebbe essere la manifestazione di una “forza energetica vibratoria e armonica” creatrice e trasformativa, come sostenevano i Pitagorici e i Neoplatonici, dove in ogni particella sarebbe presente un filamento che “vibra”, “suona” e “danza”.


Tornando ai Templari, il loro motto era il seguente:

“Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam”.

Ovvero “Non a noi, o Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria”.


Per i Templari, influenzati dall’antica corrente religiosa dei Mandei, da sempre ostile al Cristianesimo, il vero Cristo era Giovanni Battista e non Gesù.


Questo ci ha portato a sostenere l’ipotesi che, secondo tale pensiero, Giovanni fu un grandissimo iniziato e che, una volta trasformata la sua essenza ottenendo la realizzazione spirituale, divenne quello che noi conosciamo come il Cristo.

Secondo quest’ottica, Yeshua Nazir, Gesù Nazareno, sarebbe stato un titolo o un elevatissimo grado iniziatico conquistato dal Battista stesso, non un nome di persona.



È addirittura molto probabile che lo stesso Leonardo Da Vinci, membro della Radix Davidis, abbia subìto l’influenza di questa credenza mandea, o, a quanto pare, ne era a conoscenza, e che ce l’abbia addirittura indicata se pur in maniera velata; a rivelarcelo sarebbe stato lo stesso artista toscano nel dipinto intitolato “La Vergine delle rocce”, dove vengono raffigurati insieme a Maria due piccoli bambini apparentemente identici, Gesù e Giovanni, che si guardano l’un l’altro (aspetto speculare) intensamente mentre un angelo indica con l’indice della sua mano il futuro Battista (non indica Gesù).



Noi non vogliamo entrare in merito a tutto ciò, anche perché, a detta di diversi esoteristi, la vera Tradizione a cui si rifanno i Templari sarebbe di origine atlantidea e non semitica; a tal riguardo possiamo solo sostenere che secondo il nostro punto di vista il Gesù menzionato nel Vangelo non rappresenta solo un simbolo, ma un’entità che, se carpita e assimilata correttamente nelle coscienze degli uomini, veicola l’essere spirituale in qualcosa di molto più grande della semplice dimensione umana.

Anche per questo motivo non ci sembra corretto ridurre il Cristo a quest’idea secondo la quale Gesù sarebbe stato in realtà l’evoluzione spirituale del Battista.



Il Cristo rappresenta qualcosa di molto più grande di un semplice simbolo, e va ben oltre l’ipotesi mandea di cui i Templari ne ereditarono in qualche modo il credo.


Per il credente cristiano l’incarnazione rappresenta la spiritualità divina calata nella realtà concreta, come a voler rimarcare che, tutto sommato, le cose disincarnate, o quelle simboliche fine a sé stesse, prive di essenza sacra, non sono riconducibili alla vera spiritualità e a Dio.


Del resto, e la presunta storicità dell’uomo Gesù lo confermerebbe, il Nazareno non era un uomo ordinario ma bensì un uomo straordinario, basti pensare che il simbolismo adattato alla sua persona e alla sua storia, sia nelle lettere paoline che nei Vangeli, ha cambiato il corso degli eventi in diverse parti del mondo.


Il Suo nome è quindi alla base del cambiamento stesso, e resta alla base della trasformazione.

Questo nome risiede, come abbiamo ricordato, nel tetragramma, YHWH, ed è celato nel nome ebraico di Gesù, YESHUA, che letteralmente significa “Dio salva”.


È un nome-simbolo realmente salvifico e trasformativo come lo è nel Vangelo lo stesso Cristo.

Gesù rappresenta nei testi sacri il Novello Adamo, l’uomo nuovo, che ha trasformato il proprio corpo vincendo il mondo, la morte, e con esso tutte le leggi fisiche.







È Lui, come il Numero aureo, la chiave di volta del Tempio spirituale dei Rosa+Croce.









Continua...

La Bibbia Rivelata Vol.1 - Iniziazione al Linguaggio esoterico della Sacra Scrittura:
https://www.macrolibrarsi.it/libri/__la-bibbia-rivelata-vol-i-libro.php

La Bibbia Rivelata Vol.2 - Il Corpo di Luce e il Segreto del Fiore della Vita:
https://www.macrolibrarsi.it/libri/__la-bibbia-rivelata-vol-ii-libro.php

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L'origine della Radix Davidis, la Stirpe di Giuda e il simbolismo del Pellicano e della Rosa:
https://lamisticadellanima.blogspot.com/2014/01/lorigine-della-radix-davidis-la-stirpe.html

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MICHELE P.