lunedì 23 gennaio 2012

SALāH AD-DīN - IL SALADINO











SALADINO

Forma italianizzata del laqab o soprannome onorifico arabo Ṣalāḥ ad-dīn ("integrità della religione"), sotto la quale (con lievi varianti finali, lat. Saladinus, fr. Saladin) l'Occidente cristiano conobbe il sultano ayyūbita d'Egitto Yūsuf ibn Ayyūb, noto tra i Musulmani anche col soprannome di al-Malik an-Nāṣir, fondatore della dinastia degli Ayyūbiti in Egitto e in Siria.

Egli nacque da un emiro di stirpe curda a Takrīt nella Mesopotamia nel 532 eg., 1138 d. C., e fu allevato in Siria, a Baalbek e a Damasco, alla corte dell'atābek Zengide di Damasco Nūr ad-dīn (Norandino delle fonti occidentali).


Nel 558/1163 accompagnò lo zio Shīrkūh, inviato da Nūr ad-dīn in Egitto, con un corpo di spedizione siro, per appoggiare Shāwar, visir del califfo fātimita al-‛Āḍid in lotta con un rivale; e colà, nella difesa di Bilbais, e quattro anni dopo, in una seconda campagna, fece le prime armi contro i Franchi capeggiati dal re Amalrico I di Gerusalemme, che dapprima sostenevano le parti del visir rivale di Shāwar, e poi minacciavano apertamente il califfato fāṭimida d'Egitto.

Quando poi Shāwar stesso fu da S. fatto uccidere per avere tesa un'insidia a Shīrkūh, e questi, successo a Shāwar nel visirato, morì anche egli due mesi dopo, Saladino stesso fu scelto nel 1169 dal califfo quale suo visir.





Il giovane poco più che trentenne, e sino allora tenutosi con sincera modestia nell'ombra, spiegò subito, nell'alta carica a cui era asceso, eccezionali qualità amministrative e politiche, forse ancor più che militari.

Repressa duramente l'insubordinazione dei mercenarî del califfo fāṭimida che si erano rivoltati contro il nuovo effettivo padrone d'Egitto, ebbe a fronteggiare l'immediata ostilità dei Franchi, giustamente allarmati della pericolosa potenza che con lui si profilava, a minaccia del regno cristiano di Gerusalemme.


Ma, logoratasi nell'assedio di Damietta, l'offensiva delle forze collegate franco-bizantine falliva, e Saladino si consolidava in Egitto, e con la presa di Ailah sul Mar Rosso assicurava le comunicazioni tra l'Egitto e la Palestina e la Siria.

Nel 567/1171 egli dava poi il colpo di grazia all'ultima parvenza del califfato fāṭimida d'Egitto facendo pronunziare la khuṭbah del venerdì al nome del califfo ortodosso ‛abbāside di Baghdād, e, con la morte subito seguita dell'ultimo fāṭimida al-‛Aḍid, si trovava padrone assoluto d'Egitto, solo formalmente vassallo del califfo di Baghdād, e stabiliva la dinastia che dal nome di suo padre Ayyūb fu detta dagli Ayyūbiti, e che nel ramo egiziano doveva colà durare sino al 1250.


Seguì un periodo di crescente tensione tra Saladino e il suo antico signore Nūr ad-dīn di Damasco, ormai geloso e inquieto della fortuna di quello; ma un conflitto armato, che sembrava ormai imminente, fu stornato dall'improvvisa morte di Nūr ad-dīn (569/ 1174).

Subito Saladino, su richiamo di emiri siriani stessi, invase la Siria, pur affermandosi ubbidiente al figlio e successore di Nūr ad-dīn, Ṣāliḥ Ismā‛īl; ben presto la battaglia di Qurūn Ḥamā stroncava le velleità di resistenza dei suoi avversarî, e gli dava il possesso della Siria, di cui lasciava Aleppo all'innocuo Ismā‛īl, e Ḥamā, come feudo, a un proprio nipote.

Oramai (570/1175) la signoria di Saladino comprendeva l'Egitto, parte della Palestina, la Siria Centrale, lo Yemen (conquistato l'anno prima dal fratello di lui Tūrān Shāh) e il Maghrib sino a Tripoli; territorî tutti di cui il califfo ‛abbāside gli conferiva l'investitura sultanale.


Un urto decisivo con i principati latini di Palestina e di Siria era inevitabile, ed esso occupa infatti quasi ininterrottamente tutta la seconda parte della vita di Saladino.





Il punto saliente di questa guerra (v. crociate), fu, dopo un decennio di alterni successi, la battaglia campale di Hiṭṭīn sul Lago di Tiberiade (5 luglio 1187), in cui Saladino annientò l'esercito di re Guido di Lusignano, e catturò questo e Renaud de Châtillon signore di al-Karak e fierissimo nemico dei Musulmani, che il sultano uccise di propria mano; tre mesi dopo (2 ottobre) Saladino rientrava vittorioso in Gerusalemme, restituita dopo circa un secolo all'Islām, e, proseguendo l'anno dopo la campagna, infliggeva gravissime perdite di territorio al principato cristiano d'Antiochia.


Il grande successo dell'offensiva musulmana provocò, come è noto, la terza crociata, con l'intervento dell'imperatore Federico Barbarossa (che però annegò nel viaggio in Asia Minore) e del re d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone.

Episodio culminante di questa fu l'assedio famoso di ‛Akkā (San Giovanni d'Acri), difesasi ostinatamente contro le forze cristiane collegate, e che invano Saladino tentò di sbloccare. Ma la sua caduta (12 luglio 1191) come anche qualche altro brillante successo militare di Riccardo, non segnò affatto per i crociati una vittoria che potesse militarmente e politicamente bilanciare la rotta di Ḥiṭṭīn.


La pace, finalmente conclusa il 2 novembre 1192, lasciava Saladino padrone di quasi tutta la Palestina, manteneva intatte le comunicazioni tra l'Egitto e Siria, e nella sostanza riconosceva la riconquista musulmana, e la distruzione del regno di Gerusalemme.


Saladino non sopravvisse a lungo alla sua vittoria, guadagnata con circa un ventennio di campagne ininterrotte.

Egli moriva a Damasco il ṣafar 589/4 marzo 1193, spartendo tra il fratello al-‛Ādil e tre dei suoi figli il conglomerato, ancora in verità non armonizzato e unificato, di territorî su cui si distendeva ormai il suo dominio.

La figura del grande campione dell'Islām grandeggiò sin da lui vivo nella tradizione musulmana, e, con particolarmente vividi e simpatici colori, in quella cristiana, storiografica e novellistica (vedi per questa più oltre). Le fonti storiche musulmane ne mettono in rilievo lo zelo religioso, la rigida ortodossia, la fermezza, che noi possiamo ben dire fanatismo, nella lotta contro i Franchi, nemici dell'Islām.

Atti come la strage, da lui ordinata, dei Templari e Ospitalieri presi prigionieri a Ḥiṭṭīn possono invero sembrare in contrasto con la fama di liberalità e umanità che proprio la tradizione occidentale esalta in lui.


Ma accanto a questa dura applicazione della legge di guerra, anche nelle fonti orientali appaiono i tratti di una personalità di eccezione, tenace, paziente, lungimirante, di attività e solerzia instancabile, prode sul campo, e insieme amica delle lettere e delle scienze, soprattutto religiose.

L'imponente attività monumentale legata al suo nome (cittadella del Cairo, ecc.) congiunge insieme le necessità militari con la passione edificatrice propria di quell'ambiente e di quell'età. Un ricco materiale storico, epistolografico (dovuto questo in gran parte ai suoi segretarî al-Qāḍī al-Fāḍil e al-Kātib al-Iṣfahānī) ed epigrafico, sui monumemi superstiti, perpetua sino a noi, da parte musulmana, il ricordo del grande sultano ayyūbita.



LA LEGGENDA DEL SALADINO


Quella trasfigurazione ed eleborazione fantastica che mancò in generale alla figura del Saladino nelle letterature musulmane (egli compare solo in un episodio del romanzo popolare di Baibars), fiorì invece rigogliosa nella tradizione letteraria e pseudostorica occidentale, in latino, in francese e in italiano, improntata per lo più a un'idealizzazione veramente singolare di colui che pure fu il maggior distruttore dell'opera del pio Goffredo.

Solo un piccolo gruppo di fonti cristiane (probabilmente il più antico, il più vicino o addirittura contemporaneo agli eventi storici che esso prende a esporre) è animato da tendenza ostile al Saladino, e si sofferma particolarmente sugl'inizî della sua carriera, ora insistendo sui punti oscuri dell'uccisione di Shāwar e della poco chiara scomparsa del sultano fāṭimida al-‛Aḍid (v. sopra), ora favoleggiando addirittura d'una origine servile e d'una equivoca carriera di adultero e assassino del sovrano ayyūbita. (Carmen de Saladino, parti della Chronique d'Ernoul e del romanzo di Jean d'Avesnes, ecc.).

Ma questa tendenza ostile cede ben presto il campo a quella idealizzatrice, che resterà decisiva per la formazione della figura leggendaria del Saladino: da fervente, anzi quasi fanatico musulmano, quale storicamente fu, egli è fatto curioso, simpatizzante, persino segretamente aderente al cristianesimo, con cui è talvolta anche collegato da vincoli di sangue per una sua pretesa discendenza franca da parte di madre!


Largo di cortesie, di cavallereschi favori e d'onori ai baroni cristiani (si fa armare cavaliere da Honfroi de Touron, o da Hugues de Tabarie), egli salda non di rado regalmente, con loro, debiti di amicizia e di ospitalità contratti nei suoi frequenti viaggi in incognito in terra cristiana (si ricordi per tutte la nota novella di messer Torello, Decameron X, 9); rinvia prigionieri senza riscatto, o paga egli stesso riscatti esorbitanti; ama di amor cortese e discreto dame cristiane; mette finemente alla prova la pietà e la saggezza dei suoi avversarî, o disputa umanamente della preminenza delle tre religioni.


Questa figura generosa, arguta e valente di barone saracino, la cui piena elaborazione si ritrova in altre parti della ricordata Chronique d'Ernoul, nel Ménestrel de Reims, nel Novellino, nell'Avventuroso Ciciliano di Bosone da Gubbio, e in varie altre fonti, venne così a far parte, già lontana nella leggenda, anche se cronologicamente contemporanea, della cerchia di spiriti magni, che accarezzò con ingenua commozione la fantasia medievale.

Dante la vide nel Limbo, sola tra gli eroi e i savî antichi (Inf., IV, 129); trascorsi i secoli, l'illuminismo settecentesco raccolse alcuni tratti di questa leggenda, e per bocca del Lessing (Nathan der Weise, 1776) tornò a vagheggiare nel Saladino il savio sovrano tollerante, superante nell'intimo la contingenza delle confessioni religiose in una più alta e serena sfera di generosità e di umana saggezza.


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SALADINO


Yūsuf ibn Ayyūb (il cui laqab o nome onorifico arabo di Ṣalāḥ ad-dīn, " Integrità della religione ", l'Occidente adattò in ‛ Saladino ') nacque nel 1138 a Takrīt in Mesopotamia, da un piccolo emiro locale di stirpe curda. Seguì giovanetto il padre e lo zio al servigio del sultano zenghide di Damasco, Nūr ad-dīn (Norandino), e fu da questo inviato con lo zio in Egitto, nei torbidi che accompagnarono colà l'ultima fase del califfato fatimida.

La successiva scomparsa dei protagonisti di quelle lotte, e infine del califfo fatimida stesso, al-'Āḍid, permise nel 1171 al Saladino di assumere di fatto il governo del paese, restaurandovi l'ortodossia sunnita; e quando tre anni dopo morì il suo signore Norandino, egli ne soppiantò agevolmente gli eredi, riunendo nelle sue mani i domini di Egitto, Siria, Mesopotamia.


Da allora divenne il riconosciuto capo della lotta dell'Islàm contro i crociati, che costituì lo scopo principale della sua attività fino alla morte.

Battuti a Tiberiade o Ḥiṭṭin nel luglio 1187 i baroni latini, e catturato il re stesso di Gerusalemme Guido di Lusignano, egli investì la città santa, che il 2 ottobre di quello stesso anno fu da lui restituita all'Islàm. Seguì la terza crociata con il lungo assedio di Acri, invano strenuamente difesa e soccorsa all'esterno dal Saladino.


Alla ricaduta di Acri in mano ai crociati (1191), fu stipulata fra essi e il sultano, dopo lunghe trattative, una tregua decennale.

Poco dopo (4 marzo 1193), il S. moriva a Damasco lasciando a metà l'opera intrapresa di una totale espulsione dei Franchi dalla Terra Santa; per il suo compimento, sarebbe ancora occorso un intero secolo.


L'Islàm medievale e moderno ha sentito in lui uno dei suoi più alti rappresentanti e difensori.

La sua rigida ortodossia (un tratto, questo, in netto contrasto con taluni posteriori sviluppi della relativa leggenda in Occidente), la sua giustizia e umanità, ma soprattutto lo strenuo impegno nella guerra santa e il personale valore militare, lo fecero sentire massimo campione della fede musulmana sin da quando egli era in vita, e ne han colorato e idealizzato in senso islamico la figura a ogni reviviscenza del contrasto con gl'infedeli (da ultimo nella lotta, ai nostri giorni, dell'arabismo contro Israele).


E ciò nonostante che il maggior storico arabo del suo tempo, Ibn al-Athīr, gli sia stato ostile, per legittimistica fedeltà alla soppiantata dinastia di Norandino.

Ma la fortuna del personaggio si è estesa e sviluppata soprattutto in Occidente, fra i suoi stessi avversari cristiani.

Come ha mostrato in un classico studio G. Paris, i più antichi echi letterari su di lui da parte occidentale risentono ancora dell'avversione per il distruttore dell'opera di Goffredo, e romanzano elementi a lui sfavorevoli della tradizione orientale e, in parte, dell'accertabile realtà storica.


Il latino Carmen de Saladino, le parti più antiche della Chronique d'Ernoul e del romanzo di Jean d'Avesnes, tutti della prima metà del sec. XIII, favoleggiano di un'origine servile del Saladino, e di una sua ascesa dovuta all'adulterio e all'assassinio.

Ma presto queste voci avverse (che del resto ricamano su taluni innegabili punti oscuri specie nella carriera iniziale del sultano) si attenuano fino a sparire col prevalere dell'opposta tendenza idealizzatrice, la cui piena affermazione si trova in altre parti della ricordata Chronique d'Ernoul, nel Menestrel de Reims, nell'Avventuroso ciciliano di Bosone da Gubbio, e nelle celebri novelle ‛ saladiniche ' del Novellino e del Boccaccio.


In tutte queste fonti, il Saladino appare magnifico e cavalleresco signore, tiepido musulmano e curioso simpatizzante o persino segretamente aderente al cristianesimo, con cui talvolta è anche collegato da vincoli di sangue (il solito espediente di assimilazione degli eroi di parte avversa), per una sua pretesa discendenza franca da parte di madre.

La sua scaltrezza gli fa tendere a Melchisedec giudeo (il futuro Nathan di Lessing) l'insidiosa questione della vera fede, e la tollerante saggezza gli fa accogliere con ammirazione l'abile apologo giustificativo.

Questa sua presunta tolleranza condusse poi, in età illuministica, alla raffigurazione lessinghiana, da cui il Saladino della storia si sarebbe con orrore ritratto.



Dante Alighieri raccolse l'eco della leggenda occidentale, ormai nettamente favorevole all'eroe.


In un suo elenco di signori liberali e magnanimi (Cv IV XI 14), il S. sta in compagnia del buono re di Castella Alfonso VIII, del marchese di Monferrato, del conte di Tolosa Raimondo V, di Bertram dal Bornio, di Galasso di Montefeltro.

Il celebre verso di If IV 129 isola per contro nel Limbo l'eroe musulmano dal gruppo, cui pur di diritto appartiene, degli eroi ed eroine della classica antichità: con quel solo in parte non solo è espressa l'ovvia differenza di fede e civiltà del grande sultano, ma ne risulta in plastico rilievo l'alta figura.


È un omaggio all'uomo per le sue eccezionali qualità morali e sociali (storiche, o credute tali, in quell'epoca), più che alla civiltà di cui egli poteva apparire rappresentante; ma un raggio di quella poetica luce si riverbera anche su di essa, quasi a compenso della cruda rappresentazione di Maometto che seguirà nel poema (If XXVIII).


È curioso che ciò non sia stato raccolto dal più sensibile moderno interprete di Dante fra gli Arabi, Hassan 'Osmān (v.), che nella sua versione del passo ha lasciato cadere proprio il nome del Saladino.


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Saladino (propr. Abu l-Muzaffar Yusuf ibn Ayyub Salah al-din, «Rettitudine della vera fede») Generale curdo (Tikrit 1138-Damasco 1193), fondatore della dinastia degli Ayyubidi.

Fu il più celebre mujahid musulmano contro i crociati e il vincitore della battaglia di Hattin, che permise la riconquista musulmana di Gerusalemme.

Di origine armena, S. nacque in una famiglia di alti funzionari militari: suo padre, Ayyub, e suo zio Shirkuh furono al servizio dei Selgiuchidi prima, quindi della signoria degli Zenjidi, regnante sulla Siria e sulla Mesopotamia, e una carriera analoga fu seguita dal fratello di Saladino, Turanshah al-Malik al-Mu‛azzam .

Fu Shirkuh, in quanto generale e ministro di Nur al-din, a suggerire a questi di accettare la richiesta di Shawar, ministro del califfo fatimide al-‛Adid, di inviare truppe in Egitto al soccorso dei Fatimidi, attaccati dai franchi del regno di Gerusalemme. Saladino partecipò alle tre spedizioni che seguirono, dopo l’ultima delle quali (1169), Shirkuh prese il posto di Shawar come vizir del califfo fatimide, associando il nipote alle funzioni connesse alla carica.

Shirkuh morì nello stesso anno e Saladino, che aveva respinto l’attacco franco-bizantino a Damietta, gli successe, prendendo il titolo di al-Malik al-Nasir, «il signore vittorioso» e iniziando, con l’ascesa al potere, la costruzione della propria personale leggenda di mujahid, fino a diventare il campione dell’ortodossia sunnita.


Saladino dovette fare subito fronte alle richieste di Nur al-din, formalmente ancora il suo signore, perché ponesse fine in suo nome al califfato fatimide, iniziativa che egli prese nel 1171, senza incontrare resistenza.

Conseguenza di tale atto fu il ritorno dell’Egitto al sunnismo come rito ufficiale e al riconoscimento formale del califfato abbaside, da cui Nur al-din nominalmente riceveva la propria autorità, riconoscimento che era cessato due secoli prima; entrambi giustificano il titolo di «restauratore del regno del comandante dei credenti» che Saladino avrebbe utilizzato nell’epigrafia ufficiale.


I rapporti con Nur al-din divennero tuttavia più tesi, minacciando di sfociare in una spedizione zenjide contro l’Egitto.

Saladino inviò suo fratello Turanshah alla conquista dello Yemen, per garantirsi una via di fuga nel caso di un’invasione zenjide, ma nel 1174 Nur al-din morì, probabilmente avvelenato.

Il suo successore, l’inesperto Isma‛il, divenne subito preda delle opposte fazioni zenjidi, siriane e irachene, resesi indipendenti dopo la morte di Nur al-din; l’opportunità d’intervenire fu offerta a Saladino dall’appello rivoltogli da Ibn al-Muqaddam, ministro di Isma‛il, dopo che questi fu sequestrato dal signore di Aleppo.


Saladino accorse dall’Egitto con un corpo di spedizione, conquistando Damasco e proponendosi come difensore di Isma‛il e della causa dell’islam contro i franchi.



Saladino dovette domare anzitutto l’opposizione sorta in seno al gruppo di potere zenjide, a Mosul e ad Aleppo, contro il quale condusse numerose campagne militari senza riportare vittorie definitive.

Mentre la diversione causata da tale conflitto impediva a Saladino di combattere efficacemente contro i franchi, gli zenjidi di Aleppo aizzarono contro di lui gli Assassini nizariti, con i quali, dopo vari scontri, Saladino giunse a un accordo.

Saladino appariva sempre più come l’ago della bilancia nel complesso mosaico politico dell’area siro-mesopotamica, dove, agendo in nome del califfo abbaside, egli fu chiamato in aiuto dal signore artuqide di Keyfa contro i Selgiuchidi, e a turno dai vari signori zenjidi in lotta fra di loro.


Dal 1176, Saladino tornò in Egitto, dopo aver stretto accordi di pace tali da permettergli di dedicarsi alla riorganizzazione amministrativa del Paese e al jihad contro il regno di Gerusalemme, attuato con alterna fortuna.


Nel 1182, alla morte dell’emiro zenjide di Mosul, Saladino abbandonò definitivamente Il Cairo, dirigendosi verso la Jazirah, dove attaccò diverse fortezze, raccogliendo, a misura dei suoi successi, l’omaggio dei signori zenjidi, artuqidi e begteginidi.

Nel 1183, la vittoria su Renaud de Châtillon, autore di una serie di incursioni sulle coste del Mar Rosso che allarmarono grandemente i musulmani, rafforzò ulteriormente il prestigio di Saladino nel mondo musulmano.

L’anno successivo, Aleppo si arrese, mentre un accordo fu stretto con il signore di Mosul nel 1186, con la promessa di aiuti per il jihad in Terrasanta.

Fu allora che Saladino poté volgersi interamente alla guerra ai crociati; dopo alcuni tentativi di conquistare Krak des Chevaliers, importante nodo delle comunicazioni fra Egitto e Siria, Saladino adunò le forze musulmane, provenienti da tutti i centri della Siria-Mesopotamia, per affrontare i regni crociati, con l’eccezione di Antiochia, con cui S. aveva stretto un accordo.


Lo scontro finale ebbe luogo a Hattin, il 4 luglio 1187, e si risolse nella sconfitta rovinosa dei franchi.

Renaud de Châtillon fu preso e giustiziato come conseguenza degli attacchi contro i pellegrini diretti alla Mecca; in pochi mesi, tutti i regni e principati cristiani sulla costa, da Jaffa a Sidone, con l’eccezione di Tiro, si arresero a Saladino, che si pose allora alla conquista di Gerusalemme, presa dopo due mesi di assedio, il 2 ottobre. Entrando nella città, Saladino consacrò la vittoria ponendo nella moschea di al-Aqsa il pulpito (minbar) che Nur al-din aveva voluto costruire per l’occasione.


La mancata conquista di Tiro, regno di Corrado di Monferrato, fu tuttavia uno dei maggiori errori della fortunata campagna di S., poiché la città costiera permise il rifornimento dal mare degli eserciti che mossero, nel 1188, alla terza crociata, preparata in Europa dalla raccolta di una tassa speciale (la «decima di Saladino»).


Gli eserciti crociati, guidati da Riccardo I d’Inghilterra ripresero San Giovanni d’Acri, nel 1191, dopo un assedio durato due anni, passando a fil di spada migliaia di musulmani.

Nello stesso anno Saladino conobbe una bruciante sconfitta ad Arsuf, ma Gerusalemme rimase in mano musulmana, e il reciproco rispetto dei due avversari condusse, nel 1192 all’Accordo di Ramla, con il quale Saladino permetteva il pellegrinaggio cristiano a Gerusalemme, mentre i regni cristiani furono ridotti agli Stati costieri.


L’anno successivo Saladino moriva, senza lasciare, secondo i suoi biografi, denaro sufficiente per la sua sepoltura, avendo speso i suoi averi per scopi caritatevoli.

La leggenda al suo riguardo fiorì già durante la sua vita, sia in campo musulmano sia in campo cristiano, alimentata altrettanto dai suoi risonanti successi, ottenuti sia con la forza delle armi sia con un’accorta politica di accordi e tregue, quanto dalla sua famosa generosità (tale da attirargli le critiche dei suoi amministratori) e da un indubbio spirito cavalleresco, riconosciutogli dai suoi avversari cristiani.


La tradizione musulmana, rappresentata soprattutto dal suo biografo personale, l’ex funzionario zenjide Baha’ al-din Ibn al-Shaddad, divenuto suo fedele, insistette sulla sua figura di mujahid e di musulmano devoto.


Nel mondo arabo-islamico è stato rivendicato, in tempi recenti, come eroe simbolo della lotta degli Stati arabi contro Israele, fino alla pretesa di Saladino Husain, come lui nato a Tikrit, di essere il nuovo Saladino, nella guerra del sunnismo allo sciismo khomeinista prima, quindi nella resistenza all’ingerenza occidentale in Medio Oriente.


Fonte Enciclopedia Treccani

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LA BATTAGLIA DI HATTIN


La Battaglia di Hattin, ebbe luogo il 4 luglio 1187 tra il Regno di Gerusalemme crociato e le forze ayyubidi comandate da Saladino.

La sconfitta riportata dai crociati decretò l'inizio della fine del Regno crociato e la riconquista islamica di buona parte della Palestina.

I combattimenti si svolsero a Ḥaṭṭīn (o Ḥiṭṭīn), nei pressi di Tiberiade, in un'area vicina a due colline, resti di un vulcano inattivo, chiamati i corni di Hattin, situati oltre il passo tra le montagne settentrionali poste tra Tiberiade e la strada per San Giovanni d'Acri. La strada di Ḍarb al-Hawārna, costruita dai Romani, costituiva la rotta principale a collegare la costa mediterranea con la Giordania.


Per maggiori info. clicca nel seguente Link: http://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Hattin


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LE CROCIATE



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"I RE NON UCCIDONO ALTRI RE".
(DISCORSO DEL SALADINO A GUIDO DI LUSIGNANO - BATTAGLIA DI HATTIN)




MICHELE P.