venerdì 24 gennaio 2014

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULL'ERMETISMO - TRASMUTAZIONE E TRASFORMAZIONE di RENE' GUENON
















ECCOVI DUE SPLENDIDI CAPITOLI TRATTI DAL LIBRO DI RENE' GUENON "CONSIDERAZIONI SULL'INIZIAZIONE".

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QUALCHE CONSIDERAZIONE SULL'ERMETISMO


Abbiamo detto in precedenza che i Rosa+Croce erano propriamente esseri pervenuti al compimento effettivo dei « piccoli misteri », e che l'iniziazione rosicruciana, da essi ispirata, era una forma particolare riattaccantesi all’ermetismo cristiano; riavvicinando un tale fatto a ciò che abbiamo spiegato ultimamente, si deve poter già comprendere come l'ermetismo, in modo generale, appartenga al dominio di ciò che è designato con il termine di «iniziazione reale/regale».







Pertanto, sarà bene a tal proposito dare ancora qualche precisazione, poichè, anche su questo soggetto, si sono introdotte molte confusioni, e il termine stesso di « ermetismo » è usato da parecchi nostri contemporanei assai vagamente e indecisamente; non vogliamo alludere in tal modo soltanto agli occultisti, per cui la cosa è troppo evidente, ma vi sono altri che, pur studiando la questione in una maniera più seria, sembrano, forse a causa di certe idee preconcette, non rendersi conto molto esattamente di che cosa si tratta in realtà.


Bisogna rilevare in primo luogo che questa parola « ermetismo» indica trattarsi di una tradizione di origine egiziana, rivestita in seguito di una forma ellenizzata, senza dubbio all'epoca alessandrina, e trasmessa sotto questa forma, nel medio evo, ugualmente al mondo islamico e dal mondo cristiano, e, aggiungiamo noi, al secondo in gran parte per l'intermediario del primo, come provano i numerosi termini arabi o arabizzati adottati dagli ermetisti europei, a cominciare dal termine stesso d'« alchimia » (el-kimya).


Sarebbe dunque del tutto abusivo estendere questa designazione ad altre forme tradizionali, come sarebbe abusivo ad esempio il voler chiamare « Kabbala » qualche cosa che sia diverso dall'esoterismo ebraico; ben'inteso, non significa che non ne debbano esistere certi equivalenti altrove, tanto vero ché questa scienza tradizionale dell'alchimia ha la sua esatta corrispondenza in dottrine come quelle dell'India, del Thibet e della Cina, quantunque con modi d'espressione e metodi di realizzazione naturalmente abbastanza diversi; ma, quando si pronunzia il nome di « ermetismo », si specifica in tal modo una forma nettamente determinata, la cui provenienza non può essere che greco-egiziana.

In effetti, la dottrina così designata è riferita ad Ermete, essendo quest'ultimo considerato dai Greci identico al Thoth egiziano; il che presenta d'altronde questa dottrina come essenzialmente derivata da un insegnamento sacerdotale, poichè Thoth, nella sua parte di conservatore e di trasmettitore della tradizione, non è che la stessa rappresentazione dell'antico sacerdozio egiziano, o meglio, per parlare più esattamente, del principio d'ispirazione « sopra-umana » da cui proveniva a, quest'ultimo la propria autorità e nel cui nome formulava e comunicava la conoscenza iniziatica.





Non bisognerebbe rilevare la minima contraddizione nel fatto che questa dottrina appartenga propriamente al dominio dell'iniziazione reale, poichè dev'essere evidente che, in ogni tradizione regolare e completa, è il sacerdozio che, in virtù della sua funzione essenziale d'insegnamento, conferisce ugualmente le due iniziazioni, direttamente o indirettamente, e che assicura in tal modo la legittimità effettiva dell'iniziazione reale stessa, ricollegandola al suo principio superiore, nella stessa maniera del potere temporale che può ricevere la sua legittimità soltanto da una consacrazione avuta dall'autorità spirituale. Stabilito quanto precede, la principale questione è la seguente: ciò che si è mantenuto sotto questo nome di « ermetismo » può essere considerato come costituente una dottrina tradizionale in se stessa completa?


La risposta non può essere che negativa, poichè non si tratta strettamente che di una conoscenza d'ordine non metafisico, ma soltanto cosmologico, intendendo d'altronde questo termine nella sua duplice applicazione « macrocosmica » e « microcosmica », essendo evidente che, in ogni concezione tradizionale, vi è sempre una stretta corrispondenza fra questi due punti di vista.











È dunque inammissibile che l'ermetismo, nel significato che questo termine ha preso fin dall'epoca alessandrina e conservato costantemente da allora, rappresenti, fosse pure alla stregua di « riadattamento », l'integralità della tradizione egiziana, tanto più che ciò sarebbe nettamente contraddittorio con la parte essenziale rappresentata in quest'ultima dal sacerdozio e da noi ricordata; malgrado che in verità il punto di vista cosmologico sembri esservi stato particolarmente sviluppato, almeno nella misura in cui è attualmente ancora possibile saperne qualche cosa di preciso, e che sia in ogni caso ciò che vi è di più appariscente in tutte le vestige sussistenti, si tratti di testi o di monumenti, non bisogna dimenticare che può essere soltanto un punto di vista secondario e contingente, una applicazione della dottrina principiale alla conoscenza del cosiddetto « mondo intermediario », vale a dire il dominio della manifestazione sottile dove si situano i prolungamenti extra-corporei dell'individualità umana o le possibilità stesse il cui sviluppo concerne propriamente i « piccoli misteri ».


Potrebbe essere interessante, ma senza dubbio molto difficile, ricercare come questa parte della tradizione egiziana abbia potuto trovarsi in qualche modo isolata e conservarsi in una maniera apparentemente indipendente, per poi incorporarsi all'esoterismo islamico e all'esoterismo cristiano del medio evo (il che non l'avrebbe d'altronde potuto fare una dottrina completa) al punto da diventare veramente parte integrante dell'uno e dell'altro, e da fornire ad entrambi tutto un simbolismo che, per una trasposizione conveniente, è potuto qualche volta servire anche da veicolo per verità di un ordine più elevato .


Non vogliamo qui entrare in queste considerazioni storiche molto complesse; comunque sia, a proposito di tale particolare questione, ricorderemo che le scienze dell'ordine cosmologico sono effettivamente quelle che nelle civiltà tradizionali sono state soprattutto l'appannaggio degli Kshatriya o di loro equivalenti, mentre la metafisica pura era propriamente, come abbiamo detto, l'appannaggio dei Brahmana.


Ed è per ciò che, per un effetto della rivolta degli Kshatriya contro l'autorità spirituale dei Bràhmana, si sono potute vedere qualche volta costituirsi correnti tradizionali incomplete, ridotte a queste sole scienze separate dal loro principio trascendente, ed anche, come l'indicammo precedentemente, deviate in senso «naturalista», a causa di negazione della metafisica e disconoscimento del carattere subordinato della scienza « fisica », nonchè (le due cose essendo strettamente legate, come debbono permettere di comprendere sufficientemente le spiegazioni da noi date) dell'origine essenzialmente sacerdotale di ogni insegnamento iniziatico, anche quello destinato particolarmente ad uso degli Kshatriya.


Non si può sicuramente dire che l'ermetismo costituisca in se stesso una tale deviazione o che implichi qualche cosa d'illegittimo, il che avrebbe reso evidentemente impossibile la sua incorporazione in forme tradizionali ortodosse; ma bisogna pur riconoscere che vi si può prestare abbastanza facilmente a causa della sua natura stessa, per poco che si presentino circostanze favorevoli a questa deviazione, e tale è del resto più generalmente il pericolo di tutte le scienze tradizionali quando sono coltivate in qualche modo per se stesse, la qual cosa espone a perdere di vista il loro collegamento all'ordine principiale.











L'alchimia, che si potrebbe definire per così dire come la « tecnica » dell'ermetismo, è realmente un'« arte reale », se in tal modo s'intende una maniera d'iniziazione specialmente appropriata alla natura degli Kshatriya; ma questo stesso fatto ne segna precisamente il posto esatto nell'insieme di una tradizione regolarmente costituita, e altresì non bisogna confondere i mezzi di una realizzazione iniziatica, qualunque essi possano essere, con lo scopo suo, che in definitiva è sempre di pura conoscenza.


D'un altro lato, bisogna particolarmente diffidare di una certa assimilazione che si vuole a volte stabilire fra l'ermetismo e la « magia »; anche se si volesse allora prendere quest'ultima in un senso abbastanza differente da quello in cui la si intende ordinariamente, vi sarebbe pure molto da temere che questo semplice fatto, insomma corrispondente ad un abuso di linguaggio, non possa provocare che confusioni piuttosto incresciose. La magia, nel suo significato proprio, non è infatti, l'abbiamo ampiamente spiegato, che una delle applicazioni inferiori della conoscenza tradizionale e non vediamo come possa esservi il minimo vantaggio ad invocarne l'idea quando in realtà si tratta di cose che, anche se ancora contingenti, sono nondimeno di un livello notevolmente più elevato.

Del resto, può darsi che a tal proposito non vi sia soltanto una questione di terminologia male applicata: questa parola « magia » esercita su alcuni alla nostra epoca uno strano fascino, e, come abbiamo già' rilevato, la preponderanza accordata ad un tale punto di vista, non fosse che soltanto in intenzione, è anche legata all'alterazione delle scienze tradizionali separate dal loro principio metafisico; è questo indubbiamente lo scoglio principale contro cui rischia di urtarsi ogni tentativo di ricostituzione o di restaurazione di tali scienze, se non si inizia da ciò che è veramente l'inizio sotto ogni rapporto, vale a dire dallo stesso principio, che è anche il fine in vista del quale tutto il resto deve essere normalmente ordinato.

Un altro punto, su cui è il caso d'insistere, è quello della natura puramente « interiore » della vera alchimia, propriamente d'ordine psichico quando la si prende nella sua più immediata applicazione, e di ordine spirituale quando la si traspone nel suo significato superiore; ed è una tal cosa, in realtà, che ne costituisce tutto il valore dal punto di vista iniziatico.









Questa alchimia non ha dunque assolutamente nulla da vedere con le operazioni materiali di una « chimica » qualsiasi, nel senso attuale del termine; quasi tutti i moderni hanno stranamente equivocato a tal proposito, sia coloro che hanno voluto porsi come difensori dell'alchimia e sia coloro che invece hanno voluto porsi come suoi detrattori; siffatto equivoco è meno scusabile nei primi che nei secondi, i quali almeno non hanno certo mai preteso di possedere una qualsiasi conoscenza tradizionale.

Pertanto, è assai facile vedere in quali termini gli antichi ermetisti parlino dei « soffiatori a e dei « bruciatori di carbone », nei quali bisogna riconoscere i veri precursori dei chimici attuali, per quanto la cosa sia poco lusinghiera per questi ultimi; e, ancora al XVIII secolo, un alchimista come il Pernety non manca di sottolineare ad ogni occasione la differenza fra la « filosofia ermetica » e la « chimica volgare ».


In tal modo, come già in molte altre occasioni abbiamo detto mostrando il carattere di « residuo » che hanno le scienze profane in rapporto alle scienze tradizionali (ma si tratta di cose tanto estranee alla mentalità attuale che non è mai troppo insistervi), a dar nascita alla chimica moderna non è stata l'alchimia, con cui essa non ha insomma alcun rapporto reale (come non ne ha d'altronde l'« iperchimia », immaginata da qualche occultista contemporaneo) ; ne è stata soltanto una deformazione o una deviazione, provocata dall'incomprensione di coloro che, profani sprovvisti di ogni qualificazione iniziatica e incapaci di penetrare in una misura qualsiasi il vero significato dei simboli, presero tutto alla lettera, secondo l'accezione più esteriore e più volgare dei termini usati, e, credendo in seguito non trattarsi che di operazioni materiali, si lanciarono in una sperimentazione più o meno disordinata, e in ogni caso assai poco degna d'interesse sotto parecchi riguardi.

Ugualmente nel mondo arabo, l'alchimia materiale è stata sempre molto poco considerata, mentre si aveva un grande rispetto per l'alchimia « interiore » e spirituale, spesso designata col nome di kimyà es-saddah o « alchimia della felicità».











Non bisogna pensare d'altronde che si debba perciò negare la possibilità delle trasmutazioni metalliche che rappresentano l'alchimia agli occhi del volgare; ma bisogna ridurle alla loro giusta importanza, che insomma non è maggiore di quella di una qualsiasi esperienza « scientifica », e non confondere cose che sono di ordine totalmente diverso; a priori, non si vede nemmeno per qual motivo non potrebbe accadere che tali trasmutazioni siano realizzate da procedimenti appartenenti semplicemente alla chimica profana (e in fondo l'« iperchimia » cui alludemmo non è che un tentativo del genere).

Pertanto, vi è un altro aspetto della questione: l'essere, giunto alla realizzazione di certi stati interiori, può, in virtù della relazione analogica del « microcosmo » col macrocosmo », produrre esteriormente effetti corrispondenti; è dunque perfettamente ammissibile che colui che è pervenuto ad un certo grado nella pratica dell'alchimia interiore » sia capace per questo stesso fatto di compiere trasmutazioni metalliche o altre cose del medesimo ordine, ma alla stregua di conseguenze del tutto accidentali, e senza ricorrere ad alcun procedimento della pseudo-alchimia materiale, ma unicamente per una specie di proiezione esteriore delle energie che porta in se stesso.


Vi è d'altronde anche qui da farsi una distinzione: può non trattarsi in ciò che di una azione di ordine psichico. vale a dire della messa in opera d'influenze sottili appartenenti al dominio dell'individualità umana, ed allora si tratta sempre dell'alchimia materiale, se si vuole, ma operante con mezzi del tutto diversi da quelli della pseudo-alchimia, che si riferiscono esclusivamente al dominio corporeo; oppure, per un essere che abbia raggiunto un grado di realizzazione più elevato, può trattarsi di una azione esteriore di vere influenze spirituali, come quella producentesi nei « miracoli » delle religioni e di cui abbiamo precedentemente parlato.

Fra questi due casi, vi è una differenza paragonabile a quella che separa la « teurgia » dalla magia (quantunque, ripetiamolo, non indichiamo ciò che alla stregua di similitudine, poichè qui non si tratta propriamente di magia), questa differenza essendo insomma quella stessa dell'ordine spirituale e dell'ordine psichico; se gli effetti apparenti sono a volta gli stessi da una parte e dall'altra, le cause che li producono sono nondimeno totalmente e profondamente diverse.


Aggiungiamo d'altronde che coloro che posseggono realmente questi poteri  si astengono scrupolosamente dal farne mostra per meravigliare la gente, ed anzi generalmente mai ne fanno uso, per lo meno al di fuori di certe particolari circostanze, quando il loro esercizio si trovi legittimato da altre considerazioni.

Comunque, ciò che non bisogna mai perdere di vista, e che è alla base stessa di ogni insegnamento veramente iniziatico, è che ogni realizzazione degna di questo nome è di ordine essenzialmente interiore, anche se è suscettibile di avere all'esterno ripercussioni di qualsiasi genere.


L'uomo può trovarne i principii soltanto in se stesso e lo può perchè porta in sè la corrispondenza di tutto ciò che esiste; infatti, non bisogna dimenticare che, secondo una formula dell'esoterismo islamico, « l'uomo è il simbolo dell'Esistenza universale »; e se perviene a penetrare fino al centro del suo proprio essere, egli raggiunge la conoscenza totale, con tutto ciò che implica per sovrappiù:

« Colui che conosce il suo Sè conosce il suo Signore »  ed allora conosce tutte le cose nella suprema unità del Principio stesso in cui ogni realtà è « eminentemente » contenuta.


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TRASMUTAZIONE E TRASFORMAZIONE




Un'altra questione riferentesi anche direttamente all'ermetismo è quella della « longevità », che è stata considerata come uno dei caratteri dei veri Rosa+Croce, e di cui si è d'altronde parlato in una forma o nell'altra in tutte le tradizioni; questa « longevità », il cui conseguimento è generalmente considerato come uno degli scopi dell'alchimia e che è implicata nel compimento stesso della « Grande Opera », ha parecchi significati che bisogna molto accuratamente distinguere, poichè in realtà si situano a livelli molto differenti fra le possibilità dell'essere.


Il significato più immediato, ma che in vero è lungi dall'essere il più importante, è evidentemente quello di un prolungamento della vita corporea; e, per comprenderne la possibilità, è d'uopo riferirsi all'insegnamento secondo cui la durata della vita umana è andata diminuendo progressivamente durante le diverse fasi del ciclo percorso dalla presente umanità terrestre dalle sue origini all'epoca attuale.


Se si considera che il processo iniziatico, nella sua parte riferentesi ai « piccoli misteri », fa 'risalire in qualche modo all'uomo il corso di questo ciclo, come già abbiamo indicato, sì da condurlo, a mano a mano, dallo stato presente fino allo « stato primordiale », questo processo deve fargli acquisire per tal motivo ad ogni tappa tutte le possibilità dello stato corrispondente, compresa la possibilità di una vita più lunga di quella dell'uomo attuale.


Che una tale possibilità sia effettivamente realizzata o meno, è un'altra questione; e, infatti, si dice che colui che è diventato capace di prolungare in tal modo la propria vita generalmente non lo faccia, a meno di avere per farlo ragioni di un ordine particolarissimo, la cosa non avendo per lui in realtà alcuna importanza (al pari delle trasmutazioni metalliche ed altri effetti di questo genere per colui che è capace di realizzarli, il che tutto sommato si riferisce allo stesso ordine di possibilità); ed anzi egli può aver vantaggio a non lasciarsi attardare in tal modo in queste tappe che sono sempre soltanto preliminari e molto lontane dal vero scopo, la messa in opera di tali risultati secondarii e contingenti non potendo ad ogni grado che distrarre dall'essenziale.


D'altra parte, il che può ancora contribuire a ridurre alla giusta importanza la possibilità cui trattasi, è pure asserito da diverse tradizioni che la durata della vita corporea non può in alcun caso oltrepassare un massimo di mille anni; importa poco d'altronde che questo numero debba essere preso letteralmente o abbia piuttosto un valore simbolico, poichè l'importante è che questa durata sia in ogni caso limitata; per conseguenza, la ricerca di una pretesa « immortalità corporea » non può essere che perfettamente illusoria .











La ragione di questa limitazione è insomma abbastanza facilmente comprensibile: ogni vita umana, costituendo in se stessa un ciclo analogo a quello dell'umanità presa nel suo insieme, il tempo si  « contrae » in qualche modo per ogni essere a misura che esaurisce le possibilità dello stato corporeo ; deve dunque esservi necessariamente un momento in cui sarà per così dire ridotto ad un punto, ed allora l'essere non troverà più letteralmente in questo mondo alcuna durata in cui gli sia possibile vivere, sicchè non vi sarà per lui altra via che quella di passare ad un altro stato, sottomesso a condizioni differenti da quelle dell'esistenza corporea, anche se questo stato in realtà non è ancora che una delle modalità extra-corporee del dominio individuale umano.


Consideriamo ora gli altri significati della « longevità », che effettivamente si riferiscono a possibilità diverse da quelle dello stato corporeo; ma, per comprendere di che si tratta esattamente, bisogna in primo luogo precisare nettamente la differenza esistente fra la «trasmutazione» e la «trasformazione».


Noi prendiamo sempre il termine « trasformazione » nella sua accezione strettamente etimologica, vale a dire quella di «passaggio al di là della forma»; in conseguenza, l'essere non potrà dirsi «trasformato » a meno che non sia effettivamente passato in uno stato sopra-individuale (poichè ogni stato individuale, qualunque sia, è per tale motivo formale); in questo caso si tratta dunque di un fatto la cui realizzazione appartiene essenzialmente ai «grandi misteri».







In riguardo al corpo stesso, la sua « trasformazione » non può essere che la sua trasposizione in modo principiale; in altri termini, ciò che si può chiamare il corpo « trasformato », è propriamente la possibilità corporea liberata dalle condizioni limitative cui è sottomessa per la sua esistenza in modo individuale (condizioni che d'altronde, come ogni limitazione, non hanno che un carattere puramente negativo), possibilità ritrovantesi necessariamente, al suo rango e alla stessa stregua di tutte le altre possibilità, nella realizzazione totale dell'essere.


Evidentemente si tratta di qualche cosa che oltrepassa ogni concezione possibile della « longevità », poiché quest'ultima, per definizione stessa, implica necessariamente una durata e per conseguenza non può andare, nella più grande estensione di cui può essere suscettibile, oltre la « perpetuità » o l'indefinità ciclica, mentre ciò di cui trattasi, appartenendo all'ordine principiale, partecipa per tal motivo all'eternità che ne è uno degli attributi essenziali; con la «trasformazione », si è dunque oltre ogni durata e non più in una qualsiasi durata, per quanto indefinitamente prolungata la si possa supporre.


Invece, la « trasmutazione » non è propriamente che un cambiamento di stato, all'interno del dominio formale comprendente tutto l'insieme degli stati individuali, od anche, più semplicemente, un cambiamento di modalità, all'interno del dominio individuale umano, il che d'altronde è il solo caso da doversi considerare di fatto; con questa « trasmutazione », ritorniamo dunque ui « piccoli misteri », cui in effetti si riferiscono le possibilità d'ordine extra-corporeo la cui realizzazione può essere compresa nel termine di « longevità », quantunque in un significato diverso da quello che in primo luogo abbiamo considerato e che non oltrepassava l'ordine corporeo stesso.


Anche in questo caso, vi sono altre distinzioni da fare, secondo trattasi di estensioni qualsiasi dell'individualità umana o della sua perfezione nello « stato primordiale »; e, per cominciare dalle possibilità dell'ordine meno elevato, diremo in primo luogo che, in certi casi e mediante speciali procedimenti appartenenti propriamente all'ermetismo o a ciò che vi corrisponde in altre tradizioni (poichè si tratta di cose particolarmente conosciute nelle tradizioni indù e estremoorientale), è concepibile che gli stessi elementi costituenti il corpo possano essere « trasmutati » e « sottilizzati » in modo tale da essere trasferiti in una modalità extra-corporea, in cui l'essere potrà esistere in condizioni meno strettamente limitate di quelle del dominio corporeo, in particolar modo nel rapporto della durata.








In tal caso, l'essere sparirà ad un certo momento senza lasciare alcuna traccia del suo corpo; d'altronde potrà, in particolari circostanze, riapparire temporaneamente nel mondo corporeo, in ragione delle  « interferenze » esistenti fra quest'ultimo e le altre modalità dello stato umano; possono così spiegarsi molti fatti che i moderni si affrettano naturalmente a qualificare come «leggende», ma in cui v'è pertanto qualche realtà.


Del resto, non bisogna scorgere in questi fatti nulla di « trascendente » nel vero senso della parola, poichè trattasi sempre di possibilità umane, la cui realizzazione d'altronde può avere soltanto interesse per un essere che rende capace di adempiere qualche «missione » speciale; al di fuori questo caso, non sarebbe tutto sommato che una semplice « digressione » durante il processo iniziatico e un arresto più o meno prolungato sulla via che deve normalmente condurre alla restaurazione dello « stato primordiale ».


È precisamente delle possibilità di questo « stato primordiale » che ci resta ancora da parlare: poichè l'essere che vi è pervenuto è già virtualmente « liberato », come già abbiamo detto, si può asserire che egli sia per tal fatto anche virtualmente « trasformato »; è evidente che la sua « trasformazione » non può essere effettiva, non essendo ancora uscito dallo stato umano, di cui ha soltanto realizzato integralmente la perfezione; ma le possibilità che egli ha acquisite riflettono e « prefigurano » in qualche modo quelle dell'essere veramente « trasformato », poichè è infatti al centro dello stato umano che si riflettono direttamente gli stati superiori.












L'essere che è stabilito a tal punto occupa una posizione realmente « centrale » in rapporto a tutte le condizioni dello stato umano, sicchè, pur senza averle oltrepassate, le domina pertanto in un certo senso, invece d'essere dominato da esse come gli uomini ordinari; ed è vero particolarmente in riguardo alla condizione temporale e alla condizione spaziale; potrà dunque, se lo vuole (ed è d'altronde certissimo che, dal grado spirituale raggiunto, mai lo vorrà senza una ragione profonda), trasportarsi in un qualsiasi momento del tempo ed in un qualsiasi luogo dello spazio; per quanto straordinaria possa apparire una tale possibilità, non è tuttavia che una conseguenza immediata della reintegrazione al centro dello stato umano; e se questo stato di perfezione umana è quello dei veri Rosa+Croce, si può comprendere quindi cosa sia in realtà la « longevità » ad essi attribuita; anzi è più di ciò che sembra implicare questa parola a prima vista, poichè è propriamente il riflesso, nel dominio umano, della stessa eternità principiale.


Questa possibilità può d'altronde, nel corso ordinario delle cose, non manifestarsi in alcun modo al di fuori; ma l'essere che l'ha acquisita la possiede ormai in maniera permanente ed immutabile, e nulla può fargliela perdere; gli è sufficiente ritirarsi dal mondo esteriore e rientrare in se stesso ogni qual volta gli convenga farlo per ritrovare sempre, al centro del suo proprio essere, la vera « fontana d'immortalità »


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Per maggiori Info. leggere anche questo Post:
http://lamisticadellanima.blogspot.it/2014/01/rosa-croce-e-rosicruciani-di-rene-guenon.html

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ROSA-CROCE - STORIA E DOTTRINA



MICHELE P.